30. La città nera.

Finn's POV
Il sorriso di Solarys sprizza felicità da tutti i pori.
Come è possibile che questa ragazza si fidi così tanto di due sconosciuti?
O forse siamo noi a fidarci troppo poco.
Dopotutto lei ci ha salvati da morte certa, ci ha aiutati mentre eravamo in difficoltà e ora ha spalancato per noi le porte della sua immensa città.
Dritti nella bocca del lupo, sussurra una vocina nella mia testa. Decido di non dargli retta. Per la diffidenza esiste già Bellamy.
Sorrido tra me e me e mi giro a guardarlo, ritrovandomi spiazzato: Bellamy sta tremando. Muove compulsivamente le mani sulle braccia su e giù, cercando di mantenere un minimo di tepore, mentre tutto il suo corpo acquista una sfumatura bluastra.
- Solarys! - urlo - Bel... Calcax ha qualcosa che non va! Lui...
Lei accorre subito, mentre il suo viso assume una smorfia divertita.
- Non siete abituati a queste temperature, vero?
Abbasso lo sguardo sulle mie mani e noto di essere nella stessa condizione di Bellamy. Tutto il freddo mi investe in un colpo solo.
In un attimo mi ritrovo a battere i denti e a chiedermi come sia possibile che me ne sia accorto solo ora.
- Prendete questi - Solarys apre la sacca, afferra qualcosa e ci allunga due mantelli dall'aspetto pesante, che fino a cinque minuti fa non mi sarei mai sognato di indossare.
Bellamy ne afferra uno e se lo posiziona velocemente sulle spalle. Quasi all'istante vedo le sue guance riprendere un minimo di rosato e mi sento sollevato.
Vederlo in quelle condizioni, con le labbra blu e la pelle priva di colore... Mi aveva chiuso lo stomaco, riportando a galla brutti ricordi. Immagini di corpi di terrestri sparsi a terra e di funerali di persone dalla pelle bianca e marmorea, in quanto priva di sangue sotto la superficie, mi erano passate davanti, infilandosi sotto le palpebre e raggiungendo il cuore.
Vedo queste immagini tutti i giorni, tutte le notti, in tutti i miei sogni.
Da quando ho ucciso quei terrestri, i loro volti perseguitano ogni mio sogno. Quelli, e la consapevolezza che il pallore su di essi è stato causato da me.
Torno alla realtà e sorrido con gratitudine a Solarys, cominciando a indossare anche io il mantello.
Così imbacuccati seguiamo la ragazza oltre le porte.
Adesso capisco il perché di quel "Di Ghiaccio" nel nome della Nazione.

Bellamy's POV
Non sentivo un freddo simile da davvero tanto tempo. Mi fa strano pensare che Finn non se ne sia accorto, se non prima di avermi visto ormai trasformato in un ghiacciolino.
Entrando all'intero delle mura, una fila di interminabili palazzi scuri ci accoglie.
Nulla a che vedere con Polis. Qui le catapecchie da quattro soldi e le bancarelle in disuso sono solo un vago ricordo. Al loro posto si ergono maestosi questi palazzi neri, che sembrano costruiti solo per provocare terrore in chi li osserva.
Eppure alla vista di questi molossoidi una lucina di allarme si accende nella mia testa.
Com'è possibile che i Trikru abbiano completamente dimenticato ogni sorta di tecnologia, mentre questo popolo abbia continuato a costruire cosi del genere?
Un'altra particolarità di questo posto è che tutto sembra ghiacciato. La cosa assurda è che sembra, non è: non c'è traccia di neve in cielo o sugli edifici e neanche in strada. Il cielo è totalmente sgombro da nuvole e non pare in arrivo nessuna tempesta.
Sembra quasi... finto.
Tuttavia la temperatura è gelida, come se sotto i nostri piedi lunghe tubature portassero il freddo ovunque, abbracciando tutta la città e i suoi abitanti.
Abitanti, ne abbiamo scorti solo
alcuni fin'ora. Indossavano tutti delle pelli ricamate, probabilmente dal doppio vantaggio: far essere "alla moda" e proteggere dal freddo.
- Di qua - ci fa la misteriosa ragazza che ci ha salvato la vita, Solarys.
Ma non abbiamo modo di muovere un passo che un uomo si piazza di fronte a noi, ci sbarra la strada con una lancia e inizia a parlare in una lingua che sembra arabo.
- Kafka, ko tam krum?
- Tama kalokoi, amici - risponde raggiante Solarys.
Visto il suo sorriso costantemente luminoso, forse il suo nome non è poi così inappropriato come pensavo.
L'uomo, che deduco essere una guardia della Nazione, assottiglia gli occhi e ci scruta con il cipiglio di chi non si fida. Alla fine, però, abbassa la lancia e sospira.
- Ramtate, Kafka. Kalokoi - pronuncia quest'ultima parola scandendo ogni sillaba con una diffidenza volutamente invelata.
Vedendo la nostra espressione confusa, sospira nuovamente e aggiunge:
- Pottete andarre.
Solarys ammicca nella sua direzione, quindi torna a farci strada, mentre quello se ne va borbottando tra sé e sé.
- Lasciate perdere Torok, sta ancora imparando la vostra lingua. Solitamente i soldati, sul campo di battaglia, non hanno molto tempo di scambiare chiacchiere - ridacchia.
Una ciocca di capelli le sfugge dall'intricata acconciatura, andando a posarsi sul sorriso e nascondendole un occhio.
Guardo la scena e per un secondo sembra finta anche lei. Così perfetta nei suoi riccioli quasi bianchi e nei suoi occhi da fata. Sempre sorridente e troppo, troppo felice per i miei gusti.
Bellamy, ma che vai a pensare! Una persona felice per te è automaticamente finta? Se tu sei triste, scorbutico e paranoico, non significa che lo debbano essere tutti!, mi riprende la coscienza.
Ehy, coscienza dei miei stivali... Io non sono scorbutico.
Sì che lo sei, mio caro.
Pff...
Sbuffo e quindi torno a guardare la ragazza, che con un gesto veloce si è appena risistemata il ciuffo ribelle. Poi punta lo sguardo su un palazzo alla nostra sinistra.
- Venite. Questa è... - si blocca per qualche secondo, come indecisa su cosa dire - È la mia, mh, casa. Potete stare qui.
Apre la porta e ci ritroviamo di fronte a un piccolo salottino, che trasmette calore e familiarità, ma anche un gran senso di abbandono.
Tutto ciò mi puzza.
- Qui c'è il bagno, qui la stanza da letto... - continua imperterrita la ragazza.
Finn fissa l'appartamento con sguardo curioso, ma rivedo in lui la mia stessa diffidenza.
A un certo punto non resisto più e mi decido a porre la domanda che aleggia nell'aria da quando siamo arrivati qui.
- Perché fai tutto questo?
Lei si gira confusa, destabilizzata dalla domanda e probabilmente dall'essere stata interrotta nella sua parlantina.
- Come scusa?
- Perché fai tutto questo per noi? -ripeto.
Mi sorride serafica, spalanca le braccia e con un'espressione convinta (sempre troppo finta, secondo me), risponde:
- Ho sempre desiderato essere un'eroina.
E questo cosa c'entrerebbe con noi?!
Mi decido a chiederglielo.
- Voi siete la mia occasione - ribadisce lei entusiasta.
Continuo a non capire. Come leggendomi nel pensiero aggiunge:
- Non vi preoccupate, presto capirete tutto.
Finn volta leggermente la testa nella mia direzione per guardarmi e io ricambio lo sguardo. Uno sguardo alquanto perplesso.
Mentre sto per ribattere, peró, succede qualcosa di davvero strano...

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