17. Partenze e ritorni ad Arcadia.

Bellamy's POV
- Bellamy?! Non eri in ricognizione?
Octavia mi fissa stupida.
- Si, ma poi ho visto passare lui - accenno al mietitore ai suoi piedi - E subito dopo lui - sposto lo sguardo verso Lincoln - E anche... - immergo i miei occhi in quelli di mia sorella, che mi fissa contrariata - Tu! Che ci facevi fuori da Arcadia?
- Questo adesso non è importante - commenta un terrestre sbucato da dietro le spalle di Lincoln e Octavia. Nyko, credo sia questo il suo nome.
Vedendo Lexa, svenuta tra le mie braccia, impallidisce e si affretta a raggiungermi.
- Dobbiamo portarla via - esclama preoccupato, con tono d'urgenza - Necessita di cure, subito! Quel pugnale che l'ha colpita alla spalla... - indica un'arma a terra dieci metri avanti a noi - Era impregnato di veleno. Se non interveniamo velocemente...
Non finisce la frase e le ultime parole aleggiano un po' per l'aria. Nessuno fiata.
- Ok - sbotto infine, stanco del silenzio - Qual è il villaggio di terrestri più vicino?
- No, no! - replica subito Nyko - E' roba di Mount Weather, noi terrestri siamo in grado di eliminare solo i veleni che noi stessi creiamo...
Fantastico.
- Dovremmo portarla da Abby, lei saprà sicuramente cosa fare - dice Octavia con tono convinto.
- Non possiamo saperlo, O...
- Dobbiamo tentare!
Mi si avvicina e sottovoce sussurra: - Se lei muore moriamo anche noi. É l'Heda ed è anche ciò che ci permette di restare in vita.
Guardo Lincoln. Lui annuisce.
- Ok, andiamo - concedo alla fine.
- Un attimo... Vado a prendere Etria - commenta Lincoln.
Vedo Octavia irrigidirsi.
- Chi?! - esclamo.
- Una del nostro clan - mi risponde Nyko con tono grave - A cui Lincoln è molto legato.
Oh, la ragazza prigioniera dei mietitori.
Octavia solleva gli occhi con fare disgustato ma, non appena Lincoln ricompare dai cespugli con la terrestre tra le braccia, assume un'espressione imperscrutabile.
- Ora possiamo andare.

Clarke's POV
Mi guardo intorno, ma tutto sembra calmo, lo stesso bosco appare muto. Forse me lo son solo immaginata...
Ma è tutto troppo muto.
È come se qualcosa avesse detto agli animali di scappare o agli uccelli di non cantare.
All'improvviso vedo un fumo rosso, denso come il burro, che striscia e si avvicina in silenzio.
Sono tentata di scappare, ma la curiosità mi ferma.
Non è nebbia acida. Ma allora, cos'è?
Resto lí a guardarla, con l'improvviso desiderio di farlo per sempre... O di toccarla.
Vattene Clarke, vattene, si ribella una vocina nella mia testa, ma è un impulso troppo debole.
Al contrario, i riflessi di questa nebbia sono belli, attraenti e suggestivi. Ricordano i rubini al sole, un fuoco caldo vicino cui accucciarsi, i fiori rossi che ho visto cosí poche volte, o le rose, che ogni ragazza vuole e che sull'Arca, quando eravamo nello spazio, nessuno non ha mai potuto avere.
Voglio quelle rose. Le ho sempre volute.
E ora le avrò.
Mi sento come illuminata. Sento di aver capito tutto. È stato Finn a mandare questa nebbia, ora ne sono sicura. L'ha mandata per dirmi di seguirla, per portarmi dalle mie rose.
Muovo un passo in avanti, poi un altro.
Destro, sinistro, e la mia mano si tende.
Lei verso di me e io verso di lei.
Mi immergo nel suo rossore.
E poi la tocco.
La tocco e la mia mente si desta, ribellandosi.
Ma è troppo tardi, sento una scossa dolorosa attraversarmi tutto il corpo andando a paralizzarmi le gambe, mentre il braccio mi cade inerme lungo il fianco e la ricetrasmittente mi scivola dalle mani, finendo per terra.
Gas allucinogeno colorato. É sicuramente frutto di Mount Weather.
Vedo il lontananza degli uomini con strane tute avvicinarsi.
Urlo, ma è un urlo lontano che non percepisco dalle orecchie, in quanto non riesco ad emettere suoni, ma solo dalla gola, che vibra.
Poi il buio.
Nient'altro che buio, un doloroso, denso buio senza sogni, dove la mente si perde.

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