12. Un ritorno da un passato mai dimenticato.
Lincoln's POV
Sono più che consapevole di Bellamy sopra di me, come sono consapevole della terra umida sotto i piedi, del mio respiro regolare e dei muscoli delle gambe ormai insensibili, in quanto costrette all'immobilità da troppe ore.
Ma al tempo stesso ignoro tutti questi fattori, come se li percepisse solo una parte inutile e insignificante del mio cervello.
Quello su cui sono concentrato e che attira il mio sguardo come calamita è la testa di una ragazza. È bionda e ai pallidi raggi del sole i suoi capelli risultano quasi bianchi. O almeno lo sarebbero, se non fossero coperti di fango rappreso.
È stesa per terra e la sua testa è leggermente girata verso di me.
Non so da quanto sia svenuta, non so nemmeno se lo sia davvero o se finga. Non so neanche da quanto sia prigioniera.
Quando mi sono svegliato di sobbalzo, poco fa, mi sono tristemente accorto che al mietitore che stavo seguendo se ne erano aggiunti altri quattro.
Poi ho visto lei. Buttata a terra. Con pelli di vari colori ammassate su di lei, a coprirla fino a poco sotto il volto. A pochi passi di distanza un cavallo dal manto scuro, che si guardava intorno irrequieto.
Il viso della ragazza è contornato dal dolore. I suoi tratti sono decisi, ma belli, gli zigomi alti e gli occhi elfici.
Ha gli occhi chiusi, ma so giá che sotto quelle palpebre si nascondono degli occhi color nocciola, con una macchiolina oro nell'iride sinistro .
L'ultima volta che ho visto Etria era notte fonda e scappavo dal mio villaggio, lasciandomi dietro case bruciate e i corpi dei miei genitori stesi a terra, morti, con le mani ancora allacciate.
Rabbrividisco al ricordo... Lei probabilmente è l'unica sopravvissuta del mio villaggio natale, una dei pochi bambini che quella notte si salvarono. Degli adulti invece... Non ne rimase nessuno.
So cosa devo fare. Lo so dal primo momento in cui, guardandola, ho riconosciuto il suo volto.
Devo portarla via da qui, la devo curare, condurre all'accampamento e proteggerla.
Per un momento mi sorprendo a pensare cosa direbbe Octavia se sapesse che tengo così tanto alla vita di un'altra donna... Ma questa non è solo un'altra donna, questa era la bambina che mi ha insegnato a camminare nel buio, con cui aspettavo nello scantinato che in superficie finissero le guerre fra Clan, con cui una volta ho rubato un coniglio da una trappola...
Questa è la bambina che una notte di venti anni fa ho abbandonato a morire, perché ero troppo preso a correre. Ed è la donna che oggi non abbandonerò.
Guardandomi intorno riesco quasi a sentire le rotelle del mio cervello che cominciano a muoversi. Cercano di elaborare un piano in cui io salvo Etria ed entrambi restiamo vivi.
Rifletto. La radura è completamente circondata da alberi. I mietitori sono alla mia sinistra occupati a scuoiare qualche animale appena catturato. Uno sta staccando gli ultimi pezzi di carne dal cranio di quella che a prima vista sembra una scimmia.
Mi soffermo sulla figura qualche secondo e capisco: non é una scimmia, ma un essere umano...
Mi sale un moto di rabbia e mi conficco i denti nella lingua e le unghie nei palmi delle mani per bloccare l'istinto di urlare ed ucciderli tutti in un colpo.
Etria invece si trova alla mia destra, stesa a terra accanto al suo cavallo. Posso avvicinarmi seguendo il perimetro degli alberi e poi issarla sul suo cavallo e...
E poi cosa Lincoln? Pensi che potrà cavalcare da sola fino ad un luogo sicuro? Pensi che potrà anche solo alzarsi e camminare?
No, ovviamente non può. Certo, il mio cuore spera di sì, ma il mio cervello è consapevole del fatto che lei, se fosse stata in grado di scappare, già l'avrebbe fatto da tempo.
Probabilmente sotto quelle coperte avrà ferite indicibili, conoscendo i mietitori. Sempre se è viva. Lo è, lo deve essere... La possibilità che non lo sia si trova in un luogo lontano della mia testa, difficile da raggiungere. É come se quell'idea si trovasse immersa nella melassa e miei movimenti fossero talmente rallentati in quel liquido denso da non permettermi di raggiungerla, di metterla a fuoco.
Decido di tentare. Glielo devo.
Seguo il confine degli alberi, senza farmi notare dai terrestri, e arrivo al fianco di Etria. Quello che vedo mi paralizza. Nella parte posteriore del suo capo, che prima non riuscivo a vedere, c'è un lungo taglio, e tutta la testa, la schiena e la maglietta sono coperti di sangue ormai rappreso.
Ma lei è viva. Respira.
Mi inginocchio accanto a lei, sperando che nessun mietitore si giri in questo momento.
Tranquilla Etria, ora sono qui, non ti lascerò sola. Non di nuovo.
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