Capitolo 3


«Sono arrivata, papà, andiamo.» provai a caricarmi un po' del suo peso sulla spalla, fino a trascinarlo in macchina, aiutata da Joe. I suoi capelli brizzolati erano imperlati di sudore, il viso era rivolto in basso, quasi fosse stanco di vivere, e le sue mani, come le gambe, erano penzolanti, quasi morte.

«Resta qui, okay?» dissi, trattandolo come un bambino, allungandolo delicatamente sui sedili posteriori.

«Ehi, Joe, cosa gli è successo stavolta?» domandai al ragazzo dalla pelle chiara con qualche lentiggine sul naso, con i capelli scuri e gli occhi di egual modo. A causa della preoccupazione, questi ultimi diventavano ancora più tendenti al nero.

«Si è preso a botte con uno, credo si chiamasse Robin.»

«Niente di importante, vero?»

«Così sembra, ma tuo padre deve mettere la testa sulle spalle, non puoi continuare così.» rispose il barista del locale, nonché mio amico, preoccupato.

«Lo so, lo so. Grazie di avermi avvertita... come sempre.» sorrisi grata. I miei sorrisi li riservavo a pochi, ma quel ragazzo era d'oro.

«Alla prossima allora.» rispose Joe dopo avermi fatto un cenno.

«Spera che non sia in questo posto.» sorrisi esausta dal solito viavai da casa mia al bar. Partii con l'auto e in men che non si dica arrivai a casa. Per fortuna il locale non era così lontano.

***

«Jem!» pronunciai ad alta voce per farmi sentire da mio fratello. Ma lui era peggio di me, aveva la musica a palla in stanza, non mi avrebbe sentita. Mio padre pesava troppo per poterlo trascinare da sola, perciò salii di fretta le scale e spalancai la porta della sua camera, benché fuori ci fosse scritto 'Non entrare', ma non avevo mai rispettato le sue regole, non vedevo il motivo per cui dovessi farlo in quel momento. Eppure, se avessi potuto tornare indietro nel tempo, non avrei mai aperto quella porta. La prossima volta ci avrei pensato due volte prima di fare una cosa del genere, è sicuro.

«Fuori, subito!» urlai non appena vidi la ragazza bionda e seminuda sopra mio fratello.

Non volevo sapere cosa stessero facendo, tanto che misi una mano davanti al volto, ma potevo benissimo immaginarlo.

Appena sentii la folata d'aria della ragazza che si era appena volatilizzata, tolsi la mano e fissai il mio fratellino, che tanto innocente non era, negli occhi castani, come i miei, soltanto che i suoi tendevano leggermente al verde nelle giornate di sole, un po' come quelli della mamma.

«Non potevi bussare?» domandò irritato, ma non era lui a dover fare una ramanzina a me, avevo tutti i diritti di entrare in camera di mio fratello, forse, o forse no. Ma come potevo sapere cosa avrei trovato? Be', era immaginabile, a dire la verità.

«Okay, la prossima volta lo farò. Ma basta portarti in stanza ogni giorno una ragazza diversa!» lo fissai. Volevo fargli capire che non era un bene né per lui, né per le ragazze in questione.

«Mi serve una mano.»

«Papà eh?»

«Papà.» confermai. Nonostante tutto, fortunatamente avevo mio fratello.

Quel giorno mettemmo a letto mio padre e curammo insieme le sue ferite. Non riuscivo a capire perché si lasciasse picchiare così.

«Camila.» continuava a sussurrare mio padre, mentre si dimenava nel letto e bagnava le coperte azzurre con il sudore. Era il nome di mia madre. Stava delirando. La febbre stava salendo e io chiamai un medico. Non sapevo dove mettere le mani, non ero mai stata brava con cure e medicine, tanto meno mio fratello.

«Dottor Frank, cos'ha?» domandai preoccupata dopo che il medico ebbe verificato la situazione di mio padre.

«Non è nulla di cui temere, ma tuo padre deve cambiare atteggiamento. Non è un bene per lui continuare così, e neanche per voi.» concluse indicando me e Jem. E non fu mica il primo a dirmelo quel giorno! Joe aveva ragione, il dottor Frank aveva ragione, ma cosa avrei potuto fare io?

***

«Sveglia Jem!» urlai dalla mia stanza. Mi svegliavo sempre prima di tutti, anche prima che la mia sveglia suonasse, e il mio compito era quello di svegliare Jem.

Dovete sapere che non era così semplice, quel ragazzino non si sarebbe svegliato neanche con delle cannonate, ma io continuai comunque a provarci.

Misi piede nella sua stanza e vidi che era ancora tutto arrotolato nelle coperte e che non accennava ad aprire gli occhi. Così il mio esperimento stava cominciando. Qualche giorno prima avevo comprato una piccola tromba, che avrei usato in caso il mio fratellino non si fosse svegliato, e per sua fortuna per alcuni giorni lo aveva fatto senza alcun problema, ma quello no. Non vedevo l'ora di svegliarlo nel mio nuovo metodo. Voleva averla vinta? Gli stavo facendo vedere contro chi si stava mettendo.

Avvicinai lo strumento al suo orecchio non appoggiato sul cuscino e iniziai a soffiarci dentro. Ne derivò un suono grandioso per il mio scopo, tanto che Jem saltò dalla paura, finché non si mise seduto e mi fissò arrabbiato.

«Cosa vuoi? Un modo dovevo pur trovarlo.» lo presi in giro, coprendo con la mano libera la bocca, per evitare che mi vedesse sbellicarmi dalle risate.

«Potevi svegliarmi normalmente.» borbottò, coprendo ancora l'orecchio per il dolore e scuotendo la testa velocemente, sperando andasse via quel tremendo fastidio che gli avevo procurato.

«Certo!» sussurrai prima di lasciare la stanza per preparare la colazione, dirigendomi al piano inferiore.

***

«Scendi Jem, è tardi!» urlai verso le scale che portavano ai piani superiori, dov'erano le stanze da letto.

Quando finii di parlare, il campanello suonò e mi avvicinai alla finestra per guardare chi fosse.

Salutai con la mano prima di andare ad aprire la porta.

«Guarda qua cos'ho portato?» Joe era davanti al cancello, pronto a spingerlo per aprirlo con una mano, e con l'altra reggeva un vassoio pieno di cornetti.

Come facevo a saperlo? Be', non era la prima volta che si preoccupava per la mia famiglia. Come dicevo, era davvero un ragazzo d'oro.

«Non dovevi disturbarti.» risposi, nonostante mi stesse salendo l'acquolina in bocca e il mio naso si stesse gustando quell'irresistibile profumino.

«È un piacere. Tuo padre come sta?» chiese appoggiando il vassoio sul tavolo della cucina.

«Meglio, sembra.»

Finalmente Jem si decise a scendere e i ragazzi si salutarono con un cenno del capo. Mangiammo tutti e tre quei deliziosi cornetti, mentre Joe mi disse: «Mi dispiace, le conchiglie al cioccolato erano finite.»

Non so come, ma aveva capito che preferivo la conchiglia al cioccolato piuttosto che un cornetto e anche un'altra cosa: «E anche i cornetti al cioccolato bianco.» continuò sorridendo. La mia alternativa.

«Non dovevi.» ripetei ringraziandolo.

«Andiamo, dai!» mi alzai, spronando gli altri a fare altrettanto.

Joe si offrì di darci un passaggio e, non avendo motivo per rifiutare, accettammo. Tanto eravamo diretti tutti allo stesso posto: la nostra scuola.

***

«Desy!» esclamò Katy venendomi incontro per abbracciarmi. Si staccò e mi sorrise.

«Io vado, altrimenti faccio tardi.» ci salutò Joe, prima che Kyle si avvicinasse e la lotta cominciasse.

«Hai un principe ora, principessina?» mi prese in giro sistemando lo zaino blu su una sola spalla.

«E tu hai una nuova prostituta ora?» risposi a tono indicando Barbie numero uno, Abbey, con il viso, che stava venendo verso noi con il suo solito comportamento altezzoso.

Non rispose e, proprio come me, formulò un'altra domanda: «La mia giacca?»

Giusto, la giacca. Non era possibile fossi così smemorata, ma, tra tutti i problemi, potevo mai ricordarla? Be', come poteva capirlo lui!

«Kyle!» ci raggiunse Abbey, la biondina, e lo salutò dandogli un bacio sulle labbra. Ah, bene, avevo anche ragione! Per poco non vomitavo mentre quel loro bacio si faceva sempre più appassionato. Ma era stata una cosa talmente fulminea che non riuscii a distogliere lo sguardo, piuttosto ero rimasta imbambolata a guardare con una faccia disgustata le loro lingue che si scontravano ripetutamente.

«Cos'hai da guardare?» Kyle interruppe il bacio, infastidito dalla mia presenza, quanto me dalla sua che occupava il corridoio e interrompeva i passanti.

Menomale che a rispondere fu Barbie, perché avevo tante parole cattive da dirgli che non avrei saputo quale fare uscire: «Lasciala stare, Kyle.» disse prima a lui, con fare amichevole nei miei confronti.

Ma sapevo che non poteva essere così: «Sono stracci quelli che hai addosso?» si rivolse a me, indicando i miei vestiti, con il suo solito tono cattivo e carico d'odio, anche se non avrei saputo spiegarne il motivo.

«Almeno io indosso qualcosa. Tu dove li hai lasciati i vestiti?» ribattei con lo stesso tono. E lo pensavo sul serio. Aveva una minigonna rossa che le copriva solamente le parti intime, un top bianco che lasciava la pancia scoperta e il seno rifatto che usciva in modo inadeguato. Tanto valeva indossare un costume, sebbene fossimo a scuola e in autunno. Ma in pochi secondi mi ritrovai schiacciata contro un armadietto. Non fu forte l'urto, ma tutti i ragazzi nei dintorni iniziarono comunque a fissarci, qualcuno prese anche la propria macchinetta per scattare foto che sarebbero finite in prima pagina sul giornalino scolastico l'indomani.

«Vedi di non parlarle così.» Kyle mi sbraitò contro, mentre mi tratteneva con le spalle all'armadietto. Non lo guardai neanche in faccia, non mi importavano le sue parole. Abbey non aveva diritto di essere difesa, era stata lei a cominciare e a cercarsela. Guardai lei, con il suo sorriso da finta innocente, mentre i professori iniziarono ad avanzare pian piano verso la nostra direzione.

«Cosa sta succedendo qui? Non c'è nulla da vedere, andate via.» e dopo tali parole, tutti proseguirono per la propria strada, come se nulla fosse, ma sapevo che il giorno dopo tutti avrebbero parlato dell'accaduto.

Mentre stavo per andarmene anche io, venni trattenuta dalla voce della professoressa Smith. Era delusa, delusa da me. Ma se avesse saputo la verità, mi avrebbe appoggiata sicuramente.

«No, non tu Collins.» si rivolse a me, mentre il professore Wallet fece altrettanto con Kyle. Eravamo rimasti solo noi, anche Barbie se l'era svignata, non prima, però, di aver ricevuto una piccola ramanzina dalla professoressa Smith, a cui io avevo sorriso trionfante: «Signorina Harris, non mi sembra il luogo adeguato per quei vestiti, la prossima volta venga vestita in modo più composto. È una scuola, non una spiaggia.»

«Ora mi spiegate cosa sta succedendo.» ordinò Smith.

Avrei voluto sapere anche io il motivo di tanta guerra, quindi aspettai che rispondesse Kyle, pregando lo facesse. Ma non lo fece, forse non sapeva spiegarlo neanche lui, o forse non gli importava di ricevere una punizione.

«Okay, non volete parlare? Va benissimo. Luke, hai bisogno di un assistente?» rivolse l'ultima domanda al professor Wallet.

«No, credo però che i bidelli abbiano davvero bisogno di aiutanti.» si misero d'accordo per infliggerci una punizione.

Okay... ci sarebbe toccato aiutare i bidelli per il pomeriggio e tutto si sarebbe risolto, solo se nessuno dei due avesse messo in discussione la punizione.
Ma... come avrebbe potuto Kyle fare qualcosa di utile per una volta?

«Ma... io ho gli allenamenti di basket!» esclamò il ragazzo. Avrei voluto cucirgli la bocca, così da non farlo continuare. Stava creando un disastro.

«Avresti dovuto pensarci prima...» il professor Wallet rimproverò Kyle, continuando a parlare dopo soli due secondi: «...una settimana di punizione dovrebbe andare più che bene. Prenderete il posto dei bidelli, così potranno avere un adeguato riposo, e pulirete l'intera scuola. Se non sarà tutto perfettamente lucidato ci saranno altre punizioni e non mi fermerò a questo...»

Così il professore dai lunghi baffi arricciati alla fine si diresse verso la sua aula di prima lezione, mentre, prima che Smith facesse altrettanto, ci rivolse poche parole: «Vedete di risolvere i vostri problemi. Questa settimana vi farà bene.»

Come avrebbe potuto farmi bene una giornata con Kyle? Era come dire che mangiare un barattolo di Nutella fosse salutare!

«È tutta colpa tua!» esclamò il ragazzo, mettendo le mani tra i capelli per il nervosismo, non appena fummo rimasti soli.

«Colpa mia? Sei tu quello che ha contraddetto il prof! Altrimenti bastava solo questo pomeriggio!»

«Non ci sarebbe stato nessun pomeriggio se tu non avessi offeso la mia ragazza!»

«Ah, quindi è vero che state insieme!»

«Ed è vero che tu stai con Joe?» la sua, invece, era una domanda.

«Non sono affari che ti riguardano.» risposi sul vago, girandomi per andare via. Ma in men che non si dica, la sua mano venne appoggiata con forza al lato della mia testa su un armadietto dietro di me. I suoi occhi mi fissarono scongiuranti, mentre io non riuscivo a muovermi. Il suo sguardo profondo mi aveva incatenata al terreno.

«No.» riuscii a rispondere, mentre lui, quasi sollevato, si girò e andò verso l'aula in cui avrebbe tenuto la prossima lezione. Restai lì, a fissarlo.

Angolo autrice:

Cosa ne pensate?

-Francesca_Rocco

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