CAPITOLO XIX


Jackson era sparito; i mesi successivi li passai guardando la nostra unica foto assieme di quella notte al ballo.

Non avrei mai pensato che mi sarebbe mancato così tanto.

Passai i mesi successivi come una semplice liceale, dividendo il tempo tra: studio, uscite con amici, film e cibo spazzatura.

Il giorno di Halloween fu terribile, sapere che l'anno prima c'era Jackson che mi aspettava a casa, mi faceva soffrire, ma in ogni caso sorridevo, pur non sapendo il motivo; in realtà ero triste, quasi apatica.

Vivevo le giornate senza provare forti emozioni, nemmeno Alan e Courtney li vedevo perfetti come prima: uscivo con loro, ma il mio sorriso non era così sincero come un tempo.

Una buona notizia arrivò durante il periodo natalizio, quando mia madre insieme a mio padre, mi comunicò che la casa a Princeton, in realtà, non era stata venduta.

– Ciao, sono a casa. – salutai.

– Ally! Come è andata a scuola? – mi accolse raggiante mia madre.

– Come al solito. Come mai tutti questi ingredienti sul tavolo? Stai preparando una torta? –

– Sì, da quando siamo qui non ho ancora preparato la tua torta preferita. –

– Capisco. Papà? È a lavoro? –

– Sì e questa torta è anche per lui, almeno quando torna lo rendiamo un po' felice, non lo dà a vedere, ma infondo, anche a tuo padre manca un po' Princeton. –

– Princeton manca un po' a tutti...– aggiunsi malinconica.

– Allyson, hai organizzato qualcosa con i tuoi amici per questo Natale? – domandò mia madre.

– No, sinceramente no. –

– Vuoi venire con noi nella vecchia casa di Princeton? Io e papà pensavamo di andare lì con tutti i tuoi zii e i tuoi cugini. –

– Nella casa di Princeton? Non è stata venduta? –

– Alla fine abbiamo ritirato la richiesta di vendita; abbiamo troppi bei ricordi in quella casa. –

– Verrà anche Sydney? Da quando siamo qui non si è ancora fatta vedere una volta, eppure, diceva che sarebbe venuta a trovarci più spesso essendo nella stessa città. –

– Ally... su, non essere polemica, lo sai che tua sorella studia tanto al college, è normale che non abbia tanto tempo libero, comunque, se tanto ci tieni a saperlo, ci sarà anche Sydney con noi. –

– D'accordo, fammi solo sapere la data di partenza. –

– Quand'è l'ultimo giorno di scuola? –

– Non saprei, voci di corridoio dicono che le vacanze natalizie inizino dal venti. –

– Se vengono confermate partiremo per quel giorno. –

Il giorno dopo, a scuola, la data dell'inizio delle vacanze natalizie fu comunicata, confermando le voci di corridoio.

Ero davvero entusiasta di questa notizia, Princeton... la mia città natale... non potevo crederci che sarei tornata là.

Alla ricreazione comunicai il mio lungo viaggio ad Alan e Courtney, ci rimasero un po' male perché volevano organizzare una festa tutti insieme, ma niente valeva più di tornare a Princeton, lì, dove tutto iniziò.

Promisi che avremmo passato Capodanno assieme, giusto per non sentirli lamentarsi troppo. I giorni successivi passarono velocemente, ci fu solo una breve uscita con Alan il giorno prima del viaggio.

Mi fece strano il pomeriggio del venti dicembre, fu come ripercorrere un déjà-vu: le uniche cose diverse sarebbero state solo l'ora della partenza, ovvero mezzogiorno, e la compagnia al lago; durante il trasferimento a Sacramento avevo Jackson, ora invece mia sorella Sydney.

Per tutto il viaggio staccai internet, non volevo sentire proprio nessuno e lasciarmi alle spalle Sacramento per tutte quelle ore di macchina.

Arrivai a Princeton il ventitré alle cinque di pomeriggio e di fronte alla vecchia casa, iniziai a piangere per l'emozione: mi era mancata un sacco. Non fui però l'unica a commuoversi, infatti girando lo sguardo verso mio padre, mi accorsi che anche lui stava piangendo, cercando di non dare nell' occhio, ma era troppo tardi.

L'emozione cresceva man mano che ci si avvicinava alla casa.

– Ecco la mia dimora!!! – urlai felicemente.

– Oddio quanti ricordi! – gridò mia madre.

– Voglio subito andare in bagno per ribattezzarlo! – disse mio padre.

Quella frase suonò strana, tanto da andare a controllare che cosa volesse fare.

Inutile, l'ironia di mio padre non aveva fine; stava abbracciando il water felicemente.

– Papà, mi spieghi che problemi ti affliggono? – chiesi con tono divertito.

– Figliola, questa tazza ha sopportato i miei bisogni fisiologici, ma non solo, anche i rigetti continui di tua madre quando tu e Sydney eravate nella sua pancia; è stato anche il luogo sacro in cui racchiudevo tutti i miei pensieri. –

– Era meglio che stavo zitta. –

Andai subito in camera mia per appoggiare le valige e i ricordi mi tormentarono piacevolmente la testa.

– Il mio letto! La mia scrivania! Il mio...armadio... Jackson ne sarebbe stato entusiasta...– esclamai ad alta voce.

– Jackson? Ancora quel nome? –

Mi spaventai.

– Sydney! Perché non bussi prima di entrare?! –

– Rilassati, sono solo venuta a portarti la playstation, andiamo, attacca tutto che ci facciamo un paio di partite in memoria dei vecchi tempi. –

Sorrisi, mia sorella era visibilmente dispiaciuta per non aver passato del tempo insieme e voleva recuperarlo stando per qualche ora con me.

– Io torno di sotto, vado a preparare due tazze di cioccolata calda; non ricordavo che facesse così tanto freddo a Princeton. –

– Tranquilla, appena hai finito, ritorna qui, dobbiamo finire quel livello a tutti i costi! – esclamai determinata.

Tutto l'entusiasmo si interruppe a causa di un messaggio: era il gruppo di WhatsApp mio, di Alan e di Courtney.

Courtney: Come è andato il viaggio?!

Io: Tutto bene, un po' stressante, ma è sempre bello tornare a casa.

Alan: Appena torni qui ci dobbiamo vedere, non sai quanto ci manchi principessa.

Courtney: Ehi!!! Vi ricordo che sono l'unica single qui!

Alan: Magari l'amico invisibile di Allyson è disponibile.

Courtney: In effetti non hai una foto di Jackson? Magari lo faccio diventare il mio fantasma personalizzato ahah, sai che scherzo.

Io: Mi state infastidendo, comunque, se tanto ci tenete, ecco una foto con Jackson.

Inviai la foto scattata con Jackson allo pseudo ballo di fine anno e subito iniziò il putiferio.

Alan: E questa foto? Quando l'hai scattata?

Io: Ero uscita con Jackson una volta, ma tu non avevi detto che era una stupidaggine la sua esistenza?

Alan: Questo episodio mi dà molto fastidio, perché non hai detto nulla?!

Io: Senti non iniziare...

Courtney: Quanto è bello!!! È un peccato che sia passato a miglior vita...

Alan: Di sicuro lo troverà così anche Allyson dato che ha avuto un appuntamento con lui.

Il messaggio di Alan, ma soprattutto quello di Courtney, mi fece infuriare; ero fuori di me.

Io: Sentite, mi avete stancata con questi commenti, avevate voglia di rovinarmi la vacanza?! Bene! Ci siete riusciti, complimenti! E a Capodanno scordatevi che venga! Ciao!

Lanciai il telefono violentemente sul letto, iniziai a piangere dal nervoso; volevo solamente uscire per prendere una boccata d'aria.

Mi diressi verso il portone di casa.

– Allyson, dove vai? Non giochiamo più? – chiese mia sorella.

– Ma cos'ha? – domandò Sydney a mia madre.

– Avrà litigato con il suo ragazzo, lasciala uscire. –

Mi incamminai senza una destinazione precisa, volevo solo camminare e sfogarmi da sola.

"Perché sto reagendo così?" pensai.

Non riuscivo a darmi una spiegazione logica.

Mi sedetti su una panchina in un parco: faceva freddo e attorno a me era tutto bianco; aveva nevicato parecchio a Princeton.

Mentre cercavo una soluzione per la mia rabbia, la mia mente fu catturata da una coppia di giovani fidanzati; erano mano nella mano, sembravano davvero felici, in loro non capivo perché, ma rivedevo quella famosa serata con Jackson nello spiazzo mentre ballavamo.

Quando la coppia mi guardò, abbassai lo sguardo dall'imbarazzo, avevano sicuramente notato che li stavo guardando intensamente.

In realtà, non si sentirono osservati, o meglio, approfittarono del mio sguardo per chiedermi delle informazioni; erano dei semplici turisti.

– Scusami, ehm... posso chiederti un'informazione? –

Non erano sicuramente americani, ma qualcosa mi diceva che fossero italiani, forse un po' per il loro accento.

– Sì ditemi. –

– Vorremo visitare la Princeton University Art Museum, come possiamo arrivarci? –

– Allora, non è difficile, spero mi possiate capire. –

La ragazza non mi preoccupava, ma di sicuro il ragazzo sì: guardava a me e la sua ragazza con una faccia confusa, si vedeva che non capiva nulla di ciò che dicevamo.

– Dovete andare verso Harrison street, sono circa sette minuti a piedi, dopodiché, prendete l'autobus Free b e scendete a Nassau street a Palmer Square. –

– Ok... da Palmer Square è molto distante? –

– No, dovete fare altri cinque minuti di camminata e siete arrivati, vi accompagno se volete. –

– No, tranquilla, sei stata gentilissima, grazie mille. –

– Davvero, non è un problema, non voglio vivere con la paura che vi possiate perdere solo perché non sono stata abbastanza chiara. –

Mi alzai dalla panchina e li accompagnai.

Durante il tragitto parlai molto con la turista, ma il suo ragazzo non disse nulla, si limitava a seguirci.

– Da dove venite? – chiesi curiosa.

– Siamo italiani, siamo venuti qui in America per un viaggio. –

– Italiani?! Dev'essere bella l'Italia! –

– Come tutti i paesi ha i suoi pro e i suoi contro. –

– Capisco, siete fidanzati da molto? –

– Da quasi tre anni. –

Nel frattempo raggiungemmo la fermata dell'autobus e tutto d'un tratto, quando ci sedemmo sull'autobus, il ragazzo che non parlava disse qualcosa in italiano, non so cosa esattamente, ma di sicuro, qualcosa di inappropriato dato che la ragazza lo guardò in malomodo dicendogli: 

– Ale, finiscila. –

Approfittai del momento per chiederle i loro nomi.

– Come vi chiamate? –

– Emanuela e lui Alessandro, tu invece? –

– Io mi chiamo Allyson, piacere. –

Per tutto il tragitto non c'è mai stato un momento di silenzio, finii per scoprire tante cose di lei.

– Tu sei una studentessa, vero? – chiese la turista incuriosita.

– Sì, studio a Sacramento, in California. –

– Aspetta, non ho capito, non sei di Princeton? –

– Ho vissuto qui per quindici anni, l'estate scorsa mi sono dovuta trasferire. –

– Hai perso molti amici? –

– No, forse solo uno...–

Fu in quel frangente che il ragazzo parlò.

– Fidanzato. –

Non capii subito si trattasse di una domanda.

– Ale, ma la vuoi smettere?! – questa frase la disse in italiano, ma si poteva capire che la ragazza lo stesse sgridando per la sua ingenuità.

Mi misi a ridere, erano davvero simpatici quando litigavano.

– Comunque no... diciamo che è un ragazzo a cui tengo molto, ma non credo possa esserci molto tra noi, siamo solo amici. – dissi con tono sicuro.

Il mio muro di sicurezza però, fu poi abbattuto dopo un secondo quando la ragazza non sembrò molto convinta della mia idea.

– Forse sono io troppo pessimista sulle cose, sono sempre stata così su tutto, anche con la scuola, non ho mai avuto le idee chiare. –

Scesi dall'autobus, la ragazza mi disse che le ricordavo suo fratello, non ricordo, mi pare si chiamasse Leonardo, o un qualcosa del genere.

– Mi ricordi mio fratello, anche lui è come te, una persona capace, ma che fa a pugni con sé stesso risultando poco costante. –

– Quanti anni ha? –

– Ne ha diciannove, ma a volte ne dimostra quattordici, soprattutto quando si demoralizza con poco e passa dall'essere felice all'essere arrabbiato in due secondi. –

– Però gli vuoi bene, no? –

– No. –

– Come no? – chiesi confusa.

– Quando fa così no, anche perché poi, quando non raggiunge degli obbiettivi si lamenta con sé stesso, rimpiangendo le cose, ma quando glielo faccio notare, mi dà ragione e poi rifà lo stesso errore. Si deprime senza capire che in realtà ha tutte le carte in regola per valere. –

Questa frase mi fece pensare tanto.

Mi schiarì le idee senza volerlo: il mio essere pessimista, il seguire delle persone sbagliate solo per avere una vita più facile, ma soprattutto, guardando loro due insieme, mi ricordava la mia felicità con Jackson quando eravamo assieme, mi mancava, con lui ero felice e senza essermene resa conto, mi piaceva davvero tanto.

Lasciai i ragazzi alla loro destinazione e dopo esserci salutati ci lasciammo.

Speravo con tutto il cuore che quei due ragazzi arrivassero fino alla vecchiaia insieme e che suo fratello potesse sentirsi realizzato e appoggiato da qualcuno.

In quel momento però, avevo solo un obbiettivo: Jackson.

Non poteva essere scomparso, avevo voglia di vederlo almeno un'ultima volta, almeno per capire se ciò che provavo fosse reale o una cosa passeggera.

L'unico posto in cui poteva stare, a parte casa mia, era dalla signora Pete.

Mi misi a correre, avevo voglia di vederlo e di dirgli che mi mancava più di ogni altra cosa.

Iniziai a correre per dieci minuti, non sentivo nemmeno la fatica talmente era forte la voglia di vederlo.

Non sapevo esattamente cosa gli avrei detto in quel momento, ma sapevo che una volta davanti a lui, le parole mi sarebbero uscite fuori.

Mi capitava sempre nei momenti di ansia e paranoie e Jackson su questo mi prendeva sempre in giro.

Mi trovai a pochi metri dalla casa della signora Pete, dovevo solo attraversare, ma a pochi centimetri dalla fine... i fari di un'auto che viaggiava velocemente mi illuminarono il viso, sentii un forte rumore di frenata, mi girai, non ebbi nemmeno il tempo di avere paura che subito... Boom.

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