CAPITOLO XVIII
Quando mio padre aprì il portone di casa, Jackson, lasciò tutti stupiti, compresa me.
Com'era vestito? In maniera elegante; sembrava un vero e proprio principe e in mano teneva un mazzo di rose.
Non ero l'unica ad essere rimasta impressionata a quanto pare, infatti non appena scesi le scale, anche lui rimase a bocca aperta: ricordo bene la sua faccia.
Gradino dopo gradino, Jackson, teneva la sua bocca leggermente aperta, tipico segno di stupore e quando mi avvicinai a lui...
– Sei bellissima...–
Sorrisi imbarazzata.
– Oh sì, questi sono per te. – disse porgendomi il mazzo di rose.
– Sono bellissime, non dovevi. –
Ci guardammo per qualche secondo per poi scoppiare a ridere come due sciocchi, in realtà, si percepiva nell'aria l'intero imbarazzo.
– E così tu sei Jackson, assomigli un sacco ad un vecchio amico di famiglia...– con questa frase, mio padre interruppe il momento imbarazzante.
– Sì, sono io, piacere di conoscerla signore. –
– Scusa se mi permetto, ma tu sei il figlio di...–
Afferrai il braccio di Jackson e dissi: – Andiamo, è tardi! –
Volevo evitare ad ogni costo che mio padre scoprisse l'identità di Jackson.
– Noi andiamo, non aspettatemi sveglia. – puntualizzai.
– A mezzanotte a casa, mi raccomando. –
– Tranquilla mamma. –
Mentre ci girammo verso il portone...
– Ah! Fermo giovanotto...– aggiunse mio padre.
Ricordo che Jackson si bloccò.
– M-mi dica...–
– Spero non ti salgano strani pensieri con mia figlia. –
– No, stia tranquillo. – rispose sorridendo.
– Infine, ci tenevo a dirti "benvenuto in famiglia". –
– Papà! – lo rimproverai.
Dopo un paio di secondi misti tra ansia e imbarazzo, finalmente, uscimmo di casa.
– Dove andiamo? – chiesi.
– Tranquilla, ho tutto sotto controllo. –
Camminammo per oltre dieci minuti, i tacchi iniziavano ad ammazzarmi i piedi, non vedevo l'ora di sedermi e poi, ero troppo curiosa di sapere dove Jackson mi avrebbe portata.
Una volta arrivati a destinazione, realizzai che il dolore e l'attesa ne erano valsi la pena, Jackson infatti mi portò in un ristorante all'aperto mozzafiato.
Ricordo ancora oggi quel posto, rimasi estasiata.
Come detto prima, era un ristorante all'aperto, non faceva freddo, anzi, si stava da dio, Jackson calcolò anche la temperatura, era un ragazzo pignolo e quando voleva fare una cosa la faceva sempre calcolando anche i minimi dettagli.
Il ristorante era pieno di persone, tutte che ci squadravano per come eravamo vestiti, ma non ci importava, soprattutto a me dato che ero troppo concentrata ad osservare il posto.
L'atmosfera era davvero incantevole: essendo quasi all'aperto, i tavoli erano disposti in uno spazio verde circondato da alberi e piccole siepi illuminate e alzando lo sguardo potevi notare delle travi in legno, alle quali erano avvolte tante piccole lucine.
Era come trovarsi sotto un cielo stellato, era davvero mozzafiato, mi sentivo ad un vero e proprio appuntamento.
Il cameriere ci venne incontro.
– Signori. –
– Ho prenotato con il nome Morrison. –
– Signor Morrison, l'aspettavamo, seguitemi. – disse accompagnandoci al tavolo.
– Ecco a voi il tavolo sette, come richiesto da lei, signore. –
– La prego, non mi chiami signore...–
– Scusi signore, ehm... volevo dire...Morrison. –
Jackson gli sorrise e gli lasciò venti dollari.
Mi stavo per sedere, ma Jackson si avvicinò subito alla mia sedia.
– Aspetta che fai?! Devo spostarti la sedia! – mi rimproverò.
– Siamo galanti stasera, eh? – lo stuzzicai.
– Sì, ma non farci l'abitudine, domani ti tratterò nuovamente a pesci in faccia. –
– Allora mi dovrò godere in pieno questa serata. –
La cena si presentò ben oltre le mie aspettative, fu davvero eccezionale, non mi sentivo una ragazzina a cena fuori, ma una vera e propria principessa.
Parlammo di tutto quanto, persino della sua vita scolastica quand'era vivo.
– Avevo una media alta, nella maggior parte delle materie A, ricordo solo una sufficienza regalata. –
– In che materia? –
– Storia Americana... non sono mai riuscito a farmela piacere, davvero, troppe date e troppi episodi. –
– Dovresti avere l'orgoglio americano. –
– Sono orgoglioso di esserlo, ma diciamo che mio padre non ha agevolato lo sviluppo di tale orgoglio. –
– Vorresti rivederlo? –
– Sì... ma solo per chiedergli il perché. –
– In che senso? –
– Il perché abbia deciso di servire la patria anziché godersi la famiglia. –
– Vedila da un altro punto di vista, ha comunque salvato delle vite, non credi? –
– Non certamente la mia. –
Rimasi in silenzio, mi aveva lasciato senza parole.
Cercai di cambiare argomento immediatamente, per evitare che pensasse a cose poco piacevoli.
– Per lo sport? Non ti ho mai visto praticarlo quando eravamo compagni di classe. –
– Stavo nella squadra di football, ma non ne avevo bisogno, feci solo cinque mesi e poi mollai tutto. –
–Perché? Non ti sentivi adatto? –
– No, anzi, il coach ricordo che mi ripeteva sempre "giocherai per la NFL un giorno...", lui fu il mio primo e vero tifoso. –
– Il professor Myers ti diceva così?! Non è da lui! Dovevi essere davvero bravo per ricevere questo complimento da lui. Ryan era bravissimo, ma non mi ricordo un complimento da parte del professore. –
– Probabilmente perché non era una persona empatica. –
– Che vuoi dire? –
– Nel football devi essere un esempio per i tuoi compagni di squadra, devi saperti comportare e devi saper incoraggiare e capire i tuoi compagni. –
Non controbattei, aveva ragione Jackson, Ryan era una persona che pensava solo ai suoi interessi, come potevo contraddirlo?
A cena mangiammo di tutto, credo che in quell'occasione abbia preso almeno cinque chili.
Dopo due ore, Jackson chiese il conto e quando arrivò non mi fece vedere il totale, sicuramente avevamo speso molto, o meglio, aveva speso molto perché anche in quell'occasione, non mi fece pagare nulla, nonostante mi impuntassi in tutti i modi di fare metà e metà, ma non c'era verso.
– Non voglio che mi offri nulla! Sono io l'uomo! –
– Jackson, sveglia, non siamo più nel 1300. –
– Oggi sì, come vedi, sono vestito da principe e tu da marmotta. –
– Ehi! – dissi con tono arrabbiato e facendogli il solletico.
– Principessa! Principessa! Sei vestita da principessa! – cambiò subito lui.
Ci guardammo negli occhi con un sorriso stampato sulle facce, eravamo felici di quella serata e si percepiva che entrambi non volevamo finisse.
– Sono quasi le undici, che facciamo? –
– Ho un'ultima sorpresa per te, voglio portarti qui vicino. –
Così, mi portò in uno spiazzo in cui vi era una larga e lunga tettoia, anch'essa addobbata con tante lucette.
– Vorrei concludere tutto questo con un ballo. –
– Ahah, senza musica? – dissi sorridendo.
Jackson si voltò, mi chiedevo cosa stesse guardando, ma poi capii e come al suo solito mi fece imbarazzare.
– La musica c'è. – affermò con sicurezza.
– Hai preso dei musicisti solo per mezz'ora? –
– Se ti lamenti ancora ti lascio qui. –
Mi misi a ridere e poi iniziammo a ballare accompagnati da una musica romantica, anche fin troppo, infatti io e Jackson non finivamo di ridere.
– Grazie per questa serata, ma non ti sembra più un ballo di fine anno questo? –
– In effetti ci ho pensato anch'io mentre prendevo il costume da principe, pensavo "ma non è per Halloween...", ma alla fine l'ho preso ugualmente. –
– E hai fatto bene... facciamo così! Cambiamo, questo non è più il ballo di Halloween, ma di fine anno. –
– Ci sto, ma non è possibile che non decidiamo mai perfettamente le cose! –
Scoppiammo a ridere, in effetti, sembravamo tutto fuorché amici o fidanzati, eravamo sempre disorganizzati, ma in ogni caso, andava sempre tutto bene.
– Sei felice? – mi chiese lui all'improvviso.
– Come? –
– Con Alan, sei felice? –
– Continuiamo a ballare. – provai a cambiare discorso.
Il suo silenzio non durò tantissimo.
– Se sei felice tu, lo sono anch'io. – affermò.
Non seppi rispondere.
– Anche quando stavi con Ryan, anche se mi dava fastidio, vedevo te felice, mi bastava quello. –
Guardai Jackson per qualche istante in silenzio, ci teneva davvero tanto a me.
Dopo qualche attimo, senza che me ne accorgessi, le nostre labbra si avvicinarono e a pochi millimetri di distanza il tutto fu interrotto da una chiamata, era Alan.
– Scusami. – dissi a Jackson.
– Pronto, Alan? –
– Ehi principessa, è tutto il giorno che non rispondi ai messaggi, ma che stai facendo? –
– Sono qui con Jackson e... ho passato tutto il giorno a studiare. –
– Ancora con questa storia? Quel fantasma... comunque ti ho chiamato per ricordati che domani ci dobbiamo vedere per questa storia. –
– Sì...–
– Passo da te per le otto di mattina, ok? –
– Così presto? –
– Sì, sai che la sera ho gli allenamenti. –
– D'accordo, a domani...–
– Ciao principessa, ti amo. –
Sospirai e subito dopo notai che Jackson mi stava osservando.
– Jackson...– provai a spiegargli.
– Ehi, non devi giustificarti, solo amici hai detto, no? – replicò sorridendo.
Contraccambiai il sorriso e lo abbracciai.
– Andiamo a casa, domani devi svegliarti presto. –
Tornando a casa mancavano i dialoghi, sembrava quasi non avesse più voglia di parlare.
Ricordo che arrivati al portone di casa mia, mi sorrise e divenne come al suo solito, trasparente e invisibile agli occhi degli altri.
La magica serata era ormai finita.
Entrai a casa e mia madre subito iniziò a curiosare.
– Tesoro! Come è andata?! –
Guardai fuori dalla finestra dietro al divano del soggiorno: vidi Jackson sollevarsi in aria come al suo solito quando entrava in camera mia.
– Bene, scusami...sono un po' stanca, vado a riposare, domattina passa Alan. –
– Non ti sei divertita? –
– Tantissimo! – e mentre andavo verso la mia camera mormorai a me stessa: – Anche troppo...–
La notte dormii poco e niente, infatti, ci misi un po' ad alzarmi la mattina, mi svegliò solo il campanello che continuava e suonare.
Prima di aprire il portone, andai verso il frigo a prendere un succo di frutta per sciacquarmi un po' la bocca, per evitare il classico odore sgradevole di prima mattina.
– Ehi, ma quanto ci hai messo ad aprirmi? Sei una principessa anche appena sveglia. –
Notai Jackson con la coda dell'occhio mentre imitava il gesto del vomito per prendere in giro la dolcezza di Alan, inutile dire che sghignazzai.
– Perché sorridi? Certo che è da ieri che sei strana. –
– Niente Alan, ho solo pensato ad una cosa che mi ha detto Courtney e mi ha fatto sorridere. –
Andammo in camera, Alan voleva conoscere a tutti i costi Jackson, anche se nutriva un forte dubbio sulla sua esistenza.
– Adesso dov'è questo presunto fantasma? –
– Ti sta osservando da quella scrivania. –
– Capisco. – Alan si alzò dal letto e andò verso la scrivania.
Jackson e Alan erano uno di fronte all'altro, ma ovviamente, Alan, non vedeva nulla.
– Piacere Alan. – disse porgendo la mano.
Non successe nulla; Jackson era visibilmente innervosito dall'atteggiamento sfrontato e scettico di Alan.
Avevo paura che Jackson scatenasse la sua forza sulla faccia di Alan e di sicuro, non sarebbe finita bene.
Alan si voltò verso di me, con un sorriso che esprimeva la sua forte convinzione che in realtà questo fantasma, non esistesse.
– Allora? Perché non si fa vedere? –
– Non gli stai simpatico e facendo così lo alteri. –
– Ah sì? Bene, allora facciamo così: fantasma, perché non ti fai vedere? Fai cadere un oggetto per dimostrare la tua presenza. –
– Alan, non è un cane...–
– Sei forse timido? – continuò lui stuzzicandolo.
In quel momento sentii Jackson parlare.
– Stronzo. –
Lo sentii solo io e questo voleva dire solo una cosa, ossia, che Jackson stava per attaccare, decisi di mettermi in mezzo per evitare un lago di sangue.
– Alan, smettila. –
– Non esiste, visto? –
– Se non vuoi credermi va bene, ma basta che la finisci di provocarlo. –
– Altrimenti che fa? – rispose con tono provocatorio.
Poco dopo, Alan superò il limite.
– Ti sei divertito ieri, Jackson? Lo so... Allyson è fantastica! Peccato che tu non sia vivo per poterla toccare. Jackson, perché non rispondi? –
– Alan, smettila! – urlai. Stava infastidendo anche me.
– Io posso fare questo a differenza sua. – subito dopo mi baciò.
Jackson guardò quella scena con sguardo assente.
Ricordo solo due cose: il sorriso poco rassicurante che mi rivolse Jackson e le parole che sussurrò ad Alan con voce raccapricciante, afferrandogli con violenza la spalla: – Perché provochi il diavolo e adesso ti metti a tremare...? Piacere Jackson – e infine il suo corpo sparì, al suo posto, solo del fumo nero.
– Jackson...– mormorai con un filo voce.
Era sparito, nella stanza c'ero solo io, mentre Alan era ancora fermo pietrificato dalla paura.
Alan non fece nulla, se non andare via dicendo semplicemente: – Ci vediamo domani. –
Rimasi da sola nella camera, caddi con le ginocchia; guardavo fuori dalla finestra sperando che Jackson riapparisse, ma niente da fare, ormai, l'avevo perso per sempre.
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top