Parte 1

Novembre, è autunno, le foglie ormai tinte di rosso purpureo e noce, tra spruzzi dorati e rimasugli di verdi paludosi, scuri come pochi, coprono il terreno come un tappeto da gran gala, umido e scivoloso di quando in quando, ma crepitante come fiammelle di un caldo ed accogliente focolare. Quel manto, abito dei marciapiedi, cambia le cose, più vite si intrecciano su di esso attraverso le suole delle scarpe, sporcandolo dei propri passi, strascicati o rapidi, lenti o goffi e, con essi, si uniscono anche le tracce di passanti sconosciuti e futuri incontri ancora tutti da scoprire, cancellando quel calore che le sue tinte esprimono.

In quel periodo di grandi mutamenti, una pioggia di fuoco si rifletteva nel chiarore di due occhi giovani, ancora carichi di quella meraviglia dell'infanzia che, in molti suoi coetanei, si era già spenta da molto, molto tempo, e così, mentre altri si erano abbandonati alla realtà che, dopo tante false speranze, li aveva affondati, per lui era diverso, niente lo sforzava o insudiciava, lasciandolo in un misto di innocenza e curiosità che mai nessuno avrebbe potuto strappargli.

Giovanni passava il suo tempo in tranquillità, dimentico di ogni dolore che lo aveva avvolto in passato, della paura che stava ad accompagnarlo, di piccoli brividi e sobbalzi che, in un ragazzo del tutto normale, sono sintomo di quotidianità, lasciando che fosse l'orologio sopra la cattedra a scandire i secondi, il momento che da presente diventava passato ancor prima di potersene rendere conto. Oramai mancavano pochi minuti e sarebbe scaduto il termine per quel giorno, ed il ragazzo, agli occhi dei presenti, non aveva ancora eseguito ciò che aveva programmato, ma lui non se ne curava affatto, l'arrivo del freddo lo rendeva placido, tranquillo e sereno, quasi assopito e pronto a recarsi sotto le coperte al minimo spiffero che gli giungeva dall'inferriata, evidentemente mal sigillata, accanto alla quale si trovava. Nonostante il leggero fresco, sintomo inequivocabile del grigio e brillantino inverno alle porte, il giovane non poteva dire di detestare quel posto, si trovava alla metà perfetta dell'aula, ma sufficientemente coperto dal portatile dell'insegnante, accanto ai soliti assenti che, con le loro continue alternanze, gli fornivano la possibilità di vedere la lavagna e prendere adeguatamente gli appunti per il proprio studio personale ed il suo occasionale scrivere in privato per riposare la mente dalle troppe informazioni acquisite, insomma, era seduto al banco perfetto.
Ancora dieci minuti, l'ago sembrava invischiato nella melassa, quasi non volesse mettere fretta all'inevitabile, permettendogli di pregustarsi ogni piccolo particolare intorno a sé, Gabriele all'angolo opposto della classe, intento a passarsi l'indice nei folti riccioli scuri per poi staccarne uno, fissandolo con languore, come dinnanzi ad un vecchio e caro amico al quale oramai si dice addio, per poi prenderlo fra le dita grosse e tremolanti e spezzarlo, come farebbe una fanciulla con lo stelo di un fiore, pronta a trasformarlo in ghirlanda, liberandolo nell'aria in modo che si accompagni agli altri sulle mattonelle ghiacciate, creando così un vero e proprio campo di battaglia. Poi Ilaria, a destra, a picchiettare distrattamente la penna sulle labbra sottili, il quaderno coperto di cuori infilzati da frecce, tenuto con gelosia e cura della ragazza, mentre Giacomo, alle sue spalle, leggeva un fumetto nascosto sotto il libro di testo ridendone divertito, con la mano poggiata sulla bocca per non farsi scoprire. Ancora cinque minuti, ancora pochi pensieri, poco da attendere, e lo sguardo aguzzo, blu come la notte più buia, della professoressa ad infilzargli le guance soffici, anche lei sapeva che qualcosa era in agguato, che presto si sarebbe scatenato, ma ancora c'era da attendere, come stava aspettando lui, mantenendo compostezza e tranquillità. Era troppo tardi, qualsiasi cosa stesse pensando la donna davanti a sé, nel tentativo di fargli desistere i propri intenti, era perfettamente inutile a quel punto, una mancanza di rispetto nei confronti di ciò che vi era ad attenderla, dell'evento che, con tanta semplicità, quanto accurata premeditazione, il ragazzo si era premunito di organizzare da ancor prima che quella vecchia strega ricurva, occhialuta e malvagia, mettesse il primo stivale livello ginocchio nell'aula quel pomeriggio. Non poteva certamente accusarla di nulla, nella sua materia aveva il massimo dei voti, ma era l'orario ad aver segnato la condanna della donna, lo sapevano tutti in quel corso cosa accadeva a colui o colei che accettava la sua classe per le ultime due ore al termine delle lezioni. Avevano passato tutti gli insegnanti fin dal primo anno, a rotazione, uomini o donne che fossero, più o meno giovani, da quelli definiti "rigidi" ai "simpaticoni", ma nessuno poteva sfuggirgli ed ora era il turno della professoressa Ferraris, biologia. Nei suoi pensieri, Giovanni, già pregustava il viso della zitella adirarsi, fremeva nell'attesa, ancora trenta secondi, anche gli sguardi dei compagni cominciarono a voltarsi verso il suo, li sentiva premere, fremere come cavalli imbizzarriti, ma lui ne teneva le redini, non sarebbero scappati facilmente.

<< Bene ragazzi, per oggi la lezione è conclusa, ora vi do i compiti per la prossima volta, mi raccomando, mi aspetto di vedere gli esercizi ordinati sul quaderno >>

Un gesto, un sorriso si ampliò sul suo viso, la sedia dell'insegnante gemette strisciando sulle gambe metalliche, un pianto ancestrale, l'ovazione al suo operato che prendeva voce, i tacchi degli stivali della donna schioccarono uno dopo l'altro mentre questa abbassava gli occhiali ritirandovi in dentro le stanghette ed appoggiandoli poi sulla cattedra, le mani rugose a cercare il sostegno sulle spalliere in legno, le dita ancorate di supporto e poi una semplice spinta verso l'alto. Tutto si fece silenzio quando un suono secco irruppe, uno strappo, doloroso, lungo e forte, le emozioni cambiarono, e fu il viso della professoressa, questa volta, ad essere infilzato dal suo, di secondo in secondo essa assunse un colorito rosso, si gonfiò di rabbia ed imbarazzo mentre da ogni parte della stanza sonore risate e dita indicatrici la puntavano con scherno. Uno strato, quasi impercettibile, di colla era stato lisciato con cura, sul suo posto, da una mano esperta, d'artista, come lo era quella di Giovanni, non un filo di bava trasparente a tradirlo, nemmeno un odore o un'umida sensazione, il tempo era passato mentre la sostanza entrava in contatto con il tessuto spesso della sottana di quella befana, per poi, con un semplice gesto di quest'ultima, spezzarsi e lasciarla come si trovava ora, in mutande, orribili mutandoni da vecchia, e sotto lo scherno di tutti, era la punizione giusta ? Forse, ma magari anche no, come il giovane aveva già specificato, più a sé stesso che ad altri, la donna era solo capitata nell'orario sbagliato, nulla di più.

<< ROSSI !!! >>
<< Lo so, in punizione >>

Giovanni si alzò in piedi allontanando la propria sedia e recuperò lo zaino avviandosi alla porta, in sottofondo le risate ed il trillare insistente della campanella che dichiarava la fine delle lezioni di quel giorno per tutti, tranne che per lui e qualche altro sventurato malcapitato, ma c'era una grande differenza fra lui e quegli stupidi zucche vuote che finivano nella stanza delle punizioni per pura imbecillità e quella era, il volere personale. Le modalità e la premeditazione nel combinare dei guai all'interno della scuola è come l'essere o meno un criminale mediocre, un ladro nella media, punta al bottino ed a sparire fino a quando la polizia lo becca, ma, un genio, continua fino a quando non decide lui di smettere ed era proprio questa la sottile differenza da lui ed un intasa cessi qualsiasi. Nei corridoi gli alunni defluivano rapidamente nella sua direzione, tra grida, colpi secchi di piedi pesanti, e spintoni, il giovane si chiedeva continuamente perché l'aula delle punizioni dovesse trovarsi esattamente dal lato opposto rispetto all'uscita, era terribilmente scomodo. Non appena varcò la soglia il signor Bezzolato, l'insegnante di letteratura delle seconde, era già al suo posto intento a leggere, oltre a lui non c'era nessuno, cosa davvero particolare a dire il vero visto che, solitamente, c'erano almeno Kevin ed i suoi compari, ma forse quel giorno erano rimasti a casa, non era una cosa così strana, erano il tipo di persone nate per infastidire le altre con la loro sola presenza, il pensiero di quello che gli avevano fatto in passato era ancora così vivido, riaccendeva incubi che credeva ormai assopiti, c'era solo una cosa che poteva aiutarlo a calmarsi adesso.

<< Prof posso ... >>
<< Certo, va pure, ma vedi di non metterci troppo questa volta >>

E così Giovanni lasciò cadere lo zaino in un angolo e corse di nuovo fuori sorridendo, nessun altro ragazzo della scuola, anzi, forse del mondo intero, poteva ritenersi più felice di essere diretto ai sudici bagni dell'istituto, un paio di curve, un lungo corridoio e la meta fu in vista, il silenzio a regnare sovrano e la voglia di entrare che premeva nel suo cuore. Il giovane appoggiò la mano sul legno laccato di rosso mentre con l'altra girava la maniglia aprendo l'ingresso ed entrare così in quell'ambiente così candido dal profumo pungente di varechina, era tutto diverso dalla settimana prima. Gli specchi che si trovavano sulla destra, in cima ai lavandini, erano stati eliminati e questo rendeva l'intero ambiente leggermente soffuso, anche perché le luci sul soffitto, come sempre, avevano la brutta abitudine di sfarfallare spesso, per non parlare delle porte scardinate, insomma, quel bagno era una vera e propria trappola mortale, ma anche il suo luogo preferito. La finestra sul fondo della stanza sbatté leggermente per un colpo di vento spingendolo ad avvicinarvisi ed alzarsi sulle punte dei piedi per chiuderla prima che si rompesse, fu allora che un paio di grandi mani si appoggiarono alle sue spalle facendolo sussultare dalla paura e voltare di scatto con il cuore che gli batteva a mille, gli occhi già umidi.

<< Scusa piccolo, non volevo spaventarti >>
<< Sei proprio un cretino ! >>

Il ragazzo si gettò subito fra le bracia del più grande avvinghiandosi al suo collo forte mentre le mani di quest'ultimo gli si portarono alla vita facendolo sollevare da terra di qualche centimetro, fisicamente, e di varie centinaia di chilometri, mentalmente. Giovanni era così felice, il suo cuore batteva furiosamente, erano passate meno di  settantadue ore dall'ultima volta che si erano incontrati, accidenti, dimenticava, aveva pure incrociato lo sguardo dell'altro durante la pausa pranzo, era stato da quel momento che l'attesa si era fatta più pesante, più soffocante e dolorosa e lo aveva spinto al limite pur di essere spedito in punizione, solo per lui, per vederlo. Non c'era mai stata altra possibilità per far svolgere i loro incontri in sicurezza e completa privacy, si amavano così tanto, ma una relazione fra loro sembrava completamente impossibile, insomma, erano un ragazzino di 17 anni ed un uomo di 35, nemmeno così influente nel suo ambiente lavorativo, né un insegnante o un consulente, ma un bidello, un semplice operatore scolastico facilmente sostituibile.  Se avessero saputo di loro il maggiore si sarebbe ritrovato in galera e l'altro completamente solo, come all'inizio, di nuovo da casa a scuola e poi di nuovo a casa, tra compiti e mondi fantastici nei quali non sarebbe mai potuto essere tanto appagato come lo era sempre con Riccardo quando stavano insieme. Giovanni lo sognava di notte e di giorno, quei capelli neri leggermente mossi che gli arrivavano fino alle spalle larghe, gli occhi di un caldo marrone scuro, il mento forte e le labbra sottili, il più grande era così alto e forte rispetto a lui che lo faceva sentire protetto ed amato in ogni gesto, l'enorme uniforme da lavoro che portava a lavoro, di un umile grigio topo, con la targhetta a livello del pettorale sinistro, nascondeva il suo fisico scolpito in modo perfetto, ma la cosa che il giovane amava più di tutto in lui era la sua barba non troppo lunga, adorava passarvi le dita e lasciarvi baci sopra con dolcezza, il suo contatto era piacevole quasi come se gli venissero dati migliaia di piccoli pizzicotti.

<< Rick, lo sai che ho una paura matta dopo quella volta, non mi devi arrivare alle spalle così all'improvviso >>
<< Hai ragione, scusami, ma anche tu sembri esserti dimenticato di una cosa importante >>
<< Lo so, lo so ... niente soprannomi >>
<< Anche, ma non solo >>

Il corvino portò la mano destra sulla guancia sinistra dello studente e chiuse lentamente gli occhi mettendo a contatto le loro labbra in un bacio inizialmente semplice, ma mano a mano più profondo e bisognoso, soprattutto da parte del più piccolo che tornò ad agganciarsi all'altro come da una fonte d'acqua fresca, accogliendone la lingua con la propria e lasciandolo libero di accarezzarlo dove preferisse, con i suoi tempi lenti e delicati. No, nessuno poteva capirli, li avrebbero considerati un errore, accusando Riccardo di averlo fuorviato, ma non era così, se avessero saputo la verità fino in fondo avrebbero capito le ragioni del loro amore, chi mai non si sarebbe innamorato di un uomo tanto gentile ? In confronto i coetanei di Giovanni erano come bestie crudeli e tenebrose, volte ai loro istinti primordiali che pensavano solo ai loro bisogni ed interessi, noncuranti dei sentimenti del prossimo, menefreghisti se si trattava delle suppliche dei più deboli, ma anzi divertiti dalla sofferenza, una massa di pecoroni dalla quale si teneva ben distante, il maggiore era l'unica cosa davvero importante rimastagli, era il suo eroe e non avrebbe mai smesso di ringraziarlo abbastanza per averlo salvato, quasi un anno prima, in quello stesso bagno dove, tra urla ed un pianto infernale, aveva perso la verginità, due paia di ragazzi alla volta.

Ecco il primo capitolo della storia per il concorso di shinigami_micchan

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