Bombe di gelato e... un crollo rovinoso

"Come vi dicevo, dopo aver reso luccicante la teglia di lasagne, a furia di raccogliere ogni rimasuglio di ragù e besciamella con qualche pezzo di pane, io e Giulio ci dirigemmo verso i suoi amici, che abitavano nei pressi di casa sua."
Ellen, incuriosita, pendeva dalle labbra del nonno, la risata pronta e gli occhi incandescenti di entusiasmo.
"Francesco e Antonio?"
Lui annuì, pronto a seguire il filo del racconto:
"Infatti... Dopo un breve giro di presentazioni, il pazzo col cappello propose di andare a prendere un gelato in quel locale, che d'altronde era l'unico bar del paese."
Nathan alzò un sopracciglio:
"Nonno, ma perché in un bar? Non potevate andare in una gelateria?"
Il nonno rise di cuore:
"Non era una metropoli, c'era solo quel bar, che offriva colazioni, bevande, cene frugali e... gelati. E si dà il caso che il proprietario fosse proprio il padre di Antonio."
Nadia sorrise, nostalgica:
"Il mondo era davvero piccolo, un tempo... Tutti si conoscevano ed erano in qualche modo imparentati..."

Nathan, che rifletteva ancora sul significato della strana parola usata dal nonno, "metopoli" o qualcosa di simile, fece spallucce, immaginando che in effetti un paese di mare non poteva avere molti topi, ma piuttosto molti pesci... Sì, "mepescioli" sarebbe stato certo un nome più adatto. Il che però non sembrava collegarsi ai discorsi dei nonni... Arricciò il nasino, pronto a portare alla loro attenzione le sue obiezioni, ma Giorgio interruppe i suoi pensieri, riprendendo il racconto:
"Ad ogni modo, Antonio andava spesso ad aiutare il padre al bar, ma solitamente le sue mansioni erano relegate al lavaggio di piatti e bicchieri. Quella sera, tentò di farci credere di essere lui l'esperto nel servire il gelato. Si intrufolò dietro il bancone, pronto a servirci, e ci illustrò con fierezza i gusti a disposizione."

Nathan, adesso, aveva dimenticato del tutto le sue divagazioni sui topi e sui pesci, per abbandonarsi alla fantasia di diventare gelataio per un giorno: sembrava proprio un sogno bellissimo.
"Anche io voglio servire il gelato come Antonio!"
Giorgio si fece serio, nascondendo la smorfia divertita che i ricordi e le parole di Nathan gli rendevano inevitabile:
"Sembra facile, Nathan, ma in realtà è molto più complicato del previsto!"
Dopo aver introdotto quell'avvertimento, proseguì, gesticolando a dismisura:
"Chiesi ad Antonio quante palline potesse mettere nel cono e lui mi rispose che potevano starcene impilate un bel po', fino a fare una torre bella alta. Dapprima ero un po' confuso, ma vedendolo così convinto iniziai a elencargli quattro o cinque gusti che mi ispiravano."

Ellen immaginava già il finale di quella storia:
"E Antonio provò a farceli stare tutti?"
Giorgio annuì, il sorriso sulle labbra, ormai irrefrenabile:
"Hai detto bene: ci provò! Prese una cialda e iniziò a trafficare dietro quel bancone, armato di paletta. Aveva difficoltà a formare delle palline, che sembravano piuttosto delle bombe pronte a esplodere, ma l'impresa più ardua di rivelò impilare quegli agglomerati di gelato informi e giganti uno sopra l'altro."
Il nonno mostrava tra le mani un immaginario cono, fingendo di aggiungere i pezzetti di una traballante torre poco alla volta:
"E così ecco che una bomba di fragola si posò sulla cialda, schiacciandola ben bene e riducendola in poltiglia. E poi un'altra sfera di vaniglia andò ad appiccicarsi alla prima, un po' spostata rispetto all'asse originario. Ma quando fu il turno della palla di cioccolata, beh... Il crollo fu devastante: nel tentativo di fermare la caduta di quell'ultimo agglomerato al cacao, Antonio perse la presa sull'intero gelato, che si sgretolò tra le sue mani, cadendo rovinosamente a terra, e spiattellandosi prima sulla sua camicia inamidata e poi sul pavimento, in una pozzanghera di mille colori e di mille gusti."

A quel punto, nella piccola soffitta, le risate acute dei bambini si fusero a quelle più attempate dei loro nonni, in un'inarrestabile scroscio di ilarità.
"Nonno, è così divertente... Hai superato persino il racconto della torta al pomodoro!"
Le spalle di Ellen si alzavano e si sollevavano ritmicamente, mentre lei cercava di arrestare quella risata, ma Giorgio non le diede tregua:
"E non è tutto: al rumore della rovinosa caduta, l'intera sala si voltò a guardarci, e ben presto lo zio di Antonio, insieme a qualche cameriere sbiancato per lo spavento, accorse a guardare inorridito il misfatto."
Nadia si nascose le labbra stirate con la mano, mentre si schariva la voce col sorriso ancora in volto:
"Beh, da quel giorno credo che Antonio non abbia mai più messo piede nel bar per la vergogna... Ti ricordi, Giorgio? Proponeva sempre di andare nel paese vicino, nonostante la lunga camminata per raggiungerlo, pur di evitare il locale di suo zio!"

Ellen, a quelle parole, diventò seria a un tratto, gli occhi sgranati e un'illuminazione a spalancarle le labbra:
"Un momento, nonna... Cosa significa? Vuoi dire che alla fine hai raggiunto il nonno? Sei riuscita a ritrovarlo?"
Nadia, accorgendosi di aver detto una parola di troppo, si premette la mano sulle labbra, con aria colpevole:
"Ups... Non era mia intenzione anticipare nulla! Ma in qualche modo, cara, immagino avessi capito che prima o poi io e il nonno ci saremmo rincontrati. Altrimenti, oggi non saremmo qui!"
Nathan rifletteva su quelle ultime rivelazioni, annuendo con l'aria di chi la sa lunga.
"Eh già, nemmeno io e Ellen saremmo qui..."
Tutti si voltarono verso di lui, colpiti dalla sagacia inaspettata di quel bimbo dall'aria distratta, che aveva invece seguito tutto il discorso per filo e per segno.
Giorgio gli sorrise, mentre le sue mani chiudevano dolcemente il libro.
"Hai ragione, Nathy... Ma questa è un altra storia, attende un altro giorno per essere raccontata."

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