Chapter 24: "One shot in the air"

L'aria pungente di quella sera rampicava dentro le ossa, cistallizzandole persino i pensieri. Nonostante il passo svelto per le vie illuminate e frizzanti di Shinjuku, le gambe sembravano non riuscire a scaldarsi: il paio di calze a rete e gli shorts che indossava non potevano nulla contro quel gelo.

Una folata la costrinse a rifugiarsi nel parka verde oliva, strizzando le braccia contro il corpo nel mentre che immergeva le mani nelle tasche. Non era abituata a sentire tutto quel freddo sulla nuca: la parrucca a caschetto le lasciava completamente scoperto il collo, costringendola ad accogliere con una smorfia i brividi che il vento portava con sé. Era strano vestire di nuovo i panni della Regina di Picche, ma quelli di Yulis o di Ultra Violet sarebbero stati tutto fuorché raccomandabili in un contesto del genere, per non parlare poi del fatto che avrebbe trasgredito il consiglio appuntato a mano sul retro del biglietto che Phoenix le aveva fatto recapitare.

< Chissà se è sua, la grafia. >

Pollice e indice si ritrovarono a seguire il profilo del cartoncino, come stuzzicati da quel pensiero. La scrittura era pulita, ordinata e incredibilmente leggibile, e questo Yulis l'aveva notato subito con un'abbondante dose di stupore; era ancora in dubbio, però, sull'eventualità che potesse davvero appartenere a Phoenix. Forse era presumibile credere che fosse il signor Nobu, l'artefice di quella nota, perché la sua figura posata ed attenta era molto più facile da associare a quel tratto così pulito e curato.

Un paio di ragazzi la superò, urtandola per errore. Yulis abbassò di colpo la testa, annuendo alle scuse senza mai alzare lo sguardo e rilassandosi solo quando percepì i due allontanarsi. Aveva fatto bene ad optare più per Picche che per Yulis, data l'incredibile quantità di persone che trafficava per il quartiere: la possibilità di essere riconosciuta era più che concreta, e sbandierare al mondo che Ultra Violet stesse agendo da sola era l'ultima delle sue intenzioni.

Un nuovo brivido di freddo le rotolò lungo la spina dorsale, così infossò la testa tra le spalle nel tentativo di nascondere mento e labbra al di sotto del colletto. Missione in incognito oppure no, avrebbe preferito indossare almeno la parte alta del suo costume, avvalendosi così dell'aiuto del tessuto termico e della complicità di una sensazione più familiare sulla pelle. Invece, era stata costretta a interpellare Noora per comprendere quali fossero le caratteristiche di un outfit grunge, come suggeritole dal biglietto, e quindi arraffare qualcosa di più adatto dal suo armadio.

All'angolo tra Yasukuni-dori e Moa si fermò in prossimità del semaforo, incrociando le gambe e puntando il piede destro a fianco del sinistro. Recuperò il telefono e controllò il percorso dall'applicazione del GPS.

< Solo altri otto minuti per arrivare al luogo dell'incontro... >

O, almeno, a quello che sperava fosse il luogo dell'incontro.

Sull'invito, di fatto, non c'era nulla di direttamente comprensibile o utilizzabile, nulla che palesasse la natura di quell'improbabile appuntamento. Al centro del cartoncino nero erano stampate due lettere maiuscole, una "B" e una "H", e al di sotto di esse comparivano una data, l'elemento più facile da interpretare, e due gruppi di numeri: il primo era composto da nove cifre, mentre il secondo da dieci. L'insolita presenza di un paio di punti l'aveva portata ad escludere la possibilità che si trattasse di un qualche recapito telefonico, così aveva ipotizzato che quelle fossero delle coordinate geografiche.

- BH potrebbe essere un posto. - soppesò, mentre il bip allegro del semaforo accompagnava la sua traversata.

Dopo una nuova svolta a sinistra imboccò un piccolo vialetto alberato, percorrendo qualche centinaio di metri di rettilineo sino a che non giunse a una zona pedonale. Continuò a seguire il percorso indicato sul display, ritrovandosi poco dopo all'ingresso di Golden Gai.

Yulis si mordicchiò le labbra.

Conosceva Golden Gai, e non poteva definirla una zona che era solita frequentare. La dubbia reputazione di quel luogo, volente o nolente, era nota a chiunque, e se un tempo era tra le destinazioni più popolari dei turisti, il continuo cappio della criminalità aveva strozzato l'autonomia dei piccoli locali, rendendola molto più difficile da approcciare, specialmente se sprovvisti di guida e buon senso. Al fianco del cartello che annunciava il quartiere, proprio al di sotto della mappa che raffigurava l'intricata rete di microscopiche vie, spiccavano a monito le tre semplici regole ancora in vigore: niente foto, niente schiamazzi, niente guai.

Yulis sfarfallò le ciglia un paio di volte, poi si addentrò nel piccolo sobborgo. Procedette in un bizzarro zig zag, superando insegne al neon fatiscenti, izakaya dai nomi improbabili e un paio di sguardi non proprio amichevoli. Accelerò di poco il passo, sperando di non destare troppa attenzione, tentando di levarsi dal mezzo il prima possibile. Svoltò di nuovo, percorrendo una viuzza claustrofobica e poco illuminata che pareva essere stata scavata nel muro molto tempo dopo la sua costruzione; per fortuna, ne uscì in fretta.

- Grandioso. - borbottò, trovandosi di fronte a quello che pareva essere un vicolo cieco.

Controllò nuovamente il navigatore, appurando con disappunto che quello era a tutti gli effetti il posto che corrispondeva alle coordinate.

Sempre che quelle fossero davvero delle coordinate.

Con un pizzico di irritazione mista a nervosismo, si piazzò al centro della strada. Diede un'occhiata in giro, voltando lo sguardo tutto intorno a sé: era quasi mezzanotte, e la carenza di illuminazione pubblica non riusciva a rassicurarla.

- Se questa è un'imboscata e mi fanno fuori in un modo così stupido... -

Scosse la testa e sbuffò, seccata. Accese la torcia del telefono e avanzò di un paio di metri; dopo aver illuminato alla sua sinistra, riuscì a individuare quello che un tempo poteva essere stato un ristorante.

- "Bento House". - lesse l'insegna ad alta voce, e un sorrisetto le increspò le labbra. - Allora questo BH esiste davvero! -

Si avvicinò alla porta, scoprendo con improvvisa delusione che fosse chiusa. Il legno era scolorito e consumato dalle termiti in alcuni punti, eppure la serratura pareva inspiegabilmente moderna per un vecchio locale in disuso. Provò a fare leva sulla maniglia, ma non servì a nulla; quindi si avvicinò alla vetrata per sbirciare l'interno, ma anche quel tentativo risultò del tutto vano: i fogli di giornali che la ricoprivano dall'interno celavano qualsiasi ombra.

- Come diavolo faccio ad entrare? -

Un rumore metallico la costrinse a voltarsi di scatto.

- Chi c'è? - d'istinto spostò il piede sinistro in guardia, muovendo anche il braccio per illuminare davanti a sé. Un lampo rosso schizzò via nel buio, e lei sciolse la tensione in un sospiro. - Era solo... un gatto. -

Non appena avvistato, il micio si era esibito in un balzo, facendo cadere il bidone della spazzatura su cui doveva star riposando. Nel trambusto, delle latte rotolarono a terra fino a quando non si arrestarono contro il piedistallo di una cabina telefonica.

Non era insolito trovare pezzi del genere, sparpagliati per la città e ancora perfettamente funzionanti... eppure quel telefono era diverso. Il verde acceso che caratterizzava tutti gli esemplari suoi simili era stato cancellato, soppresso da della vernice spray color amarena.

Yulis si avvicinò, e gli anfibi fecero scricchiolare qualche rifiuto di plastica sotto le suole. L'interno della cabina era logoro, deturpato da un'infinità di scritte, graffiti e adesivi provocatori. Uno, in particolare, aveva attirato la sua attenzione, poiché appiccicato proprio ad altezza occhi sulla plastica sbeccata del cabinotto, a una spanna al di sopra del telefono. Raffigurava il kanji "jigoku".

- "Inferno"? -

Fece luce sul tastierino scolorito, analizzando i numeri ormai cancellati dall'usura e dal tempo. D'istinto, afferrò la cornetta e se la portò all'orecchio.

Trattenne il fiato.
Aspettò per tre, cinque, dieci secondi.
Come se, per qualche assurdo motivo, qualcuno dall'altro capo fosse in attesa di dirle qualcosa.

- Sono un'idiota. - bofonchiò, in uno zelo di frustrazione.

Tamburellò le dita contro la plastica, poi spostò lo sguardo sulle linee del kanji. Sbatté le palpebre un paio di volte e aggrottò la fronte.

- Non può funzionare. -

Forse per esasperazione, e magari anche per mancanza di altri spunti, premette l'indice sul numero sei. Per tre volte di fila.

Puntò i denti nel labbro inferiore e, di nuovo, si mise in attesa.
Il ronzio parve spezzarsi per un istante e il cuore le schizzò in gola,

Aspettò in silenzio, per cinque, dieci...

Qualcosa si strusciò contro il suo polpaccio.

Yulis lanciò un urlo e la cornetta le scivolò dalle mani: lo stesso gatto che solo poco prima aveva ben pensato di giocarle un brutto tiro facendola spaventare a morte doveva aver deciso di scusarsi, offrendole qualche coccola. La ragazza fece giusto in tempo a vederlo sparire nel buio del vicolo a una velocità disumana, per la seconda volta di fila.

- D-devo darmi una maledetta calmata. - appoggiò una mano all'aletta della cabina e ci spostò su buona parte del proprio peso. Inspirò a fondo per tentare di rallentare i battiti, quindi recuperò la cornetta che ancora ondeggiava per aria.

Si bloccò per un attimo, assottigliando lo sguardo.

All'interno del corpo del ricevitore, sulla plastica che teneva insieme altoparlante e microfono, erano state scritte le lettere "BH" e una serie di tre numeri, con l'indelebile nero.

< Sicuramente una coincidenza. >

Yulis deglutì, e per l'ennesima volta l'avvicinò all'orecchio.

< Un caso. >

Fece scattare la molla per azzerare la linea, poi tornò a concentrarsi sul tastierino, digitando ciò che aveva appena letto.

- Uno, tre, sei... -

Uno, tre e sei erano anche le cifre più usurate.
E il ronzio era appena mutato in squilli.

< Questa cosa non... >

" Buonasera. Cosa consiglia, oggi, Maurice? "

Yulis si pietrificò.
Occhi sbarrati e fissi davanti a sé, incapaci di mettere a fuoco il profilo della cabina.

Davvero qualcuno le aveva risposto? Oppure era solo uno scherzo della sua immaginazione?

" Cosa consiglia, oggi, Maurice? " domandò di nuovo la voce in falsetto, scandendo ogni parola.

Yulis schiuse le labbra, ma senza far uscire alcun suono.

"Maurice"?
Perché quel nome le era familiare?
Perché era così convinta di averlo già sentito?

" Lo chiederò un'ultima volta. " una pausa lunga, come se il suo interlocutore stesse cercando di far sfumare il piglio spazientito che aveva guidato la sua ultima battuta. " Cosa consiglia, oggi... "

- Limonata! - colta al volo l'epifania, Yulis non lo lasciò nemmeno terminare. Poi tossicchiò, imbarazzata dalla sua stessa irruenza. - Maurice oggi consiglia... u-un'ottima limonata. -

Silenzio.

Era quella, la risposta? O aveva sbagliato?
Per qualche strana ragione, aveva collegato a Maurice solo il giallo tenue di un'ottima limonata.

" Urrà! " la voce in falsetto si esibì in un gridolino gioioso. " La limonata è in frigo, e tu hai sessanta secondi per entrare, bellina. "

Il clanck della serratura automatica fu così forte da sentirsi persino a quella distanza. Yulis voltò di scatto la testa, catalizzando tutta la propria attenzione sull'ingresso e su quel piccolo led verde lampeggiante che aveva iniziato a scandire il tempo.

Senza pensare oltre, senza riflettere ancora, agganciò al volo la cornetta e si fiondò sulla porta. Le dita si avvilupparono alla maniglia e una spalla spinse con forza contro il legno, ma non trovò più alcuna forma di resistenza.

In un secondo, si ritrovò all'interno del Bento House.

Era davvero un locale di ristorazione tradizionale, a giudicare da quel poco che si distingueva. Pochissima luce filtrava dalla finestra a causa delle pagine di giornale appese ai vetri, ma grazie a una doppia scia di led rossi adagiati sul pavimento era perlomeno possibile riconoscere le sagome del mobilio.

Un nuovo clanck, alle sue spalle, la fece sobbalzare.

- Merda. - si lasciò sfuggire ad alta voce, nonostante le labbra serrate.

Era ufficialmente chiusa lì dentro, e nessuno dei suoi compagni sapeva dove si trovasse, tantomeno conosceva le sue intenzioni.

< Beh... è un po' tardi per farsi assillare dalle preoccupazioni. >

Prese un nuovo respiro e attese che il proprio cuore rallentasse, abbracciando l'idea di andare fino in fondo a quella storia.

Nonostante l'indicazione luminosa a terra, Yulis preferì fare affidamento anche sulla torcia del proprio telefono. I tavoli erano ammassati in maniera disordinata ai muri, ancora ricoperti da carta da parati, mentre le sedie erano impilate le une sulle altre a gruppi di sei. C'era della polvere, in giro, ma meno di quanta se ne sarebbe aspettata da un ristorante in disuso.

Il tatami crepitò sotto le suole, e ad ogni nuovo passo Yulis pregava che dal buio non sbucasse qualcosa, o qualcuno, in grado di farla pentire di essersi fatta coinvolgere.

< Non potevamo vederci al Grand Hotel, come avevamo concordato? >

Deglutì e si strinse nel cappotto, ignorando sia gli scricchiolii sinistri che produceva avanzando e sia l'infinità di scenari da film dell'orrore che la sua mente aveva deciso di partorire proprio in quel momento. Superò il bancone e una fila di sgabelli di legno bianco, e sempre seguendo il percorso delimitato dai led attraversò una porta che la condusse in cucina. La stanza si sviluppava più in lunghezza che in larghezza, ed era quasi interamente occupata da angoli cottura e tavoli d'acciaio, mentre alle pareti erano appesi numerosi accessori, padelle, e...

- Quello è... un mitra? -

Yulis esitò.
Non c'era solo un mitra appeso alla parete, ma anche una carabina, qualche fucile da caccia e almeno una dozzina di semiautomatiche.

Dondolò sui talloni e si strinse le braccia al petto.

La nota negativa era che i segnali erano tutti poco raccomandabili.
La nota positiva era che, con tutta probabilità, stava seguendo la pista giusta.

Si costrinse a ignorare la vocina che le chiedeva di darsela a gambe e tornò a lasciarsi guidare dalla scia luminosa. I piccoli led sembravano essere stati disposti in modo da far fare un tour panoramico della cucina, passando al fianco dei fornelli, degli scaffali e, ovviamente, dell'infinità di bossoli già utilizzati che adornavano i tavoli.

Tutto, però, riusciva a passare in secondo piano quando ci si accorgeva che il percorso obbligato portava esattamente di fronte al frigorifero: l'elettrodomestico era ricoperto di luci come uno strano addobbo natalizio, e la sua scocca laminata, anch'essa color amarena, era impreziosita dall'enorme kanji "mon".

Curioso aver appena scovato l'ideogramma di "porta", proprio dopo quello di "inferno".

Yulis sussultò appena, sfiorando l'acciaio freddo con i polpastrelli.
Afferrò la maniglia e incamerò aria nei polmoni, ignorando qualunque altro timore.

- Prendiamo un sorso di questa maledetta limonata. -

Spalancò l'anta trattenendo il respiro.
Mise a fuoco il vero contenuto del frigorifero e strabuzzò gli occhi.

- Ma cosa...? -

Dopo un primo sbigottimento, una breve risatina nervosa sfuggì al suo controllo. Il desiderio di stropicciarsi le palpebre per assicurarsi che non si trattasse di un'allucinazione si fece sentire, ma fu presto soppresso dall'idea di rovinare il copioso strato di eyeliner e ombretto scuro che con tanta cura Noora aveva applicato per incorniciarle lo sguardo.

- È davvero una scala? Una scala dentro il frigorifero? -

Non c'erano ripiani, cassetti o cestelli per il ghiaccio, nella cella principale; l'elettrodomestico era dotato della sola ossatura esterna, ben illuminata e, per qualche incredibile motivo, ancora funzionante: quel frigorifero era a tutti gli effetti una porta verso chissà dove, e la sua base era un minuscolo pianerottolo ricoperto di moquette bordeaux che nel giro di mezzo metro sfociava in una lunga serie di pioli.

Assurdo.
Non riusciva a definirlo in altro modo.

Eppure, era reale.
Tanto reale quanto le bottiglie di limonata posizionate sulla parte bassa dell'anta appena aperta.

Yulis si concesse un momento per ammirare quello spettacolo: appoggiò l'avambraccio contro la guarnizione e la fronte contro il dorso della mano.

- Sto davvero per infilarmi dentro a un frigorifero che millanta di essere la "porta per l'inferno"? -

Attese qualche altro istante, giusto per dare il tempo al proprio buonsenso di non prendere sul serio quella domanda tanto stupida e dalla risposta tanto ovvia, quindi molleggiò sulle ginocchia per acquattarsi e infilarsi all'interno della cella.

Una volta superato l'ingresso, si sostenne al corrimano in ottone e cominciò a scendere con cautela. Nel giro di qualche metro, la visibilità migliorò nettamente: gli scalini erano dotati di piccoli faretti che emettevano fasci di luce calda in grado di illuminare il passaggio; le pareti, al tatto ruvide, erano dipinte di rosso, ma di un tono più scuro rispetto a quello della moquette.

Più Yulis si addentrava nelle profondità del Bento House, più l'aria si riempiva di bassi vibranti.

< Musica? >

A ogni piolo superato, il volume non faceva altro che aumentare, caricando l'atmosfera di elettricità. Non riconosceva il brano, ma il ritmo accattivante la solleticava ad accelerare la discesa.

Avrebbe dovuto essere allarmata, invece era impaziente di ottenere risposte e di scoprire cosa ci fosse in fondo a quella scala.

Alle note si unì presto un brusio, che poco dopo risultò essere un chiacchiericcio animato.

- Cazzo, non vedo l'ora di entrare! Ce la facciamo entro mezzanotte, vero? -

- Sarà meglio per tutti, è venti minuti che aspettiamo! -

Yulis raggiunse la fine della scala, ritrovandosi in quella che pareva proprio essere l'anticamera di un club. Sulla destra troneggiava un bancone scuro su cui erano state disposte innumerevoli scatole di proiettili e un vecchio telefono a disco in tinta con il resto dell'ambiente. C'era un ragazzo a gestire la postazione: portava i lunghi capelli castani raccolti in uno chignon molto alto e masticava una gomma. Il giovane, forse sui trent'anni, si sporse per sistemare la posizione di una manciata di bossoli da carabina e la manica del suo yukata ondeggiò, calando sulle dita laccate di smalto fino a nasconderle del tutto. Quando lo sguardo incrociò quello di Yulis, lui le fece l'occhiolino, tirando le labbra dipinte di rosso in un sorriso caldo e suadente.

- Benvenuta, bellina. -

La ragazza, per evitare di destare sospetti, rispose al saluto ricambiando il sorriso, ostentando una sicurezza che, di certo, non provava davvero.

< Dev'essere stato lui a rispondermi. >

Avanzò di qualche metro, costeggiando il divisorio dorato che guidava le file, quindi si piazzò vicino all'ingresso per la sala, a un paio di passi di distanza dal gruppetto trepidante e chiassoso che l'aveva inavvertitamente accolta poco prima.

Un omone alto e piazzato si palesò davanti a loro, generando un nugolo di commenti sollevati e stizziti al tempo stesso.

- Era ora, cazzo! Volevi farci marcire qui davanti, Mastro Lindo? -

Il buttafuori si abbassò gli occhiali da sole oltre la punta del naso, incurvando le spalle mentre si sporgeva verso il suo interlocutore; lo fissò con intensità, sovrastandolo in stazza ed energia.

- Ho buona memoria, per gli stronzi. Fossi in te, starei attento al suono della sirena. -

L'aria gelò.
Il gruppetto si ammutolì di colpo, mentre il ragazzo al bancone cominciò a sganasciarsi dalle risate.

- L'hai proprio fatto incazzare, Billy! -

Il moschettone che chiudeva la fila fu sganciato in un click e l'enorme drappo nero che celava l'ingresso alla pista fu scostato.

- Prego, accomodatevi. -

Guardinghi e spaventati, i ragazzi se la filarono in fretta, sgusciando via senza mai distogliere lo sguardo dal buttafuori.

Yulis deglutì, e con gli occhi bassi si affrettò a procedere.

- Parola d'ordine. -

Presa alla sprovvista e costretta a fermarsi, incespicò nei suoi stessi passi.

- Sono con loro. - con un gesto del mento indicò il drappo ormai calato. - Billy si chiederà cosa sto aspettando. -

L'uomo raddrizzò la schiena e incrociò le braccia davanti a sé in un movimento lento; la squadrò dall'alto in basso, facendo brillare la capa pelata sotto il riflettore. - Non prendermi per il culo. Parola d'ordine. -

- Limonata? L'ho già detta a lui, per entrare. -

Mastro Lindo distese le labbra e mostrò i denti. - Non conosci le regole: o sei nuova, o sei uno sbirro di merda. -

Yulis indugiò.
Sfarfallò le ciglia un paio di volte e si strinse nel parka.

Non poteva averla riconosciuta, la stava solo provocando.

- Mi fai entrare o vogliamo continuare con queste domande del cazzo? A loro non hai chiesto nulla. -

Optò per l'arroganza.

Per un attimo, si finse Leo e adottò lo stesso comportamento che si sarebbe aspettata da uno come lui.

- Spavalda. - il bodyguard sbottò una risata denigratoria e Yulis tentò con tutte le forze di rimanere impassibile. - Devi solo dirmi la fottuta parola d'ordine che è scritta sull'invito, così ti faccio entrare. -

- Non c'è nessuna parola d'ordine scritta su... -

Ma le parole le morirono in gola.

Le labbra erano rimaste plasmate sulla sillaba da pronunciare non appena il profilo metallico della canna della Beretta le aveva sfiorato la fronte.

- Tre... -

La stava ingannando.

Era sicura che sopra quello stupido pezzo di carta non ci fosse nulla del genere. Nessuna parola d'ordine, nessuna password, nessun codice.

- Due... -

Yulis alzò il mento e puntò lo sguardo verso di lui, finendo solo per specchiarsi sulle sue lenti. Deglutì e spostò l'attenzione sulla mano che sorreggeva la pistola, sulle dita tozze avviluppate attorno all'impugnatura, sul dorso ricoperto di tatuaggi.

Lasciò che i propri palmi pizzicassero per via dell'accumulo di Empathy: avrebbe afferrato e controllato il polso di Mastro Lindo, allontanando l'arma e facendo fluire in lui un sonno micidiale in un solo colpo. Lo avrebbe steso e sarebbe entrata.

Doveva solo mantenere gli occhi su di lui.

Doveva solo...

- Bang! -

Yulis sobbalzò e si voltò di scatto, ritrovandosi faccia a faccia con il ragazzo del telefono.

Ma quando tornò a concentrarsi sulla guardia, questa ormai aveva già premuto il grilletto.




Una moltitudine di minuscoli coriandoli e polvere di brillantini volteggiò nell'aria, adagiandosi sulla sua parrucca e sui suoi vestiti.

Quello che stava succedendo non corrispondeva a quello che Yulis credeva di aver appena vissuto: nelle orecchie, infatti, riverberava chiaro e prepotente il fischio dello sparo, mentre davanti a sé riusciva a distinguere un leggero alone di fumo che permeava la canna della pistola.

Ma lei non provava dolore, ed era impossibile che l'avesse mancata a quella distanza.
La pistola non era una riproduzione, ed era certa che fosse appena partito un colpo.

- La roba di Bubblegum rimarrà sempre la migliore! -

Yulis mollò la mandibola, schiudendo le labbra.

Il proiettile doveva essere a salve, o condividere una tecnologia molto simile. Quindi, grazie a un prodotto apparentemente innocuo dell'Artigiano, come avevano appena palesato, era stata ricoperta di brillantini e umiliazione.

Quell'onta la colpì dritta allo stomaco e le fece montare i nervi: si era fatta ingannare in modo così stupido, con così tanta facilità...

Gli sghignazzi incontrollati dei due la riportarono con i piedi per terra; Yulis scrollò la testa, e il riflesso luccicante della carta rifrangente ancora incastrata tra i capelli sintetici illuminò il completo scuro del bodyguard.

- Mi sono mosso come un ninja e ti sono arrivato alle spalle senza che nemmeno te ne accorgessi! Fffium! -

Mastro Lindo assestò un paio di pacche sulla spalla del complice, ormai al suo fianco, senza smettere di ridere nemmeno per un secondo. - Si è proprio cacata in mano! -

Un nuovo formicolio alle mani costrinse la ragazza a muovere le dita per eliminare il torpore che le affliggeva. Puntò lo sguardo davanti a sé e irrigidì ogni muscolo.

- Oh, non fare quella faccia, bellina. Hai solo vinto un drink in omaggio. -

L'ennesima ondata di grasse risate scosse il petto dell'uomo, il quale le consegnò un gettone di plastica iridescente solo dopo essere riuscito ad asciugarsi le lacrime agli occhi.

Yulis inspirò a bocca chiusa e si costrinse a tenere a freno la lingua, puntandola contro i denti serrati per evitare che qualche insulto potesse rotolare fuori e peggiorare quella già precaria situazione. Passò il profilo del pollice sulla superficie del piccolo oggetto appena ricevuto e ne seguì le linee di intaglio raffiguranti un proiettile, poi se lo infilò in tasca.

- Oh, no. Mi sa che l'abbiamo fatta arrabbiare... - il ragazzo del telefono portò in fuori il labbro inferiore, esibendosi in quella che più che un'espressione dispiaciuta sembrava essere la caricatura grottesca di una smorfia. - Prendine un altro, piccola, e goditi la serata: la notte è giovane e i caricatori ancora pieni! -

La ragazza afferrò anche il secondo gettone, quasi strappandoglielo dalle mani, e senza indugiare oltre sgusciò dietro al drappo.

- Stronzi... - sibilò, rimpiangendo di non aver sfruttato Empathy quando ne aveva avuto l'opportunità.

Superò un breve corridoio e finalmente giunse in quella che doveva essere la sala principale del club.

Era enorme, viva e gremita di persone intente a ballare, cantare e strepitare. Le luci alternavano tra uno strobo epilettico a una più graduale caduta a pioggia sulla folla, la quale era ammassata nella pista ovale ai piedi del cabinotto di vetro del dj. Quest'ultimo fomentava il pubblico con gesti delle braccia e brevi frasi al microfono, mentre le dita scorrevano rapide sulla console. La musica era così alta da riuscire a entrare sottopelle, nelle vene, fino a far ribollire il sangue che scorreva al loro interno: le ritmiche erano scattanti, caratterizzate da una sonorità dura e affilata, quasi graffiante, mentre le voci che urlavano i testi in una lingua incomprensibile erano talmente veloci e incalzanti da insinuarsi nella testa, sgomitando con i pensieri sino a detronizzarli.

Per quanto paradossale, Yulis era rapita da quel contesto: l'ultima volta che aveva messo piede in un posto del genere per puro svago risaliva a parecchi anni prima.

Scansò dagli occhi un ciuffo della parrucca, proprio come avrebbe fatto con i suoi capelli, e si mise ad analizzare il resto dell'ambiente. Tutt'intorno alla pista si snodava un lungo corridoio stretto che conduceva ai privé, zone sopraelevate simili al cabinotto del dj completamente protette da enormi pannelli di vetro, ma dotate di divanetti e poltroncine. Dirimpetto a Yulis, dal lato opposto della sala, si ergevano due paia di scale, le quali erano poste a fiancheggiare un bar.

< Non capisco davvero perché mi ha fatta venire qui. >

Continuò a tenere gli occhi fissi sulla folla, sperando di poter notare Phoenix, da qualche parte.

< Cosa dovrei fare? Rimanere qui ad aspettare? Muovermi per trovarlo? >

- Il tuo ragazzo è lì in mezzo? -

Yulis ignorò la domanda. Fece un passetto in avanti, alzandosi sulla punta dei piedi per vedere meglio.

- Dico a te, dolcezza. -

Quando sentì pressione sulla spalla, fu costretta a voltarsi.

Un ragazzo dai capelli verdi la stava squadrando da capo a piedi, con un sorrisetto compiaciuto disegnato sulle labbra. Senza attendere oltre, le avvolse il braccio attorno alla vita, tirandola verso di sé.

- Hai l'aria amichevole. -

Yulis gli afferrò il polso e se lo scrollò da dosso in un unico gesto, fulminandolo con lo sguardo.

- Miao. - strillò lui, esibendosi in un ridicolo gesto della mano volto ad assomigliare a un'artigliata felina. - Mi correggo: hai proprio l'aria di una predatrice. -

La ragazza raccolse tutto il proprio autocontrollo pur di girare i tacchi e andarsene di lì senza rischiare di rompergli un braccio. Lo lasciò indietro, decidendo che avrebbe cercato Phoenix in maniera più attiva. Scese una manciata di scalini e si ritrovò in pista, a sgomitare in mezzo ad altre centinaia e centinaia di persone pur di accaparrarsi un minimo di spazio.

- Tre minuti alla mezzanotte! -

Un boato si alzò dalla folla e coprì le parole del dj; i più iniziarono ad agitare le braccia verso l'alto, distendendo i pollici e avvicinando indice e medio tra loro. In quel contesto, avanzare di qualche metro fu doppiamente faticoso: si beccò qualche spallata e qualche spintone, rischiando di finire coinvolta nel cerchio del pogo di un gruppo di ragazzi. Con ben poca pazienza rimasta, iniziò a maledire tutte quelle persone, il ragazzo coi capelli verdi, quel posto, e, soprattutto, Phoenix.

- Non lo troverò mai in questo casino! - sbottò, pestando i piedi.

Qualcuno le finì addosso e Yulis si ritrovò a inciampare a sua volta, rischiando di finire con le ginocchia a terra. Qualcun altro, per fortuna, l'afferrò per tempo e l'aiutò a rimettersi in piedi. Ancora prima di poter ringraziare, si sentì trascinare indietro: le mani che l'avevano sorretta si strinsero ai suoi fianchi, scivolando in avanti nel tentativo di infilarsi sotto al parka.

- Quelle come te amano farsi inseguire. -

Il ragazzo con i capelli verdi appoggiò il mento sulla spalla di Yulis e le fiatò sul collo, stringendola così forte da mozzarle il respiro. La spinse contro il proprio corpo e le gravò addosso fino a che lei non fu costretta a incurvare le spalle.

- Adesso che ti ho presa, ti va di ballare? -

Yulis boccheggiò in cerca d'aria, ma rimase concentrata. Calò con forza l'anfibio destro sul suo piede e lui sobbalzò di riflesso; senza perdere altro tempo gli assestò una gomitata all'altezza dello stomaco, riuscendo a sgusciare via dalla sua presa e a liberarsi finalmente di quelle mani.

- Provaci un'altra volta e finisci male! -

Lo gridò, forte, scandendo parola per parola, assicurandosi di essere sentita. Il sorriso che ricevette in risposta, però, indicò che il messaggio non era stato recepito.

- Okay, ti piace giocare... -

Un fischio lungo e piatto le riempì le orecchie, e tutto il resto sparì.

Il ragazzo ripartì alla carica, ma lei rimase immobile.
Lo fissava con un astio bruciante, ma sapeva di dover attendere affinché fosse abbastanza vicino.
Abbastanza vicino da afferrargli la gola con facilità.

Palmo sulla trachea e dita sulle tonsille.
Proprio dove Empathy riusciva a fluire con più facilità, proprio dove poteva dare il meglio di sé.

E Yulis aveva un ricco repertorio da cui poter attingere.

A contatto stabilito, le pupille dell'altro si dilatarono fino a diventare così grandi da ingoiare le iridi marroni. Il colorito si fece pallido e livido allo stesso tempo, mentre gli angoli della bocca si irrigidirono come sotto l'effetto di una paralisi: bastò un unico secondo a levargli dalla faccia quel ghigno perverso e tramutarlo in un'espressione di puro terrore.

Non lo lasciò andare subito.

Voleva prima assicurarsi che la sua paura si accentuasse.
Che temesse davvero per la propria incolumità, che gli venisse il dubbio di essere a pochi istanti dal perdere la vita.

E in quegli occhi terrorizzati lesse presto tutte le certezze che desiderava.

- Sparisci dalla mia vista. -

Allentò la presa.
Il ragazzo schizzò via, per quanto la folla gli permettesse agilità, e non si voltò mai indietro.

Ci volle qualche istante, prima che Yulis tornasse a respirare in modo regolare.

Lanciò qualche occhiata intorno a sé, ma nessuno pareva essersi accorto di nulla.

Espirò pesantemente e si passò una mano sulla nuca, pizzicandola appena. Come regola personale, cercava di non dover ricorrere mai alle proprie abilità per risolvere le situazioni del quotidiano, ma aveva imparato presto che soggetti come il tizio dai capelli verdi richiedevano soluzioni più drastiche.

< Non esistono rimpianti, solo scelte estreme. >

Puntò il mento verso l'alto e chiuse gli occhi, concentrandosi sul fiume di parole della canzone per evitare che pensieri e ricordi potessero prendere il controllo della sua mente.

Faceva caldo, molto caldo.
E quel cappotto e la folla non erano d'aiuto.

Con un gesto rabbioso se lo levò di dosso, arrotolandolo su un braccio; non appena le spalle furono scoperte si sentì un po' meglio.

Sempre in punta di piedi, vagò con lo sguardo sulla pista, demoralizzandosi a ogni volto che non combaciava con quello del suo informatore. Sbuffò e si massaggiò le tempie, frustrata, rendendosi conto di essere alla ricerca di un ago nel pagliaio.

Ma, all'improvviso, qualcosa cambiò.

Gli altoparlanti iniziarono a trasmettere uno strano segnale acustico, simile a quello di una sirena, o di un allarme. La folla smise di ballare per tornare a dimenare in aria le braccia. Il dj disse qualcosa al microfono, ma il rumore delle grida estasiate coprì la sua voce.

La sirena suonò una seconda volta.
Poi una terza, poi una quarta.
Alla quinta esecuzione, tutti i presenti portarono le braccia verso il soffitto.

Ma, questa volta, le mani stringevano armi vere.

Semiautomatiche di ogni tipo e colore, fucili, mitra leggeri.
Tutto puntato verso il soffitto.

Yulis non riusciva a muoversi.
Continuava a fissare impietrita quelle persone, quelle armi protese verso l'alto, senza capacitarsi del motivo.

E lì realizzò di dover avere davvero paura.

Una mano incandescente le si posò sulla spalla, facendola voltare di scatto.

- Phoenix! -

Con un sorrisetto, il suo informatore si chinò su di lei. Le accostò le labbra all'orecchio, mentre un palmo andò a comprimere l'altro.

- Cerca di non dare di matto. -

Da quel momento in poi, Yulis capì davvero poco. Si ritrovò con la guancia premuta contro il petto di Phoenix, inglobata in qualcosa di simile a un abbraccio.

L'ultima sirena squillò.

E l'intera folla iniziò a sparare all'impazzata.

La ragazza si irrigidì di colpo e fissò sconcertata quello spettacolo: le centinaia di persone che un attimo prima ballavano in pista stavano crivellando di colpi il soffitto, ridendo e sbraitando come matte, fomentate da un'euforia difficile da descrivere.

D'istinto si spinse contro Phoenix, e lui le coprì la testa con la mano.

Lei tremava per il nervosismo e l'ansia, lui rideva di gusto.

Quella follia durò per attimi che a Yulis sembrarono eterni; quando finalmente gli animi si placarono e la musica tornò a essere l'unico sottofondo della serata, Phoenix la liberò, piantando gli occhi elettrici nei suoi. Arricciò il labbro inferiore in un sorriso soddisfatto.

- Benvenuta al Bullet Hell, Yulis. -





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NON UCCIDETEMI

Meglio tardi che mai... vero?

[INSERIRE INSULTI VERSO L'AUTRICE QUI]



PS: Il titolo del capitolo è tratto da "Jungle" di Punchnello.

Juliet

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