Introduzione
Riecheggiava fuori solo il bubolare di un gufo, e il suolo si perdeva fra le nuvole della sera, come un continuo canto che si
scioglieva nel tempo. La placida notte osservava il disordine che quietamente andava formandosi in un appartamento,
rischiarato da un singolo raggio della cadente Luna. Il silenzio seguiva un'ombra proiettata dalle lampade sul muro del salotto,
e l'ombra su muoveva, muovendosi seguiva una figura. Giravano attorno al centro della stanza, e dietro di loro due c'era il
silenzio, come avveniva una volta negli accampamenti degli uomini primitivi. L'uomo leggeva e si muoveva, l'ombra seguiva e il
silenzio cadeva dove loro non c'erano, per poi spostarsi in avanti quando il rumore si faceva più vicino. Sembrava una
macchina, di quelle di un tempo, che ripetono le azioni per varie volte, e solo dopo un po' si devono interrompere, perché hanno
fatto il loro lavoro e sono giunti alla fine della loro utilità. Parevano tre donne anziane che filavano, l'uomo, l'ombra e il silenzio.
Solo che si poteva vedere chiaramente solo il maschio, che di nome si chiamava Alberto, e l'ombra compariva vivida solo a
tratti, il terzo era solo un'illusione. La mente di Alberto era impegnata a leggere.
Leggeva anche lui una storia di persone e di fili, di cucito e giovinezza. La storia di una dona che portava in petto la lettera della
persona con cui aveva commesso adulterio. Una lettera che lei stessa aveva ricamato, con gesto l'ago che andava verso il
cuore, o dove sarebbe stato poi il cuore, e poi tornava fuori, così a ripetizione. L'aveva cucita su un vestito ch'era più uno
straccio che altro, e portava quel marchio per farsi riconoscere dalla gente come peccatrice
Leggeva anche per ignorare le fitte che ognora lo assalivano lungo la testa, e si distraeva muovendosi e leggendo, così da
fuggire temporaneamente da quel terribile dolore, e si rilassava e si faceva cullare dalle parole che leggeva. Una ninna nanna
risuonava nella sua testa.
Ma Alberto non riusciva proprio ad identificarsi in quella donna, non sua era la sensazione di sentirsi roso dalla ferocia di mille
occhi che come onda stanno per abbattersi su una figura minuta.
Si grattò la nuca, tastando la cicatrice che l'operazione fatta di recente gli aveva lasciato, e sorrise al pensiero che lui, invece
dei vestiti segnati dal filo rosso, aveva la testa rammendata con altri tessuti, e i segni si nascondevano bene fra i capelli già
cresciuti. S'era dovuto rasare per fare quell'operazione. Come conseguenza di quel male, aveva perso sia i capelli che la
memoria, e solo col tempo avrebbe recuperato entrambi, come aveva affermato il medico che l'aveva dovuto rilassare prima
dell'intervento.
Erano passate due settimane da quando era tutto finito, e solo poche immagini e frammenti s'erano fatte strada nella sua
mente, ma era difficile collegarle fra di loro.
Intanto il dolore pareva essersi indebolito e mandava semplici e tenui dolori lungo la testa come per ricordare ad Alberto che
ella c'era ancora, e che egli non era completamente guarito. Proprio ora, anzi, la nuca iniziava a farsi calda, cosicché Alberto
dovette aprire le finestre, lasciando che l'essenza di resina degli alberi lì di fronte, gli alberi curiosi, entrasse mescolandosi
con l'aria fresca. Diffuse nelle stanzette e lungo il corridoio, facendo danzare graziosamente le piante che stavano nei loro vasi,
ma comunque la salutavano muovendosi allegre al suo bel passare, e chi più e chi meno, tutti i fiori lanciavano i loro profumi al
venticello ospite.
Ma le narici di Alberto sentivano il noto e pungente odore di resina che lo pervadeva in ogni parte del corpo, mentre egli
contemplava il cielo di quella sera di novembre e i suoi occhi seguivano la peregrina Luna allontanarsi dal suo sguardo.
"Dove vai di bello, Lunetta? Dove vai così di fretta per fuggire dalla mia vista e lasciarmi alla mia solitudine? Sei forse già
impegnata nel tuo lavoro eterno che ti sei dimenticata di chi ti guarda, bella Signora, e lasci che gli occhi di chiunque si
appoggino sul tuo corpo pallido ed eterno? Ah, la tua bellezza è niente confrontata alla mia vita, tu sei senza tempo, io a vederti
penso al nulla eterno, e ti invoco sempre in ogni momento nel mio segreto cuore, che neanche tu, forse, conosci. No, tu guardi
solo le cose, come il tuo amico sole ti diverti a girare nella galassia come fringuelli nel bosco, e non vedi cosa davvero avviene
nelle persone. Povera ragazza, questa Esther, ma è solo un romanzo, lo so. Ora torno al sonno che tanto mi chiama nella mia
mente, e lascio te, Luna, alla tua contemplazione" .
Lasciò aperte le finestre dietro di sé e si avviò verso la camera da letto, spegnendo le luci una ad una, sistemando le sedie del
tavolo e chiudendo a chiave la porta d'ingresso. Mandò un messaggio di buonanotte a sua madre, quindi si tolse i vestiti, si
messe quelli da notte, una freddura lo travolse, si addormentò fra le coperte. Fuori la città taceva assieme alle stelle e a ogni
altra cosa.
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