Il gioco dei fanciulli
Per un attimo mi manca il fiato. La bocca è spalancata. Ho urlato, ma non ne sono veramente cosciente. Come posso essere ancora vivo? Com'è possibile che tu abbia fatto una cosa simile?
Dalla tua espressione sorpresa vedo che anche tu sei folgorata da una domanda. Ma dubito che sia la seconda che mi son posto. Vorrei dire qualcosa, ma in un attimo mi pianti altre tre frecce nel petto.
Certo che sei proprio rapida! E mi domando come sia possibile. Come sia possibile che in una situazione del genere io stia pensando a queste cazzate. Che nonostante il dolore io continui ad essere, fondamentalmente, solo un gran buffone. Forse è per questo che sorrido. E forse è per questo stai già ricaricando.
Porca merda, sono ridotto a un punta spilli. Eppure, sai, ho il vago sospetto di avere più frecce io di Trenitalia. Sarà per questo che ti lamentavi sempre dei miei ritardi.
Esterno questo mio pensiero, ma il dolore dei nuovi dardi mi fa capire che proprio condividi il mio umorismo. Vabbè. Pazienza, nessuno è perfetto.
Una delle ultime si è piantata nel cuore, di traverso, vicino alla sua amica lanciata per prima. Perché non muoio?
"Perché non muori?" Urli e scagli dardi a una velocità folle. E ognuno mi provoca un dolore violento e atroce. Ma una parte di me riesce comunque a rimanere lucida. Riesce ancora a scherzare. Sai perché? Perché sono cosciente dell'unica verità di questo stupido gioco: io non posso morire.
È come in un videogioco, hai presente? Uno di quelli tipo GTA 20 mila. Sinceramente, non so a quale numero siano arrivati adesso, ma a me piaceva un casino GTA San Andreas. Bellissimo. Ci giocavo e usavo i trucchi. E per quanto le cose potessero andare male, per quanto potessero spararmi addosso, il personaggio, vedi, non poteva morire. Il giocatore non poteva morire. Io non potevo morire. E quindi non me ne sbatteva un cazzo.
Io non posso morire, hai capito? Per questo ti sorrido come un idiota mentre l'ennesima freccia si conficca nella coscia, in profondità, spaccando l'osso in due.
Eh, già, fa male, sai? Ma tu cos'hai? Che c'è, sei stanca? Lo consideri uno spreco di frecce? Forse perché lo è! O forse hai la faretra vuota? Sono immortale, io. Lo sai che significa? Significa che, in fondo, un po' buffona lo sei anche tu. E poi, dai, smettila. Non fare quella faccia crucciata.
Ma a guardare bene, forse, non è proprio cruccio il tuo: sei dispiaciuta.
Dispiaciuta? Tu? E di che?
Piangi e ti disperi, parlando del dolore di mille dardi avvelenati che hai dovuto subire. E mentre dici questo vedo che prende forma. Vedo il presagio, la sagoma dell'arma che può comunque annientarmi. La percepisco e ne ho il terrore. Qui, puntata contro di me, c'è una balista enorme. Sopra, un cazzo di dardo largo 30 centimetri.
Mi dici che devi andare via, allontanarti da me.
Il sangue mi si congela; sono terrorizzato.
Pronunci quelle orribili parole. La formula che mi condanna all'eterna solitudine.
Il colpo parte.
Buio.
Sono ancora al buio, ma
Ma percepisco qualcosa di confuso.
Mugugno qualcosa e mi muovo. Stordito.
Sono nel letto.
Sono nel letto e il mio corpo sembra essere ok. Sono nel letto, in dormiveglia, senza alcun desiderio di prendere coscienza. So cosa mi aspetta.
Dopo un tempo infinito apro gli occhi e vedo il cellulare sul tavolo. Lo guardo con schifo. Lo afferro e, nel silenzio glaciale della camera, rileggo la nostra conversazione. Ormai risale a qualche giorno fa. La rileggo nel silenzio della mente: nessun pensiero, nessuna emozione. Nemmeno quando vedo quella merda di dardo che mi ha distrutto mezzo busto.
Poggio il cellulare sul tavolo e fisso il soffitto.
Lo osservo con la stessa intensità con la quale lo guarderebbe un cieco.
A lungo. Molto a lungo.
Non ho voglia di andare a lezione oggi.
Non ho voglia di vedere i miei amici e prendermi una sbronza di risate che mi farà vomitare non appena sulla soglia di casa. Che mi farà sentire più schifoso di come sono ora.
Proprio un bel soffitto. Proprio un bel soffitto del cazzo!
Comincio a piangere in silenzio. Ad emettere suoni strani, come se avessi una paralisi alla bocca. Come un povero mentecatto che non ha imparato a parlare.
Sento le lacrime bagnare il cuscino. E bava e muco gli tengono compagnia. E sì, certo, lo so. Lo so che faccio schifo. Mi disgusto anche io, cosa credi? E per questo cerco di disgustarmi ancora di più. Digrignando i denti e morsicando le lenzuola. Cazzo, ci manca solo che mi piscio addosso.
Ma forse va bene anche così. Forse il mio disgusto è l'unica cosa che ancora mi pompa sangue in corpo; che mi tiene in piedi. Dato che, sai, quel'affare di 30 centimetriTM ha polverizzato un bel tratto di colonna vertebrale. A occhio direi un tratto di tipo 30 centimetri. E senza mezzo busto non è molto facile stare in piedi.
Ma no, che cazzo dico! Lo so. Lo so io perché in questi giorni ho continuato a stare dritto: non ho bisogno di colonna vertebrale. No, certo che no! Ho questo cazzo di dardo spaziale che mi inchioda al muro. E così posso continuare a chiacchierare e salutare mantenendo il sorriso con tutti. Come se i tuoi colpi non mi avessero mai buttato giù.
Ora finalmente tutto ha senso. Ora capisco. Davvero! E dovresti riuscire a capirlo anche tu. Anche se magari non proprio così in fretta. Hai i tuoi tempi, d'altronde. È per questo che Cristo non l'ha presa male. Quella storia che lo stavano ammazzando in croce, intendo. Perché non poteva buttarsi giù. Hai capito? Non poteva buttarsi giù perché era inchiodato peggio d'un mobile Ikea. E così sono io ora. A parte il fatto che da me non nascerà qualche religione fighetta. No, io sono solo un buffone. Un buffone che non è nemmeno in grado di soffrire.
Ma ecco. Ecco che il disprezzo pompa nuovo sangue. Ed ecco il sangue che fluisce fuori da tutti i buchi. Se tappo il naso e aggiungo un po' di pressione posso fare effetto fontana.
Sai una cosa? Forse mi sono scocciato di rimanere in piedi grazie al dolore di quest'ultimo colpo. Forse voglio cadere. Forse tutto il dolore che mi hai provocato non è abbastanza per piegarmi. Per farmi stare veramente male. Forse sei tu quella mediocre. Che non è manco capace di ferirmi come si deve.
Afferro le frecce che mi hai piantato addosso e, urlando come un cane, le rigiro nelle ferite. Alcune le conficco in profondità, altre le spezzo dentro.
Non ho voglia di alzarmi stamattina. Ho voglia di piangere fino a non aver più lacrime. Di sanguinare fino a non aver più sangue. Di soffrire così tanto da diventare insensibile al dolore.
Afferro il maxi-dardo e cerco di estrarlo, ma a muovermi sono io, mica lui. Spingo e sento brandelli di carne che si lacerano sotto la mia spinta. È un dolore pazzesco, e io ho solo voglia di continuare a spremerlo finché non sarà esploso.
La carne si strappa e piombo a terra: bacino e gambe da un lato, parte superiore dall'altro. Le viscere sono ancora sparse qua e là tipo addobbo di Natale. Però non è Natale. È autunno. Cazzo. Cazzo!
Ululo come un cane. Ora sono spezzato in due. A terra, senza possibilità di camminare. Sono solo e sanguino. E forse ci annegherò anche nel mio sangue. E per essere sicuro di non riuscire a nuotare mi taglio via le mani... Ma in verità dopo la prima ho una certa difficoltà a fare altrettanto con la seconda. Ecco, la stacco a morsi. Voilà.
Perché questo dolore lancinante non è ancora abbastanza. Non è abbastanza orribile. E per questo desiderio affondo i frammenti d'osso nella carne. Mi lacero e mi devasto e mi rendo impotente. Incapace di agire, incapace di pensare. Di provare dolore. Voglio solo venire distrutto e continuare a vivere solo per sentire ancora più male. Voglio venire schiacciato, triturato, frullato senza mai poter morire. Voglio pagare le conseguenze di ogni mio desiderio senza mai vederlo realizzato.
No. Non ho voglia di andare a lezione, stamattina. Non ho voglia di affrontare la vita, perché non ho gambe sulle quali reggermi. Preferisco stare qui nel letto a stuprarmi il cervello e l'anima. A farlo senza alcuna paura di non sopportare il dolore. Perché ora so l'unica verità che veramente conta. Che mi permette di sopravvivere a qualsiasi male.
Ora so che in questo gioco io non posso morire.
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