2.
"Io ho combattuto con i migliori e li ho battuti tutti. Ho
mandato più gente in pensione io della previdenza sociale."
- Apollo Creed
Nileeah
Il riflesso sullo specchio d'acqua che aveva appena creato la salutava in tutto il suo splendore; come previsto, l'uniforme bianca le cadeva d'incanto sul fisico forte ed asciutto che da anni allenava in attesa di quel momento.
Pareva che, finalmente, il destino avesse incontrato il giusto percorso da farle seguire.
Raddrizzò le spalle, un sorriso di pura e consapevole arroganza sulle labbra, la mente impegnata a ripetere più e più volte i passaggi del suo rito d'iniziazione. Quando era arrivata la notizia, una piccola Yahta aveva dovuto istruirla sulle conoscenze basilari perché entrasse a far parte dell'arma della Grande Caccia.
Con quelle sue minuscole ali scintillanti e le parole sussurrate a piccoli morsi, la Yahta le aveva trasmesso un messaggio che la ragazza aspettava da anni e che avrebbe cambiato per sempre la sua vita. Non c'era stato bisogno di ripetizioni, sebbene la comunicazione fosse durata più di dieci minuti e la maggior parte delle cose che le venivano riferite era la prima volta che le sentiva.
Ci si aspettava che avesse anche una forte memoria, più dura del metallo creato dagli dei per costruire i ponti tra le nuvole.
"Non lasciare che Etilleah ti prenda su di sé". Le disse Jaevi, aggiustandole dolcemente i capelli. Quella frase, più che rassicurarla, non fece altro che elettrizzarla maggiormente; era ciò che si diceva a coloro che stavano per andare in battaglia, coloro che non si era certi sarebbero tornati.
Era da tempo che gli Heldi non si univano per affrontare nuove guerre, visto il trattato di pace che persisteva tra la loro popolazione e quella dei Kantri, dunque ormai gli unici a sentirsi fare tale augurio erano proprio i membri della Grande Caccia.
Ancor prima di unirsi ufficialmente ad essa, si sentiva già parte di quel grande gruppo d'eletti scelti dal destino.
Guardò sua sorella. Se anche avesse voluto parteciparvi, e già questo desiderio sarebbe stato impossibile per la sua indole pacifica, comunque non avrebbe potuto; la sua piccola figura sinuosa era adatta per altri scopi, ma non per il combattimento.
Il suo cuore non avrebbe retto alla fatica, come quello di molti altri Heldi.
"Non ho nessuna intenzione di abbandonare così presto il campo. Non preoccuparti". Gioviale come suo solito, saltellò dall'altra parte della stanza e lo specchio d'acqua scoppiò in una scintillante pioggerella di cristalli ghiacciati.
"Ora dovrei anche ripulire la confusione che hai fatto?".
"Non posso mica stancarmi io, sorellona di faji". La chiamava sempre in quel modo quando voleva che facesse qualcosa al posto suo; per un motivo gli dei avevano creato quelle creature, a suo dire le più belle del mondo. Ed il motivo era quello di imbonire Jaevi quando voleva qualcosa, ovviamente.
"Ruffiana". Si sorrisero, ma presto la maggiore tra le due prese in mano la situazione e, prima che la madre potesse notare qualcosa, eliminò tutte le tracce di quel comportamento ribelle.
Gli specchi non erano cose da fare in casa, per quanto vanitose fossero le persone che li creavano. Se qualcosa andava storto, non sarebbero semplicemente scoppiati, ma sarebbero svaniti in un'esplosione capace di uccidere le persone di tutta la dimora.
Nileeah scrollò le spalle. Perché pensarci, quando a lei non era mai, né sarebbe mai, successo?
Si mise piuttosto ad ammirare l'elaborata e resistente borsa di steli intrecciati che il padre le aveva comprato per l'occasione, poggiata sul letto. Era fiero di lei, fiero della stirpe che continuava la sua sacra missione.
La vita delle due sorelle si poteva suddividere in due epoche: prima che Nileeah iniziasse a mostrare i primi segni di un fisico resistente e dopo. Da anni il padre era costretto ad essere solo un istruttore, per quell'allenamento che precedeva l'entrata nella Grande Caccia e la suddivisione nei vari ranghi.
Una volta, però, era un Cacciatore. Leggendari erano i racconti che i bambini della loro tribù erano abituati a sentire sulle imprese di loro padre ed un amico mai conosciuto, morto in battaglia. Storie di lotte immani, poteri proibiti, e frecce usate come armi per i combattimenti corpo a corpo; si narrava inoltre del drago che l'uomo aveva osato cavalcare insieme al suo compare, una delle razze più feroci del pianeta. Eppure, insieme erano riusciti a domarlo.
I racconti su quella magnifica creatura variavano, ma avevano tutti un punto in comune. Era bellissimo, il manto che lo ricopriva blu come il cielo notturno privato di stelle; sembrava che delle voglie a forma di mezzaluna gli solcassero il collo, fino a formare un collare naturale a cingere il suo grande capo. Purtroppo, come l'amico del padre anche lui non aveva più fatto ritorno a casa.
Ed era colpa di quei disgustosi Drimarck. Anche su di loro le leggende si sprecavano; per quanto gli Anziani cercassero di contenere ciò che in fondo diveniva sempre più uno scherzo, avvertendo della pericolosità di questi esseri, tutti quelli che non facevano parte della Grande Caccia avevano iniziato a lanciare le teorie più disparate sul loro aspetto.
Si sapeva che la fisionomia era simile. Non per altro un tempo, prima della Rivolta, erano la tribù a capo di tutte le altre; ora tutti gli Heldi, ad ogni nuova generazione, ripetevano fino allo sfinimento l'unico tratto distintivo di queste creature. L'iride dorata.
Nonostante tutti fossero a conoscenza di questo particolare, tutti si chiedevano perché fossero così temibili, e così erano nati nuovi miti sul loro fisico; il segreto del loro potere era custodito solo da una ristretta cerchia di persone e dai componenti della Grande Caccia.
E Nileeah adorava quella sensazione di potere che le avrebbe dato soddisfare anche questa curiosità. Certo, non sarebbe accaduto subito.
Doveva prima addestrarsi, fare pratica sul campo. Solo alla prima uccisione le avrebbero confidato anche questo e chissà, forse anche altri segreti così proibiti da non essere nemmeno conosciuti di fama; segreti oscuri, di... di che cosa?
Non ne aveva idea.
"Sei pronta?". La voce gelida che comparve dietro di lei all'improvviso interruppe il flusso di pensieri della giovane guerriera; ora che era stata distratta, notò che la sorella non aveva ancora lasciato la stanza, ma era stata seduta tutto il tempo vicino a lei, assorta allo stesso modo. Si chiese su cosa stesse mai riflettendo, per essere così concentrata da non sentire l'arrivo della madre.
"Certo". Che altra risposta avrebbe mai potuto dare? Nessuna.
Era lei. La madre. Sapeva come doveva comportarsi in sua presenza.
"Bene".
Solo quella parola riuscì a farla sentire colma d'orgoglio. Era così che funzionava con lei, e questi erano i massimi complimenti a cui era mai arrivata. Brava. Bene. Accettabile.
Tutti nella famiglia si erano chiesti almeno una volta perché Etilleah avesse deciso di farla nascere tra gli Heldi; il comportamento che aveva era molto più acquatico, e non poche volte faceva storcere il naso. Eppure pian piano tutti ci si abituavano.
Si girò verso Jaevi, un chiaro segnale che la conversazione con Nileeah era invece finita. Quelli erano i saluti della madre.
"Perché sei ancora qui? Hai il turno con Aajan per la formazione delle punte di freccia- la sorella a quelle parole si alzò più veloce di un fulmine, in panico, ma la donna mantenne la sua solita compostezza- Ricorda di non far soffiare troppo vento solo perché avete un po' caldo. E dillo anche a quel ragazzo, è troppo pericoloso. Non sapete controllarlo bene e non sapete quanto sforzo possa reggere il vostro cuore". Non aggiunse altro e, silenziosa com'era venuta, uscì dalla stanza.
Non aveva bisogno di rimproverare Jaevi per la mancanza d'attenzione. Sapeva che non sarebbe riaccaduta una cosa del genere, o perlomeno non tanto presto.
"Devo andare ora". Comunque non avrei potuto accompagnarti.
"Lo so". Per la prima volta nella mia vita, sarò sola. Ho ancora bisogno di te.
Si abbracciarono in quel silenzio denso di frasi non dette, e disegnarono l'una sulle spalle dell'altra un piccolo cerchio con il dito, a memoria della promessa che si erano fatte da piccole.
Erano la fine e l'inizio dell'altra.
Poi, si staccarono e Jaevi le sorrise splendidamente. La sorella era davvero una faji. Bellissima e stupenda, in pochi erano quelli immuni al suo fascino. Tra cui, purtroppo, anche Aajan, sebbene tutti sperassero in una loro unione; erano diventati amici qualche anno prima, poi semplicemente erano divenuti inseparabili. Non c'era da sorprendersi se la maggior parte della loro piccola tribù li vedesse come una coppia, anche se nei pensieri di entrambi era la cosa più lontana che ci potesse essere.
Appena la sorella se ne fu andata, aprì la bolla d'aria invisibile, che sarebbe stata il suo armadio nel resto del tempo alla piccola nuvola del suo squadrone. I dormitori erano un'unica grande camera piena di letti disposti a file, e da quanto ne sapeva c'era ben poco spazio per mettere anche degli armadi, come facevano lì in casa.
La bolla non sarebbe scoppiata e l'avrebbe seguita ovunque, aprendosi solamente al suo richiamo e restando invisibile finché avesse voluto. Comodo, se ciò non le avesse imposto di rifarla ogni settimana. Sapendo che presto avrebbe comunque dovuto riformarla, iniziò a buttare dentro qualche vestito senza neanche piegarli.
Riallacciò il filo spezzato poco prima dalla madre. Dentro di sé, era sicura che ci fosse altro, oltre ad un potere da cancellare, e con esso tutti i suoi portatori.
L'odio era l'altra faccia della medaglia che ogni bambino delle tribù aveva imparato a nutrire nei confronti dei Drimarck. Come si poteva lasciar vivere mostri del genere?
Sebbene nessuno sapesse cosa li rendesse così spaventosi. Non che l'iride dorata non avesse il suo certo effetto, ovviamente.
In mente, ora, aveva un solo obiettivo: riuscire a guidare la Grande Caccia.
Chiuse la bolla e si preparò ad andare a salutare il padre, già pensando all'espressione fiera che avrebbe avuto.
Voleva conoscere tutto.
E, soprattutto, vincere.
Quello veniva prima d'ogni altra cosa. Ed, ovviamente, l'avrebbe ottenuto.
Ad ogni costo.
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