CAPITOLO IV

Jackson's pov

Uscii da casa di Allyson, ero davvero furioso.

Ryan, con quel bastardo avevo già un conto in sospeso, ed era arrivato il momento di risolvere tutti i problemi.

In pochi minuti arrivai alla villa, fortunatamente, avevo intravisto l'indirizzo dal cellulare di Allyson.

Arrivato, iniziai a cercare quel bullo, dovevo vendicare Allyson, ma non solo, dovevo vendicarmi personalmente.

Dopo qualche minuto, lo vidi: era lì, che ci provava spudoratamente con una ragazza e in quel momento mi resi doppiamente conto di quanto quel tipo non la meritasse "E così per te, Allyson, era importante?". Provai: rabbia, astio, schifo e altre emozioni negative; agognavo con tutto me stesso di fargliela pagare.

Mi avvicinai lentamente, pensavo a come avrei potuto iniziare la mia vendetta finché poi non mi decisi a deriderlo.

Vidi un cesto di birra appoggiato sul tavolino e mentre Ryan stava per baciare quella ragazza, gli scaraventai quel grosso cesto di birra in pieno volto.

Fu una scena fantastica, era lì, con un labbro spaccato e bagnato di birra, ma ancora non ero soddisfatto.

Mentre quel piccolo bullo urlava furioso chiedendosi chi fosse stato, decisi di completare il tutto.

Fortunatamente non ero un essere normale, potevo utilizzare dell'energia per poter avere, per qualche minuto, la sensibilità del mio corpo e quindi, avere un contatto con le persone.

Potevo toccarle, accarezzarle e fare anche del male, come in questo caso, ma questo però richiedeva troppa energia, di fatti, la utilizzavo solo in casi estremi.

Mi avvicinai con tutta la furia insita in me e mi posi di fronte a lui, ovviamente all'inizio non poté vedermi, ma dopo qualche secondo, ci riuscì.

Mi manifestai nelle mie sembianze, lo guardai e gli dissi

- Adesso? Non fai più il bullo, eh? Adesso sei tu che stai in ginocchio, Ryan. -

- Cosa? Sei stato tu a tirarmi il cesto?! -

Non riuscì a continuare che subito gli tirai un calcio in pieno volto, inutile dire che schizzò sangue ovunque.

- Chi sei?! -

- Sono quello che ora ti farà fare una figura di merda davanti a tutti quanti. - dissi sogghignando.

Gli arrivò prima un pugno in pieno volto che lo lasciò sdraiato per qualche secondo, giusto il tempo di mettermi sopra di lui e aprirgli completamente la faccia, con tutti quei pugni, mentre gli urlavo contro contro - Adesso?! Non fai più il bullo eh?! Non dovevi farle del male brutto figlio di puttana! -

Arrivarono i suoi amici che provarono a prendermi per spostarmi da Ryan, ma in un secondo, riuscii a tornare nella forma normale sparendo davanti agli occhi di tutti.

Rimasero senza parole, un po' per aver visto un ragazzo che era improvvisamente sparito nel nulla e un po' nel vedere il bullo più forte dell'istituto steso a terra, svenuto, sanguinante.

- Presto! Chiamate un'ambulanza! - disse uno dei suoi amici.

Camminando per tornare da Allyson, iniziai a barcollare, avevo utilizzato troppa energia correndo un grande pericolo.

Arrivai a casa di Allyson, dopo qualche istante, lei, corse verso la porta d'ingresso, mi guardò e non disse nulla, aveva già capito osservando le mie mani aperte e sporche di sangue.

- Dove sei andato?! - urlò piangendo.

Non risposi, sapevo che non l'avrebbe presa benissimo.

- Dove sei stato! Rispondi! -

- Alla festa...-

Allyson sospirò mentre piangeva e poi mi chiese

- Chi sei veramente? -

- Allyson io...-

- Avanti rispondimi! Chi diavolo sei?! - non smetteva di piangere.

- Meriti delle risposte...-

Allyson's pov

Aspettavo con ansia quella risposta, ero così confusa, non sapevo neanche se fosse dovuta alla mia preoccupazione nei suoi confronti o perché semplicemente non capivo chi fosse.

- Io non sono quello che credi, non sono la tua coscienza. Ricordi il ragazzo suicida? Ecco, sono io. - disse tutto d'un fiato senza esitare, come se fosse la cosa più normale del mondo.

La mia mente ed il mio corpo non erano pronti per una risposta del genere e per poco, pensai di morire: mi arrivò una forte scossa al petto nel sentire quelle parole, lui era...

- Mi chiamo Jackson e sono un fantasma, o meglio, sono uno pseudo fantasma, c'è qualcosa che non ho fatto quand'ero in vita, ecco, diciamo che ho delle cose in sospeso e tutto ciò non mi permette di avere pace e quindi, sono rilegato qui. -

Ero senza parole, ero convinta fosse solo frutto del mio stress e invece... era il fantasma del ragazzo che qualche mese fa, si era sparato un colpo di pistola sulla tempia.

Balbettavo solo il suo nome senza dire niente di sensato.

- Allyson, lo so, sei in panico ora, ma rilassati... risponderò a qualsiasi domanda tu voglia. -

- C-cosa...è successo alla festa? -

Iniziò a raccontarmi tutto quanto, senza lasciare da parte nessun dettaglio, ma dopo qualche secondo, lo vidi cadere a terra come un sacco di patate.

- Jackson! - urlai spaventata.

- Rispondimi, Jackson! - nessuna risposta, sembrava svenuto.

Provai a spostarlo sul letto della mia camera, ma essendo un fantasma, era inutile qualsiasi contatto, le mie mani affondavano nel suo corpo, non sapevo cosa fare, i miei sarebbero tornati a breve ed io ero in panico per un fantasma.

Pensai a qualsiasi modo per poterlo svegliare, almeno per quei cinque secondi, giusto il tempo per farlo andare in camera mia.

Non riuscii a trovare nessuna soluzione, fino a quando, iniziai a ricordare che i fantasmi potevano sfruttare l'energia degli strumenti elettronici per caricarsi. O meglio, così avevo sentito dire, non ne ero del tutto sicura.

Provai quindi a mettergli vicino il mio cellulare, ma non servì a nulla. Dopo un po', provai con il mio computer, ma ancora nulla, qualsiasi cosa io facessi, non serviva a nulla, decisi così, di lasciar fare al destino e aspettando che si riprendesse da solo, mi sedetti vicino a lui e aspettai.

Dopo una decina di minuti, mi accorsi che iniziò a strizzare gli occhi, e notando che pian piano stava riprendendo i sensi, cominciai a sorridere e a lacrimare dalla felicità.

- Jackson! Sei vivo! - mi lanciai verso di lui per abbracciarlo, ma guadagnai una facciata al muro dimenticando che era impossibile toccarlo.

- Tecnicamente non sono vivo, ma grazie per il complimento... Perché ho tutti questi apparecchi elettronici attorno? - disse perplesso.

- Voi fantasmi vi ricaricate con l'elettricità, quindi ho pensato di avvicinarli per farti riprendere, ma sembra che tu sia un fantasma anomalo -

- ...Ahahah! Mi hai scambiato per un cellulare? I fantasmi utilizzano l'elettricità per comunicare mica per svegliarsi! -

- Smettila di prendermi in giro! Ringrazia che ho cercato di aiutarti! I miei torneranno a breve, muoviti, andiamo in camera mia, ti siedi nel letto cinque minuti, così posso togliere il sangue da per terra, tu nel frattempo, non combinare altri disastri! -

Dopo cinque minuti, tornai in camera mia da Jackson, avevo un sacco di domande da fargli, ma in realtà, sarebbe stato meglio non entrarci.

- Brutto idiota! Che stai facendo! - lo sgridai beccandolo con le mani nel cassetto della biancheria intima.

- Certo che per essere appena una teenager hai il seno grande. -

- Pervertito! - urlai furiosa.

Gli tirai il primo oggetto che mi capitò sottomano e per sua sfortuna, fu un bicchiere, e finii per colpirlo dritto sulla testa.

- Che male! Ma che problemi hai?! -

- Così impari a toccare le mie cose personali! -

- Mi hai fatto male! -

- Tanto sei un fantasma, che dolore vuoi provare? A tal proposito, come mai il bicchiere ti ha colpito? Non doveva trapassarti? -

- Semplice, è lo stesso motivo per il quale sono svenuto. Posso toccare qualsiasi oggetto e qualsiasi persona, ma richiede un utilizzo estremo di energia. Quando la utilizzo, posso toccare qualsiasi cosa, ma posso a mia volta essere toccato dagli altri. -

- Quindi, quando hai picchiato Ryan, hai utilizzato tanta energia fino a svenire, giusto? -

- Esatto, è una cosa pericolosa, infatti, utilizzo la mia energia solo in casi estremi. -

- Pericolosa? Perché? Sei un fantasma, ormai sei già morto. No? -

- Grazie... Delicatissima... Sì, sono morto, ma utilizzando molta energia posso rischiare di sparire per sempre senza aver trovato la pace, è difficile da spiegare. -

- Perché hai picchiato Ryan? Infondo, era una cosa tra me e lui. -

- Diciamo che lui è uno dei tanti motivi per il quale mi sono sparato in testa. -

Mi sentii triste, ero fidanzata con un ragazzo che aveva portato una persona a suicidarsi, mi sentivo profondamente in colpa, pur non avendo fatto nulla.

- So che ti senti in colpa, ma non devi, non ti sei accorta di nulla, ma chissà, avresti mai fermato Ryan quando mi maltrattava? -

Rimasi in silenzio, non sapevo cosa rispondere.

Fortunatamente, sentii la porta di casa aprirsi, i miei erano tornati dalla cena.

- Allyson, siamo a casa! -

- Sono tornati i miei! Tu stai fermo qui, non muoverti, vado a salutarli e torno. -

Corsi verso la cucina per salutarli, erano seduti entrambi sul bordo del tavolo, la loro espressione era incomprensibile, non si capiva se fossero felici o tristi.

- Qualcosa non va? È andata male la cena? -

- No Ally, io e tuo padre ci siamo divertiti, erano anni che non ci sentivamo così vivi. -

- Allora perché quell'espressione un po' triste? -

- Vedi, la mamma ed io volevamo chiederti una cosa. - disse papà.

- Abbiamo parlato tanto e abbiamo chiarito dei problemi che si erano instaurati nella nostra famiglia. Papà lavora troppo, non ho mai tempo per stare con voi, così, ho deciso di accettare il trasferimento. -

Rimasi in silenzio, di cosa stava parlando? La mamma dissolse ogni mio dubbio.

- Gli hanno proposto il trasferimento a Sacramento, in California, quindi, abbiamo intenzione di trasferirci in California! -

In quel momento sentii Jackson esclamare - Cosa?! Siete impazziti?! - mi girai verso di lui guardandolo in malo modo.

- Che ne dici? - chiese papà.

Sorridevano e mi dava fastidio deluderli dicendo che non mi stava bene, infondo, dopo tanti anni, avevano trovato un modo per volersi ancora bene e per di più, un modo per riconciliare quel rapporto famigliare che si era perso.

Così, sorrisi e accettai la proposta, infondo, un po' di cambiamento ci voleva e quello che aveva fatto Jackson a Ryan avrebbe comportato dei disagi nel gruppo.

Jackson nel frattempo mi guardò spaesato, non sembrò euforico alla notizia, mi chiedevo il perché e dopo una buonanotte veloce ai miei, andai in camera; volevo sapere il motivo per il quale Jackson era in disaccordo, ma non servì a nulla, era palesemente infastidito.

- Perché hai detto che andava bene?! -

- Non capisco, perché ti dà così fastidio? - replicai.

- Al diavolo! Perché!? Perché!? - era fuori di sé.

Provai in tutti i modi a chiedergli cosa non andasse, ma lui continuava ad esclamare "perché".

- Jackson, non dobbiamo partire domani, si sta parlando dell'estate, perché te la prendi per così poco? -

- Tu non sai niente! Non puoi giudicare! -

- Prova a spiegarmi, così posso capirti. -

- Davvero? Credi di riuscirci?! - mi guardò per un istante,

poi, uscì dalla finestra, era inutile farlo ragionare o chiedergli dove stesse andando, non voleva ascoltarmi.

Da quel giorno, non lo vidi più.

Jackson decise così di sparire, senza dirmi nulla o darmi qualche spiegazione; passai i giorni seguenti ad interrogarmi su quale fosse il motivo della sua rabbia e della sua fuga.

I giorni seguenti, a scuola, le cose non andarono benissimo, con Merith ci scambiavamo ancora qualche parola, ma con gli altri, nemmeno una sillaba.

Ryan, ci mise poco a rifidanzarsi e i suoi amici, mi cancellarono dalla loro mente, togliendomi persino il saluto.

Mi sentivo sola, non uscivo più con nessuno, non avevo più amici, passavo le giornate chiusa in camera a studiare e a guardare il calendario, cancellando man mano i giorni che passavano, sperando che arrivasse in fretta giugno, così da rincominciare tutto da capo.

Mia sorella Sydney, che studiava al college nei pressi di Sacramento, tornò per la fine di maggio e sarebbe rimasta per qualche giorno fino a quando non avessimo terminato gli scatoloni per il trasferimento e grazie a lei, mi sentii meno sola.

Era bello riaverla tra di noi, non smettevamo mai di parlare.

- Biondina, come va il liceo? Stai studiando? -

- Sì Sydney, tranquilla, sto studiando. -

- Mamma e papà mi hanno detto che sei una perfetta Cheerleader, è così? -

- Già. -

- Sei di poche parole, non sei cambiata per nulla! -

Sorrisi senza risponderle.

- Però, sei cresciuta! Sempre bionda come la mamma e gli occhi verdi azzurri come papà! Ti ricordi come ti chiamavo da piccola? -

-Alice? -

- Esatto! Beata te, io ho preso da papà, che sfiga! -

Il papà si sentii toccato, tant'è che rispose.

- Cosa vorresti dire? I capelli castani, così come gli occhi, hanno fatto in modo di conquistare la mamma! -

- Secondo me è stata conquistata dalla pena che le avrai fatto - tutti si misero a ridere.

- Alice, perché non ci facciamo un giro? -

- Smettila di chiamarmi così! -

- Dai su, vatti a cambiare, fa caldo! Andiamo a prenderci un gelato! -

- Siamo a giugno, ovvio che ci sia caldo! -

-Smettila di fare la sapientona e vatti a cambiare, non ti aspetto eh. -

Mi preparai in fretta e furia, infondo, erano gli ultimi giorni in cui mi potevo godere Princeton.

Uscimmo di casa, erano circa le quattro di pomeriggio, faceva un gran caldo.

Improvvisamente, passando nei pressi del parco, vidi un ragazzo uguale a Jackson fermo davanti ad un cancello.

Il cancello era tale e quale a quello che vidi quel giorno quando ci fecero su la cerimonia di addio.

Provai a camminare verso di lui dicendo a voce bassa

- Jackson...-

Mia sorella mi guardò perplessa e poi con tono ironico mi chiese.

- Chi sarebbe questo Jackson? Eh? Il tuo fidanzato? Dov'è? Perché non me lo presenti? -

-Nessuno... Andiamo...-

Appena finito di risponderle, quel ragazzo si girò verso di me, era proprio lui, Jackson.

Mi guardò con uno sguardo assente e poi sparì nel nulla.

Jackson... Cosa ci faceva lì?

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