CAPITOLO I

- ANTEFATTO -

-Driiin!!!-

La sveglia suonò alle prime ore del mattino, erano le 7:30.

L' autobus sarebbe passato tra una mezz'ora, perciò avevo tutto il tempo per una buona colazione.

Mi alzai dal letto con il sorriso; era il compleanno di Ryan e la sera sarei andata alla sua festa.

Lanciai uno sguardo fuori dalla finestra: la giornata sembrava particolarmente uggiosa, questa però, non avrebbe rovinato la mia adrenalina mattutina.

L'autobus passò con qualche minuto di anticipo, così, presi tutto l'occorrente per la scuola e uscì di casa.

Avviandomi verso l'autobus, vidi una signora anziana poco lontana dall'incrocio.

Per qualche motivo mi trasmetteva ansia, il suo sguardo attonito e le sue guance scavate, mi davano la sensazione di un nodo allo stomaco.

Per una frazione di secondo i nostri sguardi si incrociarono.

Il tutto fu interrotto improvvisamente da una voce - Allyson! Sbrigati! L'autista non aspetterà di certo a te! -

Merith ruppe quello sguardo, mi sentii sollevata, ma d'altra parte, chi era quella signora misteriosa? Ero fortemente curiosa, ma misi da parte la mia curiosità e salii sull'autobus.

Ryan, come è suo solito fare, tenne il posto occupato per me, lo salutai con un bacio, così come salutai la mia migliore amica Merith.

Nemmeno il tempo di rilassarmi che la mia migliore amica fece subito delle domande - Ally, come mai eri ferma ad osservare quella signora? -

Non seppi darle una risposta.

Il mio ragazzo Ryan, riuscì ad alleviare la mia curiosità aggiungendo - La signora Pete è molto conosciuta in città, si dice che sia una donna diventata alcolizzata per via della morte del marito, dicono che suo figlio vada nella nostra scuola. -

"Quindi quella signora ha un figlio?" pensai.

- Come si chiama suo figlio? - chiese Chester, il suo migliore amico.

- Mi chiedi troppo amico, ma di sicuro, sarà malato come sua madre. -

Si misero tutti a ridere, lo feci anch' io, in fondo, il mistero che mi metteva ansia, era stato risolto.

Non avrei mai pensato che quel giorno sarebbe stato fonte di uno scandalo, la mia mente, la mia mente ancora rifiuta di partorire quel ricordo...

Io e Ryan, come da copione, eravamo soliti farci le coccole sull'autobus.

"Bang"... Ricordo ancora quel suono, ma ancora di più, quelle macchie di sangue stampate sul finestrino.

Le urla sull' autobus, furono tanto forti da far fischiare le orecchie.

Ricordo la folla, ricordo l'autista che inchiodò, ma soprattutto, non dimenticherò mai lo sguardo di una ragazzina.

Il suo sguardo era attonito, bianca in viso, era di sicuro il suo primo giorno di scuola nel nostro liceo...

Era seduta accanto al suicida, ma nulla faceva capire che si conoscessero.

Quel giorno, a scuola, in pochi riuscirono ad arrivare puntuali.

Fuori pioveva, un'atmosfera perfetta per descrivere ciò che era appena successo.

Eravamo tutti lì, fermi, a non dire nulla; quell'autobus che solitamente era ricco di urla e di risate, si era trasformato in un mezzo silenzioso.

Quel silenzio fu spento dopo qualche ora dalla polizia e anche loro divennero presto bianchi in viso: in effetti fu una scena che colpì tutti. I poliziotti iniziarono a fare delle domande, ma il loro tono di voce era un misto fra agitazione ed incredulità.

Le domande erano semplici, ma in quel momento, anche solo un "Avete visto se parlava con qualcuno prima di togliersi la vita?", era una domanda difficile alla quale rispondere, nessuno aveva visto niente.

Subito dopo arrivo l'ambulanza con i diversi medici che si assicurarono che tutti stessero bene, per poi, prendere il corpo di quel ragazzo. Non riuscii a vederlo bene, vidi solo dei ciuffi color castano mischiato al rosso del sangue e in quel momento, piansi. Ryan non riuscì a fare quasi nulla, era pietrificato, mi abbracciò solamente, forse perché era l'unica cosa che si poteva fare, non c'erano parole.

Tutti gli studenti dell'autobus arrivarono a scuola alle 10:15, pur essendo fisicamente in classe, la mente era ferma ancora alle ore precedenti, nessuno rideva, tutti pallidi in volto e con lo sguardo attonito, come se tutto ciò fosse un sogno.

I professori erano visibilmente provati, spiegavano a fatica.

Nell' ora di Storia, il professor Ward fu interrotto nella spiegazione da uno studente che chiese - Professore, quanti anni aveva quel ragazzo...? - il professore dopo qualche secondo di silenzio, con gli occhi bassi rispose - 15 anni signor Brooks... 15 anni- ci fu silenzio, ma quest' ultimo non durò molto, il professore continuò a parlare dicendo - Io ho un figlio di 16... Lo adoro, sorride sempre, eppure, non si sa se ciò che prova è effettivamente felicità. -

La lezione di storia ormai era diventata una lezione di vita.

-Vedete ragazzi, a volte le persone che sorridono sono sempre le più tristi, ma non ci accorgiamo di nulla. Voi, che ora siete in una fase delicata della vostra vita, vi dovete circondare di amici, non per quello che hanno, ma per quello che sono. -

Tutti ascoltavano in silenzio quelle parole e il professore continuò dicendo - Quei ragazzi che tanto evitate, possono essere i vostri amici migliori, ma la vita è imprevedibile, non abbiamo tutto sotto controllo. Datevi una mossa a conoscere quei ragazzi, perché come possono esserci oggi, domani, possono sparire e voi, avete perso il vostro potenziale migliore amico. -

Io e i miei compagni non sapevamo cosa dire, addirittura, vidi che a qualcuno scese qualche lacrima, chissà quanti miei compagni avevano fratelli dell'età del suicida.

Il 17 Ottobre fu il giorno più triste dell'intero istituto, ma non solo, fu il giorno più brutto per tutti i cittadini.

Quando tornai a casa, ricordo soltanto l'abbraccio di mia madre in lacrime: non riuscì subito a capire se la sua reazione fosse dovuta alla mia incolumità; d'altronde non aveva avuto mie notizie da diverse ore. Poi capii, mia madre aveva visto in quel ragazzo la propria figlia, una figlia che dall'oggi al domani poteva non esserci più.

Durante la cena il telegiornale parlò del suicidio: -Oggi la città di Princeton è stata teatro di una tragedia, un ragazzo, di nome Jackson, si è tolto la vita con un colpo di pistola sull'autobus davanti a tutti gli studenti. -

Mio padre spense subito la televisione e dopo qualche attimo di silenzio disse - Finiamo di mangiare e andiamo subito a dormire. -

Quella morte, aveva colpito emotivamente Princeton.

La festa che doveva tenersi la sera stessa, fu posticipata di due settimane, nessuno era in vena di festeggiamenti e tra uno studio e l'altro si decise di festeggiare il compleanno di Ryan il 31 Ottobre, giorno della festa di Halloween.

Passò qualche giorno dalla tragedia, l'istituto aveva già quasi dimenticato l'accaduto e devo essere sincera, anch'io mi stavo dimenticando di quegli attimi sull'autobus.

Quei brutti ricordi riaffiorarono nella mia mente il 22 Ottobre tornando da scuola.

Passai nei pressi di Quarry Park, quando vidi una casa con della gente vestita per bene, i classici abiti che si indossano per una cerimonia importante.

Non erano in tanti, circa 10 persone, ma fui comunque colpita da un senso di curiosità.

Cercai di capire di che cerimonia si potesse trattare, ma tutto d'un tratto fui catturata da uno sguardo, quello della signora Pete.

Era lei, di nuovo sentivo quel nodo fortissimo allo stomaco, ma cosa ci faceva lì? In quella casa? Non riuscii bene a capire cosa si stesse facendo, nessuno rideva o piangeva, erano lì, vestiti di nero, che ogni tanto parlavano.

Mi bastò solamente sentire pronunciare un nome, ovvero, Jackson: capii in quell'istante che la cerimonia non era nient'altro che il funerale del suicida.

Mi sentii un po' di dispiacere addosso, nessuno piangeva, non sembravano toccati dal lutto del ragazzo.

Non mi feci troppe domande e iniziai a camminare verso casa, ero in ritardo, ma soprattutto, mi sentivo a disagio stando vicino a quella casa.

Se avessi potuto descrivere le sensazioni che provai in quel momento, lo avrei fatto con un colore: il grigio, un mix di emozioni che non riuscivo a definire.

Arrivai a casa e subito mia madre, senza neanche darmi il tempo di appoggiare lo zaino, si avvicinò - Ally, com'è andata a scuola? -

- Bene. - una risposta breve, non avevo tanta voglia di parlare e di questo mia madre se ne accorse continuando con le domande - Tesoro, tutto ok? Mi sembri sovrappensiero. - inizialmente le voltai le spalle per poi andare in camera da letto, ma poi, spinta dalla curiosità cambiai idea - Mamma posso chiederti una cosa? - lei mi guardò in incuriosita, così continuai - Per caso ne sai qualcosa sulla signora Pete? -

Ricordo bene l'espressione facciale che fece, sembrava stupita dalla mia domanda e si apprestò a rispondere immediatamente - La signora Pete? La conosco. Christine era una mia grande amica al tempo del liceo, è grazie a lei che conobbi tuo padre. -

Il suo viso accennò un mezzo sorriso quando pronunciò queste frasi, così, insistetti chiedendole di parlarmene e lei senza pensarci due vote iniziò a raccontare - Siediti, è una lunga storia. Sai, è da tanto che non parliamo. Christine ed io avevamo stretto amicizia al liceo, eravamo nella stessa classe, che dire, eravamo inseparabili. Facevamo di tutto insieme, dallo shopping, all'andare al cinema, dal trascorrere le vacanze estive insieme con il gruppo di amiche, al fare i compiti insieme, già... eravamo proprio inseparabili. Era in una vacanza estiva al lago Michigan quando conobbi tuo padre. - disse sorridendo e con tono di voce nostalgico.

Volevo sapere sempre di più della signora misteriosa, così continuai a chiedere di lei - Perché grazie a lei che sei riuscita a conoscere papà? -

Mia mamma sospirò e rispose abbozzando un sorriso - Vedi, la mamma quand'era giovane era molto timida, Christine, a differenza mia, era più estroversa. Mi disse che ero ingenua e quando io chiesi il perché mi indicò tuo papà. -

- Ti stava osservando? -

- Osservando? Tuo padre mi stava letteralmente spiando, ma ancora ero troppo impaurita. Riuscimmo a fare amicizia con tuo padre e il suo gruppo grazie a lei. Lanciò la palla vicino ai loro tavoli per attaccare bottone, fu lì che conobbe Steve Pete. -

"Adesso chi è questo Steve Pete" pensai, così le chiesi chi fosse e alla domanda cambiò espressione facciale - Steve era il migliore amico di tuo padre, faceva il militare. Christine e Steve si fidanzarono subito dopo le vacanze, così come me e tuo padre. Passarono solo 4 anni e Steve morì in guerra, da quel giorno, la mia migliore amica cambiò. -

Rimasi senza parole, si capiva quanto mia mamma tenesse a quel ricordo, tanto da riuscire a farmi venire i brividi, ora tutto era più chiaro, la signora Pete non era pazza, era rimasta scioccata dalla morte del fidanzato, eppure c'era qualcosa che non mi tornava e chiesi - Quell'uomo era così importante per lei? - fu la prima volta che vidi gli occhi di mia madre luccicare per un discorso, ricordo ancora oggi la sua risposta - Si dovevano sposare. -

Rimasi senza parole, sembrava surreale la sua risposta, non pensavo che la vita potesse essere così crudele.

Porsi l'ultima domanda - Non hai mai provato a riavvicinarti a lei? - la sua risposta fu prevedibile - Che senso avrebbe? Ci ho provato un sacco di volte, voleva dimenticarlo e per riuscirci ha dovuto cancellare ogni ricordo che potesse essere collegato a lui, tra questi ricordi, rientriamo io e tuo papà. -

Ringraziai mia mamma per avermi fatto schiarire le idee, ora potevo guardare la signora Pete sotto una luce diversa.

Andai in camera, ripensando continuamente alle scene descritte da mia mamma qualche attimo prima, ma così come velocemente erano nate, altrettanto rapidamente, sparirono: mi squillò il cellulare, era un messaggio della mia migliore amica che mi ricordava degli allenamenti per la partita, che si sarebbe tenuta tra una settimana.

Così dopo uno spuntino veloce mi preparai per andare agli allenamenti, infondo, le cheerleader avevano il compito di motivare i giocatori della squadra.

Fuori faceva freddo, ormai l'autunno diventava sempre più freddo, un po' come le ultime giornate; prive di emozioni e di colori caldi.

Il vialetto di casa, ormai rosso dalla caduta delle foglie, era vuoto.

Camminavo da sola, nessuno per strada, sembrava come se tutti si fossero estinti.

Dopo circa una mezz'oretta arrivai a scuola, ci impiegai meno tempo del solito, faceva troppo freddo per muoversi lentamente.

All'ingresso vidi le mie compagne che subito si precipitarono da me

-Come mai così in orario? Solitamente ci metti un secolo per arrivare-.

Dopo un sorriso, risposi - Faceva freddo, almeno risparmio sul riscaldamento. La palestra è ancora occupata? -

- No, a quanto pare oggi non era previsto nessun allenamento, quindi possiamo già iniziare- rispose Merith.

Andammo negli spogliatoi a cambiarci e subito Merith iniziò a formulare le sue domande scomode -Ally, ti è cresciuto il seno, Ryan dev'essere felice. -

Lanciai uno sguardo di fastidio e risposi - Ovvio, non puoi pretendere che rimanga uguale a come ero alle elementari-

Non bastò Merith, ma anche Grace, un'altra mia migliore amica aggiunse - Non hai ancora fatto nulla con Ryan vero? Guarda che si stancherà e ti mollerà. Ricordati, cara Ally, che ai maschi interessa solo quello, specialmente se si tratta di Ryan e la sua compagnia. -

Arrossii, ma non mi feci trovare impreparata - Ryan mi capisce, mi concede tutto il tempo che vuole. Stiamo insieme solo da qualche mese è comprensivo. -

Le loro risposte non si fecero attendere - Certo e Babbo Natale viaggia con le sue renne... come si vede che non hai esperienza. Ai maschi non interessa che per le ragazze la prima volta sia importante, loro vogliono solo farlo e basta, se vuoi continuare a stare con lui, prima o poi, dovrai dargli ciò che vuole. -

Rimasi senza parole, un po' per vergogna e un po' per paura: rischiavo davvero di perderlo per una cosa così?

Provai a non darci peso e cercai di chiudere il discorso -Ok, abbiamo parlato abbastanza, dobbiamo allenarci ora. -

Ci allenammo senza sosta per due ore, o meglio, provai ad allenarmi, ma i dubbi che mi avevano insinuato le mie amiche mi tartassavano la testa.

Dopo vari salti mortali, prese e urla, riandammo nello spogliatoio per cambiarci.

Eravamo tutte sudate, infondo, anche noi sentivamo la tensione per la partita, la nostra squadra doveva affrontare la scuola che aveva vinto il campionato l'anno scorso.

Passai dieci minuti senza parlare, finché, stanca dei dubbi, chiesi a Merith - È davvero così importante per i ragazzi? Davvero rischio di perderlo per una cosa così banale? -

Merith mi guardò sorpresa, poi mi sorrise e mi disse - Per loro sì... È l'unica cosa che li appassiona più del football-.

Scappò una risata, ma infondo, aveva confermato le mie paure.

La sera mi sarei dovuta vedere con Ryan e gli altri, forse era giusto provare a parlarne direttamente con lui.

Tornata a casa mi lanciai sul letto, pensavo a tutte le cose possibili e inimmaginabili: Ryan, la partita, la scuola e al ragazzo suicida che sembrava che tutti avessero dimenticato.

Cercai di dare sollievo alla mia testa con un po' di cibo, così, dopo un sandwich col burro d'arachidi, andai a riposarmi.

Mi sveglia giusto in tempo per una doccia, dopodiché, sarei andata al cinema con i miei amici e Ryan.

Doccia calda e subito dopo, alle sette di pomeriggio, Ryan mi venne a prendere con la sua macchina.

- Ciao amore. - lo salutai con la solita frase e di conseguenza lui mi rispose dandomi un bacio - Ciao piccola. -

Lungo il tragitto parlammo poco, di fatti, lui mi chiese subito se stavo bene, ma non risposi.

Dopo qualche istante, chiesi - Sei come gli altri? -.

La frase non avevo senso, infatti lui non capì - Come? Non ti seguo. -

Sospirai e feci la fatidica domanda - Per te è importante...- mi vergognavo troppo per formulare l'intera frase, speravo con tutto il mio cuore che lui capisse.

Dopo qualche minuto, mi disse - Certo, ma te l'ho detto, aspetto i tuoi tempi - mi sfiorò la gamba e mi baciò.

Mi sentii sollevata, infondo, sapevo che lui era diverso dagli altri.

Così, abbandonai le mie paure e mi lasciai andare.

La serata si concluse come al solito, tra le risate e Ryan con i suoi amici che stuzzicavano i ragazzi più piccoli, infondo, noi eravamo delle persone importanti a scuola e ci potevamo permettere dei comportamenti un po' fuori dalle regole, stavo così bene in quel gruppo.

Mancava meno di una settimana alla partita più importante, dopo le ultime risate e urla di divertimento, ognuno andò a casa sua.

Arrivata a casa, non vidi nemmeno il letto che mi addormentai immediatamente.

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