Chapter 13: "Bigger than giants"

- Non ti mollo, Zero! Fosse anche l'ultima cosa che faccio...! -

Ace era lungo disteso su un fianco mentre gridava quelle parole al vento, con testa e spalla a svettare pericolosamente ben oltre il limite della terrazza. In uno scatto, si era gettato sul parapetto ed era riuscito ad afferrare l'altro eroe al volo, proprio un attimo prima che potesse essere davvero troppo tardi. Le sue dita erano strette in una presa mortale attorno al polso del biondo, arpionate con una tale intensità da bloccargli quasi la circolazione.

Non lo avrebbe mai lasciato cadere.
Mai.

E quelle parole non erano state un semplice rito scaramantico contro la morte, perché Ace credeva davvero nella potenza di ogni singola sillaba che aveva appena pronunciato. Poco importava che lo Yōkai gli stesse sbandierando la punta della lama ad appena pochi centimetri dal volto: l'incolumità del suo compagno veniva prima di ogni altra questione.

Quattro dita su cinque adornavano il polso di Zero, mentre il polpastrello dell'indice destro, imbevuto di un terrore quasi spasmodico a riverberare nelle falangi, premeva contro l'avambraccio. Ace tentò una manovra per tirarlo su, verso di sé, ma non potendo sfruttare il resto del proprio corpo riuscì a malapena a sollevarlo di pochi centimetri, finendo così per sollecitare inutilmente le articolazioni delle spalle di entrambi.

- Con quel coso che cerca di affettarti la faccia, dovresti avere altre priorità! -

All'inutile puntualizzazione di Zero, Ace digrignò i denti e piegò le labbra in un sorriso paziente, ma comprensibilmente nervoso.

- Adesso ti preoccupi del mio bel faccino, quando giusto un paio di giorni fa mi hai rifilato una centra senza troppe cerimonie? Sei proprio un amico, Zero. -

Il diretto interessato, incurante della situazione, si lasciò sfuggire una breve risata di scherno. - La centra te la becchi da quello lì, se non pensi un po' anche alla tua di pelle, amico. -

E Zero aveva indubbiamente ragione: lo Yōkai era intenzionato a voler raggiungere il viso dell'eroe dai capelli rossi, fendendo in modo rabbioso il braccio culminante in lama. Nonostante Ace fosse riuscito a impalarlo proprio a metà della lunghezza di quello stesso arto e a tenerlo sufficientemente a distanza grazie a Stinger, il mostro sembrava quasi non aver avvertito niente di più che un pizzico sulle membra. Imperterrito, spingeva il proprio corpo in avanti, grugnendo e sputando saliva dalle fauci spalancate, sgocciolando sangue denso e scuro lungo l'avambraccio mutato del ragazzo.

Ace fu costretto a reagire ad un movimento più efferato. Sfruttò quindi il piede sinistro per mantenere l'avversario a distanza, puntandolo in corrispondenza delle ossa del suo bacino nel mentre che tentava di non perdere l'equilibrio. Lanciò poi uno sguardo rapido a Zero, che nel frattempo aveva portato la mano libera alla faretra issata sulla schiena.

- Che accidenti vuoi fare?! - sbraitò, con una goccia di sudore freddo che colava dietro la nuca. - Adesso hai imparato a scoccare con una mano sola? -

Ma il biondo si comportò proprio come se non lo avesse nemmeno sentito: fece scorrere le dita prima sulla cocca e poi attraverso le piume leggere dell'impennaggio della freccia, fino a che non agguantarono l'asta.

- Zero...?! - lo rimbeccò a gran voce nel mentre che lo osservava, con uno sguardo a metà tra il basito e lo sconvolto.

- Voglio solo accecare quello stronzo che sta tentando di banchettare con la tua faccia. - replicò lui, calmo.

- Con. Una. Mano. Sola! - scandì Ace in risposta, parola per parola, fissandolo con sgomento e apprensione crescente. - Zero, cazzo, siamo sospesi per aria a qualcosa come cento metri da terra! -

- Io sono quello sospeso per aria. - puntualizzò ghignando, con un tono divertito e fuori luogo a colorare l'osservazione. - Ma tra i due, quello che al momento sta rischiando più grosso sei decisamente tu. -

Senza ascoltare la protesta e senza risparmiargli un'occhiata provocatoria, puntò entrambi i piedi contro la parete del palazzo. Come se stesse scalando, avvicinò le ginocchia al petto fin quasi a rannicchiarle, poi, con un movimento lento e misurato, cominciò a distendere le gambe, protraendo indietro la schiena fin quasi a essere orizzontale rispetto al suolo. Ace pronunciò nuovamente il suo nome, implorante, ma lui non dedicò troppa attenzione all'angoscia dell'amico.

- Vento è stato chiaro: nella sua visione eri letteralmente ricoperto di sangue. - mormorò, quasi più a se stesso che a lui. - E preferirei che quel sangue non fosse tuo. -

Ace sbarrò le palpebre e strinse la presa in una morsa ancora più disperata. In contemporanea, percepì il proprio corpo scivolare avanti di qualche centimetro, strisciando contro la ruvidità del pavimento. Un moto di panico gli si riversò nelle membra, scuotendolo come un brivido. Si ritrovò quindi a piantare gli occhi prima sul suo avversario e poi sul suo compagno, il quale era...

...concentrato.
Maledettamente concentrato.

Quell'idiota sconsiderato del suo migliore amico era ad un passo tra la vita e la morte, ma godeva comunque di un'espressione talmente risoluta e sicura di sé da risultargli quasi fastidiosa. Tutta quella stupida calma, miscelata ad una boria fuori dagli schemi, gli aleggiava con grazia irriverente sul volto, finendo per renderlo la faccia da schiaffi più indisponente e più attraente su cui chiunque avrebbe mai potuto posare gli occhi. E se davvero esisteva un qualche dio, da qualche parte del globo, di certo doveva essersi messo d'impegno per assemblare un tale agglomerato di arroganza, fascino e sfacciataggine.

Ace espirò a lungo e tentò di fare dietrofront per mantenere un comportamento più lucido.
Il panico non giova mai a nessuno.

Da quando si erano conosciuti al primo anno di Accademia, per quanto possedessero caratteri molto diversi, erano diventati pressoché inseparabili. Si erano da sempre guardati le spalle a vicenda, arrivando al punto di fidarsi ciecamente delle reciproche idee o delle soluzioni proposte, più o meno strampalate, senza quasi mai battere ciglio. E anche ora, nel mentre che uno rischiava di finire sfracellato sull'asfalto e che l'altro era lì lì per farsi sfigurare il volto, c'era qualcosa che sussurrava ad entrambi di continuare a credere nella validità di quel legame.

- Ace. - lo richiamò il biondo con voce ferma e perentoria. - Al mio tre, sposta la testa a sinistra. -

Non poteva non credere in lui.

Zero si accontentò di un suo semplice cenno del capo e iniziò ad appellarsi alla propria forza interiore, quella che, come un combustibile di prima scelta, alimentava la precisione di True Shot, la sua tecnica per eccellenza.

Abbassò le palpebre fino a serrarle ed entrò in apnea.
Si concentrò sui propri battiti, isolandoli dal brusio di sottofondo e facendoli risaltare rispetto a qualunque altro rumore.
Inspirò dal naso, senza fretta.
Percepì la brezza proveniente da ovest scompigliargli i capelli.
Spostò il braccio di conseguenza, di appena qualche centimetro.

Contò ad alta voce il primo numero.

Incamerò aria e si umettò le labbra.
Abbassò la spalla e inclinò il polso di qualche grado.
Fece rotolare l'asta della freccia tra le dita, misurando ogni rotazione.
E il battito cardiaco successivo gli scandì il ritmo.

Contò allora il secondo numero.

Avvicinò l'avambraccio al bicipite, sottoponendo a contrazione quest'ultimo, e le piume che adornavano la cocca gli solleticarono la pelle.
Attese la nuova folata di vento.
Fece roteare ancora il corpo metallico, tra medio e pollice, per un ulteriore sesto di giro.
Tutta l'energia fluiva lungo l'arto, rinvigorendo i muscoli carpali e facendo pizzicare i polpastrelli lì dove entravano in contatto con la superficie del suo strumento prediletto.

Poi, aprì di scatto gli occhi.
E la voce riecheggiò nell'aria, con il terzo e ultimo numero.

Nel giro di un battito di ciglia, il braccio destro era stato proteso in avanti, con l'indice a puntare dritto oltre di sé. L'energia era guizzata via dal corpo di Zero per defluire nella scocca della freccia, concentrandosi sulla punta e seguendola nell'aria per tutto il tragitto percorso. E lui poteva vederla, quella scia eterea, che precisa e diligente conduceva allo scempio grottesco che rimaneva dell'occhio trafitto e sanguinante dello Yōkai, come un filo di lana ormai srotolato che per un capo è ancora congiunto alla matassa.

Zero sorrise, estasiato ed eccitato.
Un altro centro perfetto.

Ma l'euforia del momento durò ben poco. Lo Yōkai gridò, disperandosi in un grugnito rantolante che gli svuotò i polmoni. Spostò l'arto più sano in direzione del volto e rizzò la schiena, portandosi dietro Ace fino a sollevarlo malamente da terra.

Entrambi gli eroi imprecarono: uno per essere stato alzato di peso contro la propria volontà, l'altro per essere stato sbattuto senza troppe cerimonie contro la facciata dell'edificio.

Un grido squarciò l'aria e Zero puntò lo sguardo in direzione di quella fonte.
In piedi, anche se un po' barcollante, Ultra Violet aveva posto le mani a coppa attorno alla bocca per chiamare il nome dei suoi due compagni di squadra.

Stava bene.
O meglio, era ancora viva e sufficientemente in forze da lanciare un urlo del genere.

Il sorriso del biondo si spense in fretta quando si accorse che lo Yōkai alato si era gettato sulla ragazza, in un ultimo quanto disperato tentativo di farla precipitare. Un piede di lei era finito oltre il limitare del tetto del tunnel, ed era stato solo grazie ad una manovra di fortuna se era riuscita a spostare tutto il peso del corpo nella direzione opposta, limitandosi a far penzolare la gamba nel vuoto per qualche attimo di terrore.

Zero sentì la gola secca.
In maniera quasi meccanica, alzò gli occhi verso l'alto: Ace cercava in tutto e per tutto di allontanare il collo dal suo aguzzino, ma in quella situazione, qualunque suo movimento era ancora più limitato rispetto a prima.

Erano messi uno peggio dell'altra.

Il battito galoppò nel petto.
L'eroe virò lo sguardo al tunnel e vide Ultra Violet rimettersi in piedi, aiutandosi con una mano premuta a terra e l'altra a contatto con il muro della torre, la stessa su cui lui ed Ace stavano combattendo. Esattamente al centro del piccolo e stretto camminamento sospeso, il più piccolo dei due mostri si era rannicchiato su se stesso, tremando come se fosse stato scosso da una violenta serie di convulsioni.

E Vento gliel'aveva detto.
Aveva previsto e analizzato quel preciso istante grazie a Momentum, la sua abilità. Nella sua visione, le vetrate delle torri sarebbero esplose in una miriade di schegge, ferendo e uccidendo un incredibile numero di civili e mettendo completamente a rischio la vita di Ace. Così avevano ideato un piano, in fretta, e l'avevano messo in atto: Quake avrebbe alzato il manto stradale per far schiantare i vetri su un terreno sicuro, mentre Vento avrebbe tenuto d'occhio l'eventuale arrivo di nuovi amichetti mostruosi. E Zero era convinto di aver già scampato quel pericolo, dato che proprio pochi istanti prima erano riusciti a gestire in maniera più che dignitosa l'esplosione del parapetto. Ma possibile che quella pioggia scintillante e acuminata fosse solo un primo assaggio? Possibile che l'ultima scarpata di terra e prato, di certo non preventivata nel piano originale, fosse stata innalzata a seguito di una nuova manifestazione di Momentum?

Credere di aver già risolto il problema più grande era stato stupido da parte sua.
Stupido e superficiale.

Zero puntò lo sguardo in direzione di Ultra Violet, soppesando la figura della compagna, poi riportò il mento verso l'alto.

- Devi lasciarmi andare. -

Ace parve spiritato.
Ruotò la testa verso Zero ad una velocità disarmante, fissandolo con un'espressione allarmata e a dir poco confusa. Gli rifilò un'occhiata sbieca, pregando di aver capito male.

- Scusami...? -

- Non riuscirai a liberarti di quello stronzo se continui a sorreggere me. - spiegò l'arciere, moderando il tono concitato e nervoso che quelle parole avrebbero potuto presto assumere. - Lasciami. -

- Ma sei scemo?! - e intensificò la presa a tal punto da imprimere delle piccole mezzelune sulla pelle del compagno. - La botta di poco fa ha mandato in tilt quei pochi neuroni sani che ti erano rimasti?! Col cazzo che ti lascio! -

- Ace, guardami! - a sua volta, gli strinse le dita attorno al polso, in una risposta inconscia volta a dimostrargli che nemmeno lui aveva davvero intenzione di morire. - Tu ti fidi di me. -

L'interpellato si lasciò sfuggire un gemito strozzato. Per quanto riluttante, incatenò lo sguardo a quelle pozze scure che erano i suoi occhi e, come preventivato, sentì la propria risolutezza sgretolarsi. Lo odiava quando faceva così, quando spostava tutto il centro dell'attenzione sulla questione della fiducia. E sapeva benissimo che quella non era una domanda, ma una maledetta affermazione, una stupidissima valutazione oggettiva dei fatti. Come se non fosse già abbastanza ovvio che Gareth, così come Ace, si fidasse di Leo/Zero nella maniera più cieca e abietta possibile.

- Non ho alcuna intenzione di morire davanti ai tuoi occhi, della squadra o delle centinaia di persone che staranno seguendo in diretta il balletto di questo teatrino. - Zero tentò di non far sfumare del tutto la propria compostezza. Gli sorrise, serafico e falso, celando la propria apprensione con la stessa maestria di un attore sul palco, la sera della prima. - Quindi... ho bisogno che tu creda in me, di nuovo, e che per quanto assurdo molli la presa. -

- No, Leo...! - la voce di Ace si incrinò, tramutandosi quasi in un singulto strascicato.

Come avrebbe potuto farlo?
Quella richiesta l'aveva sconvolto a tal punto da spingerlo a chiamarlo con il nome di battesimo, nel bel mezzo della missione.

- Non puoi... non puoi chiedermi una cosa simile! -

- Gar. - ma Leo gli sorrise ancora, affabile e sicuro di sé. Non poteva demordere, non poteva farsi sfuggire quell'occasione. - Io ho bisogno di te e della tua fiducia, ora più che mai. E sai bene il perché. Quindi, quando te lo dico... lasciami andare. -

Zero lo vide tentennare.
Sapeva di aver usato le parole giuste e da un lato si detestava per questo, per avergli chiesto così tanto. Era perfettamente consapevole dell'ascendente che aveva su di lui, specie dopo gli ultimi avvenimenti ad Akita e i relativi risvolti. Sapeva di giocare sporco, sapeva che se anche solo uno dei propri calcoli fosse stato errato, Gareth lo avrebbe avuto sulla coscienza per tutta la vita. E quel pensiero era un milione di volte peggiore rispetto all'idea stessa di andare incontro alla morte.

Ma lui non sbagliava mai, giusto?

Prima che l'amico potesse avanzare l'ennesima protesta a senso unico, voltò lo sguardo verso destra, mentre la mano libera si issava nuovamente sulla faretra.

- UV! - con tutta l'aria che riservava nei polmoni, chiamò a gran voce la compagna. - È arrivato il momento di motivarti un po'! -

Dalla cima del corridoio che collegava le due torri, Yulis era in piedi, affaticata e imbambolata in una situazione di stallo. I suoi occhi saettavano nervosi dallo Yōkai al compagno sospeso nel vuoto, spostandosi da uno all'altro con la stessa rapidità di chi osserva una concitata partita di tennis. D'un tratto, il mostro attirò la sua attenzione: con uno scatto, spalancò le proprie ali bucherellate verso l'esterno e, ancora fremente di rabbia e stenti, emise l'urlo più acuto di tutto lo scontro.

Le innumerevoli e imponenti vetrate del palazzo iniziarono a tremare pericolosamente, tintinnando come un mucchio di preziose porcellane tra un paio di mani deboli e incerte.

Yulis si coprì le orecchie per cercare di diminuire la forza di quell'urlo disperato e mosse qualche breve passo verso la creatura.

Ma dovette bloccarsi sul posto.

Prima ancora che potesse coprire una distanza considerevole nella sua direzione, un movimento alla propria destra le fece volgere lo sguardo al vuoto.

Accadde tutto nel giro di un millisecondo.
Gli occhi misero a fuoco la scena e il suo cuore si arrestò.
Poi un rumore, fisso e fastidioso.
Un ronzio piatto nelle orecchie.

Leo stava precipitando a terra.
E, nell'attimo successivo, anche Yulis era sospesa nel vuoto.


Era tutto così rapido.
Ed era tutto anche così maledettamente lento.
Mentre i colori dello sfondo si mescolavano tra loro, dando vita ad una stomachevole poltiglia informe, qualunque legge relativa a tempo e gravità aveva ormai perso di senso, annullandosi o plasmandosi in una forma del tutto differente.

Yulis non percepiva più nulla, ad eccezione di una primordiale paura di perdere.
Paura di perdere Leo, di perdere il proprio senno, di perdere la propria vita.
Nessun dolore fisico, nessun indolenzimento: l'adrenalina che le scorreva nelle vene aveva zittito qualunque recettore, ma aveva lasciato il panico e il terrore di fallire liberi di rincorrersi e spintonarsi, proprio come due bambini capricciosi. Non riusciva a respirare, a pensare o a formulare qualunque pensiero che non fosse un semplice quanto disperato "salvalo". Con gli occhi sbarrati e il cuore congelato, continuava a cadere, nel niente e nella disperazione, bruciando metri come se fossero foglietti di carta alla mercé di un misero accendino.

Qualcosa di caldo e viscoso le si impiastricciò sulla schiena, pizzicandole la pelle. Nello stesso istante, una saetta scagliata a pochi metri sotto di lei percorse il tragitto in direzione opposta alla sua. Ma in quel momento, niente sarebbe riuscito a distrarla o a farle deviare l'attenzione dal suo unico obiettivo, nemmeno per un attimo.

In una parvenza di lucidità, si accorse di essere stranamente sempre più veloce.
Più veloce e quindi più vicina a Leo.
Un moto di rinnovata speranza le sconquassò quell'organo ingabbiato nel petto e allungò un angolo della bocca in un accenno di sorriso.

Poteva farcela?
No, doveva farcela.
In quell'equazione, non erano contemplati esiti differenti da un successo.

Via via che cadevano, i metri che li separavano dal suolo venivano ingoiati con cupidigia crescente, ma ormai Yulis era un concentrato di disperazione e follia in stato troppo avanzato da poter comprendere con razionalità quel livello spropositato di pericolo. Finalmente riusciva a distinguere i connotati del suo viso e i dettagli del suo costume, finalmente si accorgeva di star riprendendo il controllo della situazione. Vide le labbra di Leo, gentili seppur indubbiamente agitate, tendersi verso l'esterno, e nel momento esatto in cui riuscì ad afferrargli la mano queste si schiusero in un sorriso più deciso, in grado di illuminare gli occhi ancora impegnati in una lotta accesa contro le sferzate d'aria.

Yulis si protese verso di lui in un ultimo slancio, ignorando per l'ennesima volta quel liquido vermiglio che le scendeva copioso sulla schiena. L'altra mano riuscì ad afferrargli la spalla, fino ad arrampicarsi sul tessuto e a passare oltre la nuca. Con un sospiro di sollievo e il cuore che aveva ripreso a pompare ossigeno nelle arterie, lo attirò con foga al proprio corpo, come se solo tenerlo così vicino le avrebbe permesso di tornare a respirare.

In un nuovo guizzo di follia, pregò Lilith.
La pregò affinché tutto andasse per il verso giusto, implorandola di toglierli da quella situazione e salvarli, promettendole qualunque cosa in cambio dell'incolumità.
E in un attimo, per loro fu notte.

Ebbra di quella boccata di fede, Yulis si concesse di rilassare le spalle.

Rassicurante.

Ecco com'era stringere Leo tra le braccia, inglobata nella sofficità delle proprie ali e immersa in quella coltre ovattata di piume color antracite che si era avviluppata attorno a loro.

Come prevedibile, l'impatto con il terreno non tardò ad arrivare. Fu brusco, non in misura esagerata, ma più simile all'atterraggio di un aereo. I due finirono sballottati ai piedi del pendio di fortuna, caracollando in basso a una velocità ragionevolmente controllata seppur sostenuta. E proprio agli ultimi metri di corsa, le ali si ritirarono nella schiena di Yulis senza che la ragazza potesse fare niente per impedirlo, finendo così per sciogliere il collante che li univa. Nel giro di qualche balzo, si ritrovarono entrambi lunghi distesi sul prato.

Il ronzio che aveva assillato le orecchie della ragazza cessò, cedendo il posto a qualche istante di opprimente silenzio, rotto solo dai rintocchi del proprio cuore che risuonavano nella gabbia toracica come quelli di un antico orologio a pendolo.

Yulis sbatté le palpebre una, due, tre volte.
Umettò le labbra secche e le dischiuse nel tentativo di pronunciare il suo nome, ma la paura aveva avuto la meglio e ora teneva in ostaggio le corde vocali. Voleva parlargli, voleva accertarsi che fosse vivo, ma non aveva il coraggio né di dire nulla, né di provare a voltare la testa nella sua direzione. Tutta l'energia e la spavalderia erano svanite, dissipate al vento ora che finalmente avevano toccato terra.

Quell'impasse fu spezzata di punto in bianco dalla risata di Leo; una risata scrosciante, che senza troppe pretese aveva squarciato l'aria come un colpo di cannone.

- Leo...? - quel suono le parve più un rantolo che l'ombra della propria voce. Si schiarì la gola e si sforzò di voltare la testa alla propria sinistra. Ignorò i capogiri e cercò di mettere a fuoco la figura al suo fianco, quindi ci riprovò. - Leo? -

Ma il biondo continuava a ridere, in un moto continuo e inarrestabile. Aveva addirittura nascosto il viso tra le mani nel tentativo di smorzare quell'euforia isterica, affondando naso e bocca contro i palmi pur di soffocare parte di quell'ilarità. Yulis si portò a sedere, con cautela, fissandolo quindi dall'alto in basso.

- Leo, stai... -

Il ragazzo la interruppe, balzando di colpo anche lui a sedere. - Cazzo... - esordì, tra uno sbecco di risata e l'altro, ancora incredulo. Puntò poi gli occhi febbricitanti verso Yulis e alzò un sopracciglio, estasiato. - Te l'avevo detto che avrei trovato un modo per motivarti, no? -

Lei rimase di sasso, osservando quello che più che il proprio compagno sembrava essere un alieno dai capelli folti e biondi. Poi, al rimuginare di quelle parole, un'intuizione si fece largo tra i pensieri.
L'ultimo allenamento con James, l'esercizio fallimentare a cui Leo stesso aveva assistito in diretta, la propria incapacità nello spalancare le ali in caduta libera... tutto tornava. Come piccole tessere di un puzzle un po' accrocchiato, i ricordi si misero in fila per formare il bel quadretto avventato che Leo aveva deciso di proporle, come nuovo passatempo.

- Vorresti dirmi che ti sei buttato nel vuoto... - Yulis fece una pausa, solo per deglutire e articolare le parole in modo da evitare che sembrassero una dichiarazione di morte troppo palese. - Di proposito? -

L'escalation di acuti che colorò la domanda costrinse Leo a moderare la propria euforia, ma non fu abbastanza minacciosa da levargli il sorriso dalle labbra e quel cipiglio saccente ben alzato sull'occhio destro.

- Leo. - Yulis arpionò le dita ai ciuffi di prato per evitare che potessero inavvertitamente stringersi attorno al collo del proprio compagno. - Tu... sei una grandissima testa di cazzo! Ti sei gettato nel vuoto, nel maledetto vuoto, nella speranza che io mi accorgessi di un tuo improvviso tuffo nel niente e che riuscissi ad afferrarti in tempo prima di farti sfracellare sull'asfalto!? -

Leo si ammutolì e tentò con tutte le forze di non sbottare in un nuovo attacco di ridarella acuta, proprio davanti agli occhi di una Yulis che sembrava invece essere in balia di un esaurimento nervoso.

- Sei proprio un coglione, Leo! Un coglione di proporzioni colossali, no, no... galattiche! Di proporzioni galattiche! - fece scattare le braccia e chiuse entrambe le mani a pugno, combattendo con una grandissima voglia di scaricarsi su di lui e su quel sorrisetto da schiaffi. - Ma perché cazzo l'hai fatto?! Mi dici che cosa accidenti hai in quella testa? Una spolverata di coriandoli, per caso?! E se non mi fossi accorta di niente, se non avessi fatto in tempo...?! Hai una vaga idea di cosa ne sarebbe stato di me, di Gareth, d-di... -

Ma prima ancora che potesse finire di inveire con il suo sproloquio, Leo le afferrò il viso con entrambe le mani, sigillando quella valanga di parole con un bacio leggero al sapore di gratitudine.

- Brava... - mormorò in un sussurro contro le sue labbra. - Bravissima, Yulis. -

E i neuroni di lei, per qualche attimo di troppo, smisero di far lavorare le sinapsi, mandando completamente a puttane il canale tra pensiero e parola.

Leo strofinò la punta del naso contro la sua e tornò ad accarezzarle le labbra con le proprie, rendendo fallimentare qualunque tentativo di lei di rimettere insieme gli insulti e gli epiteti poco cortesi che avrebbe voluto dedicargli. Giocherellò con quello superiore, percorrendo con la punta della lingua l'arco di cupido, per poi accoglierlo delicatamente tra i denti.

- Devo ricordarmi che ora basta molto poco per zittirti... - e ridacchiò, ma senza caricare di scherno la provocazione. Il suo tono era genuinamente sollevato e, in quel momento, qualunque cosa sarebbe passata in secondo piano. Virò poi a stuzzicare il labbro inferiore e fece scivolare la lingua nella sua bocca, assaporandola con una dolcezza e una calma decisamente poco consone alla situazione in cui si trovavano.

Come facesse Leonard Hartman ad essere così maledettamente premuroso e accorto, Yulis faticava proprio a comprenderlo. Non che fosse un cruccio opprimente al punto di impedirle il sonno, ma l'apparente antitesi di quelle due personalità la mandava in confusione.

- Non ricordo di aver preso visione della domanda per un tuo nuovo costume... - Leo fece scivolare una mano sul suo fianco, giochicchiando con il bordo iridescente del body. - Né tantomeno di averne approvato il design. -

- Oh, beh... - Yulis ci mise un po' a riprendere la parola: quel sorrisetto sghembo, con il labbro superiore arricciato in una smorfia compiaciuta, era da togliere il fiato, e probabilmente anche qualcos'altro. - Ho pensato di... alleggerirti il lavoro. -

- "Alleggerire", certo... molto premuroso da parte tua. - portò la punta del pollice a sfregare l'osso del bacino, insinuandosi sotto al tessuto del costume. Spostò la propria attenzione sugli occhi di lei, incatenandoli. - Mi allontano un paio di giorni e ti lasci trasportare dall'anarchia. - ma ancora prima che potesse rispondergli, si allontanò di qualche centimetro dal suo viso. Ad ogni modo, decise di non rinunciare al contatto tra palmo e guancia.

Yulis aveva ancora lo stomaco sottosopra per via di quelle attenzioni inaspettate. Lo fissò per un paio di secondi, forse nell'attesa o nella speranza di un nuovo bacio, ma l'occhiata apprensiva che le rivolse la costrinse ad ammansire quel desiderio. Si ritrovò di punto in bianco a paragonare quello sguardo preoccupato a quello che aveva Gareth nel momento in cui se l'era ritrovato davanti, sulla terrazza.

< Gareth... >

Un tuffo al cuore la fece irrigidire, ma sperò con tutta se stessa di non averlo dato troppo a vedere. Si mordicchiò l'interno della guancia e passò i polpastrelli sul dorso della mano di Leo, sfiorandolo con un movimento leggero e cadenzato. Nemmeno lei sapeva chi dei due stesse tentando di tranquillizzare.

- Come ti senti? Riesci a metterti in piedi? -

Yulis aggrottò la fronte e sbatté le palpebre un paio di volte. Era un po' acciaccata e sballottata, ma nel complesso stava... bene.

- Credo... - con cautela e un occhio all'equilibrio, puntò i piedi sul prato e si alzò. - Di sì. Un po' barcollante, ma dovrei essere tutta intera. -

Leo piegò la testa di lato e avvicinò le sopracciglia tra loro. Senza insistere oltre, balzò in piedi e si sgranchì gli arti superiori, concentrandosi sul far smuovere l'articolazione del polso sinistro. - Devo ammettere che quelle ali sono davvero un portento... -

Yulis spalancò le palpebre e sfarfallò le ciglia, sorpresa ma infinitamente grata per le sue parole: era davvero raro che quel ragazzo si sprecasse in complimenti. Gli sorrise con slancio e incrociò le braccia dietro la schiena, senza preoccuparsi di nascondere un lieve rossore sulle guance. Questa volta, fu il turno di Leo di sfuggire il suo sguardo, in modo da evitare di fiondarsi senza ritegno su quelle labbra morbide e invitanti.

L'eroe alzò il mento, percorrendo con gli occhi tutta la torre fino alla cima. Iniziò a tamburellare nervosamente le dita contro la coscia, immaginando una melodia frenetica e tenendo il tempo in quarti. Perché ci stava mettendo così tanto? Senza un peso morto da trattenere, il proprio peso morto, Gareth non avrebbe dovuto faticare molto a sbarazzarsi di quel coso. E dopo gli Yōkai affrontati nei sobborghi malfamati di Akita, tenere testa a un solo esemplare sarebbe stato uno scherzo per lui.

Yulis si unì a Leo, pupille fisse sull'edificio, in quell'attesa silenziosa e pregna di apprensione. Quando gli posò una mano sulla base della schiena, l'eroe trasalì: troppo concentrato a monitorare il tetto del Gemini Center per non essere colto alla sprovvista. Solo parecchi istanti dopo, quando una figura dai lineamenti familiari si affacciò dal tetto, apparentemente incolume, riuscirono finalmente a rilassarsi entrambi.

- Was für ein Idiot...(*) - Leo scosse la testa nel momento in cui si accorse dello Shaka, il gesto da surfista che Gareth stava sventolando nella loro direzione, ma non poté fare a meno di sciogliersi in un sorriso. - È davvero un idiota. -

- Beh, tra tutti e due formate davvero una bella coppia. -

L'espressione che si dipinse sul volto del ragazzo fu difficile da decifrare, e per un istante Yulis vagliò la possibilità di aver detto qualcosa di sbagliato. Ma poi, il mento di Leo puntò verso l'alto e uno dei suoi sopraccigli si sollevò nella sua caratteristica posa di sufficienza.

- Gelosa, Parker? - le labbra erano piegate in un sorrisetto sfacciato. - Paura di rimanere tagliata fuori? -

Yulis rimase interdetta per un secondo, poi gli assestò un colpetto al petto con il dorso della mano, seguendo con gli occhi quel gesto nel tentativo di frenare la vampata di calore che si stava irradiando sulle guance. Con stomaco e cuore in subbuglio non appena si trovava vicina a uno dei due ragazzi, lei era proprio l'ultima a poter millantare della stupida gelosia. Di positivo, c'era da tenere in conto che le cose tra Leo e Gareth sembravano essere a posto. O, almeno, quella era l'impressione che aveva avuto.

- A giudicare dalla reazione di Gareth, direi proprio che è finita. - commentò Leo appoggiando entrambe le mani sulla nuca.

- Un secondo. - lei si immobilizzò, realizzando solo in quel momento di aver lasciato perdere lo Yōkai più piccolo per gettarsi nel salvataggio disperato di Leo. - E quello sul tunnel che fine ha...? -

- Non te ne sei accorta? - sollevò un sopracciglio, con un'estasi difficile da mascherare. - Ci ho pensato io. "Zero missed targets", anche in caduta libera. Mi dispiace però di aver fatto cadere arco e frecce. Chissà se sono da qualche parte, recuperabili... -

Yulis sgranò gli occhi e abbandonò la mascella.
Quella... quella cosa che l'aveva sfiorata mentre stava cercando di afferrarlo era davvero una delle sue frecce? Era riuscito a scoccarne una proprio mentre cadeva nel vuoto?

- Andiamo, gli altri si chiederanno dove siamo finiti. - Leo diede un'occhiata alla scarpata di fortuna e tentò di individuare un punto da cui scendere. Tornò a concentrarsi su Yulis, che a quanto pare era rimasta imbambolata a fissarlo. - Che hai? -

- Niente. - lei scosse la testa, tentando di riprendersi e di nascondere un sorriso di ammirazione mista a stupore. - Andiamo. -

< È proprio maledettamente figo. >



***



- Yulis Parker! -

Il tono perentorio e quasi adirato con cui la richiamò all'ordine la fece rabbrividire, arrivando addirittura a sovrastare le voci dei paramedici e dei vigili del fuoco. - Sì, papà? -

Shogo le si piantò davanti agli occhi con tanto di mani sui fianchi e sguardo lapidario. - In diretta nazionale su almeno tre emittenti diverse, un'altra volta! Come pensi che mi senta ad aver scoperto tramite il telegiornale di Noora che te ne stavi qui fuori a prendere a sberle il crimine, invece che nel tuo letto alla clinica a riposare?! - inspirò a pieni polmoni e chiuse gli occhi, passandosi una mano sulla fronte per scostare qualche ciuffo di capelli sfuggito al piccolo chignon con cui aveva tentato di domarli. - E non usare la carta del "papà" solo perché sono furioso! Non hai più dieci anni! -

Yulis tossicchiò nel tentativo di mascherare una risata.

< Esagerato, come al solito. >

- Sto bene, davvero. - l'eroina gli sorrise e si limitò ad un'alzata di spalle. - E prima che tu me lo chieda, mi farò visitare una volta tornata alla clinica. -

Shogo borbottò qualcosa tra i denti, uno "scappata dalla finestra", forse, lamentandosi di quella noncuranza. Fece dietrofront, senza preoccuparsi di sbollire rabbia e apprensione, e continuò a bofonchiare le sue comprensibili paranoie.

Fortunatamente, gli Yōkai affrontati sulla terrazza sembravano essere davvero gli unici presenti nella struttura, e la sicurezza del Gemini Center era stata ristabilita grazie anche all'intervento dei vigili del fuoco. C'era ancora un grande via vai nei pressi delle torri, tra il personale medico-sanitario a soccorrere i feriti lievi, le forze dell'ordine a tenere a bada i curiosi e qualche giornalista che sgattaiolava per ottenere un buon primo piano dei Riser. Yulis si avvicinò ai propri compagni di squadra, piazzandosi al fianco di Dominic.

- Yuls! - Gareth le si fiondò addosso, afferrandole la testa tra le mani per inclinarla verso più angolazioni ed osservarla sotto luci migliori. - Sei tutta intera? -

- Gar... - provò a scollarsi quelle dita dal volto, sentendo le guance bruciare contro i suoi palmi. - Sto bene. - cantilenò flebile.

Lui sbirciò oltre le spalle e diede un'occhiata poco convinta alla pelle della ragazza, esibendosi in una smorfia di disappunto. - "Bene" ma non benissimo, Yuls. La tua schiena ha un aspetto un po' troppo macabro per i miei gusti. - ma al sonoro sbuffo ricevuto come risposta non poté fare altro che ridacchiare.

Leo incrociò le braccia al petto e alzò un sopracciglio. - Detto da chi è praticamente ricoperto di sangue perde un po' di credibilità, non credi? -

- Sangue non mio. - puntualizzò il rosso, gongolante. - Però ora sta zitto e vieni qui anche tu! - e senza che l'arciere potesse replicare, Gareth gli passò un gomito dietro la nuca, costringendolo ad avvicinare la fronte al proprio petto. Con l'altro braccio fece la stessa cosa con Yulis, chiudendoli in una stretta quasi soffocante. - Le mie due testoline bionde preferite e sconsiderate... - strofinò la punta del naso tra i capelli di entrambi. - Mi avete fatto morire di paura. -

- Mollami, idiota! - Leo gli assestò un colpo leggero all'altezza della bocca dello stomaco, esortandolo a liberarlo dalla presa di quello strano abbraccio. Ma Gareth non sembrava essere dello stesso avviso, così ignorò anche i farfugliamenti confusi della ragazza.

- L'ho fatto prima e non hai idea di quanto mi sia costato, amico. -

- Vuoi mettere le sedute dallo psicologo sul conto della squadra? E smettila con questa puttanata dell'"amico", coglione. - ma quando Gareth iniziò a ridere di gusto, il biondo non fece altro che scaldarsi ulteriormente. - Aah! Fottiti, Hamilton! -

Senza perdere quell'aria divertita, il rosso accostò le labbra al suo orecchio, abbassando la voce in modo che potesse essere l'unico a sentirlo. - Mi pareva avessimo già trovato un accordo in merito a quest'ultimo punto. -

Leo gli rifilò una gomitata e Gareth gli permise finalmente di liberarsi dell'abbraccio. Yulis, imbarazzata e confusa, si limitò a regalare ad entrambi delle occhiate guardinghe.

- Il pendio ha fatto il suo dovere? - domandò Marcus alla compagna, con un filo di voce; il viso di Yulis si aprì in un ampio sorriso.

- "Il suo dovere"? Se siamo vivi è solo grazie a te, Mark. Le ali erano al limite, non sarei mai riuscita a portare a terra entrambi. -

Lui accennò un piccolo sorriso, poi puntò lo sguardo verso Dominic. - Il prato serviva ad attutire lo schianto. Non ci avevo pensato, all'inizio. -

Il ragazzo moro abbassò gli occhi e si passò una mano tra i ricci per scostarli dalla fronte, un po' in imbarazzo. - Q-quello non c'era nella visione di Momentum... il mio è stato un azzardo. -

- Il tuo azzardo si è dimostrato la scelta migliore, Dominic. - Leo piegò le labbra in un sorriso a labbra serrate. - Ottimo lavoro. - si voltò poi verso Marcus e gli appoggiò una mano sulla spalla. - E davvero un ottimo lavoro anche a te, Steiner. Quanto cazzo è alta quella montagna di roccia? Scommetto quello che ti pare che hai battuto qualsiasi record di quello stronzo di tuo padre. -

Il castano allargò il sorriso e per un attimo un alone di orgoglio miscelato a qualche punta di soggezione gli pizzicò le guance. Solo Yulis si accorse dello sguardo sognante di Dominic nel riscontrare in lui quella reazione.

- A proposito di Magnus Steiner... - Leo diede un'occhiata al manto dell'asfalto interamente scosceso e al Gemini Center ancora intrappolato in una solida base di roccia e detriti, poi tornò a concentrarsi su Marcus. - Di' pure al tuo paparino di preparare il blocchetto degli assegni: io questo non lo pago. -

Tre Riser su cinque si unirono in una risata.

- Siamo stati davvero grandi, questa volta. - ammise Gareth con un sorriso soddisfatto ad illuminargli il viso. - E con scarso tempo per reagire. -

- Non siamo stati grandi, Gar. - Leo intrappolò il labbro inferiore tra i denti per un istante e alzò il mento verso l'alto. - Siamo stati dei maledetti giganti. -

Tutti i membri della squadra si unirono in sorrisi compiaciuti, pacche sulla spalla e complimenti genuini. Questo, fino a che un gridolino acuto non interruppe i festeggiamenti.

- Amoooreee! -

Una vaporosa ondata di capelli rossi investì il gruppo senza alcuna forma di riguardo, andando ad infrangersi direttamente su Gareth.

- C... Candace? - il ragazzo stralunò gli occhi, facendo appena in tempo ad allargare le braccia per riceverla al volo. - Come hai fa... -

Ma la domanda fu stroncata sul nascere. Candace aveva affondato prima le dita tra i suoi capelli, poi la lingua nella sua bocca, impedendogli addirittura di respirare. Il bacino che spingeva indecentemente contro quello dell'eroe, mentre una serie di risolini effimeri riempivano l'aria ogni volta che prendeva fiato.

Quattro paia di occhi, inorriditi e imbarazzati, fissarono la scena.

Yulis si pietrificò sul posto e strinse inconsciamente le mani a pugno; lo stomaco che si annodava su se stesso e la bile che risaliva la gola per uscire, in un improvviso conato di vomito. Fece appena in tempo a sentire Leo mormorare qualcosa a denti stretti e a vederlo allontanarsi da lì a grandi falcate.

- Ero così preoccupata per te! Stavo prendendo qualcosa da bere con un'amica, qui vicino, e all'improvviso hanno trasmesso in TV un'edizione speciale del TG! - Candace sviolinò la migliore delle sue occhiate da civetta, condite da una considerevole dose di mascara. - Ti hanno inquadrato proprio quando quel... mostro ha cercato di infilzarti! Sono saltata dalla sedia e mi sono precipitata qui! - con le mani scivolò sulle spalle e sui bicipiti del ragazzo, avanti e indietro, per poi fermarsi a ponderare sul suo petto. Le unghie verdi e curate risaltavano sul costume scuro e macchiato di sangue, creando un contrasto fin troppo vivido. - Stai bene, amore mio? -

< "Amore mio"? >

Yulis si accorse di non essere riuscita a tenere a freno non solo i pensieri, ma anche la lingua, nel momento in cui la donna si voltò verso di lei per incenerirla con lo sguardo. Candace era di una bellezza mozzafiato: due smeraldi al posto degli occhi, capelli mossi e voluminosi, labbra carnose, seno prosperoso e un lato B da urlo. Esattamente il tipo di Gareth, senza ombra di dubbio, anche se più grande di una decina d'anni. La panterona, così una volta l'aveva definita Leo, perché gatta morta era un'espressione troppo debole per una così. Si frequentavano da quanto, un mese? Cinque settimane? Ma già non si faceva problemi ad utilizzare quel genere di appellativi nei confronti dell'eroe.

- Che ne dici se ora ce ne torniamo a casa, noi due? - sottolineò con enfasi quel "noi due", facendo intendere a tutti i presenti che quella che stava richiedendo, in maniera decisamente poco velata, era un po' di privacy.

Quando Yulis incrociò lo sguardo di Gareth si limitò a voltare la testa nella direzione opposta.

< Che stronzo. >

Ripensò a quello che era successo tra loro alla clinica, prima e durante la manifestazione di Lilith, e non poté fare altro che cadere vittima di un'acre fitta di delusione.

In cosa stava sperando, esattamente?
Che smettesse di essere quello che era sempre stato? Per lei?
Si diede della stupida per averci creduto anche solo per un istante.
E si diede dell'ipocrita per aver formulato quel genere di pensieri, nemmeno mezz'ora dopo aver baciato Leo.

- Gareth! -

La voce squillante di Dominic fece breccia tra i suoi pensieri. Il moro aveva delle guance arrossate che facevano a cazzotti con l'espressione preoccupata che gli scuriva il volto. Teneva il braccio destro dietro la vita di Marcus, mentre l'altra mano era aggrappata al suo polso sinistro, in modo da farla passare oltre la propria nuca e finire a penzoloni sulla spalla.

- Afferra Yulis! -

L'eroe non se lo fece ripetere due volte. Scansò malamente Candace, quasi urtandola nel movimento, e con facilità prese in braccio la ragazza.

- H-hey...! - Yulis avrebbe voluto imprimere molta più forza in quel tentativo di disarcionamento, ma il corpo sembrava non voler più rispondere ai suoi ordini. - Mettimi... giù... - anche parlare sembrava diventato improvvisamente faticoso. Voltò la testa verso l'esterno e una vertigine le fece dubitare del significato di sopra e sotto. D'istinto, piantò le unghie contro il petto di Gareth, come un gatto impaurito che viene preso in braccio contro la propria volontà.

- Sei molto pallida, Yuls... -

Ma la sua voce le arrivò lontana e ovattata, quando il campo visivo aveva già iniziato a restringersi.

- Ha perso troppo sangue, la sua schiena è un disastro. -

Quello era Leo? Quando si era avvicinato?

- Marcus, riesci a camminare fino alla brandina?! -

< Marcus? Brandina...? >

Provò a voltare lo sguardo nella direzione delle voci, ma l'ultima cosa che intravide prima di perdere i sensi furono gli occhi serpeggianti di Candace crocifiggerle anche l'anima.




(*) Dal tedesco, "Che idiota".




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Ben ritrovati, fiorellini! ~

Capitolo un pochino da cardiopalma, lo ammetto.
Abbiamo capito meglio qual è e come funziona l'abilità di Leo (aka Zero), così come abbiamo osservato anche quella di Marcus (aka Quake).

Leo, per quanto possa essere un maledetto megalomane, è un buon leader e tiene molto a tutti i membri della propria squadra.


Cosa ne pensate di Candace e di questo suo comportamento molto... intenso?
E della reazione di Yulis? Pensate sia motivata o la vedete solo come un capriccio?
Ho paura a chiedervi cosa pensate di Gareth xD

Avete già in mente qualche speculazione su come si evolveranno le cose?
E che è successo a Yulis e Marcus?

Attendo tuuutti i vostri preziosi commenti! ~


Fun Facts del capitolo:

1) Il titolo è tratto da "Giants", canzone dei True Damage.

2) È stato meno difficile da scrivere di quello che mi aspettavo: ciò vuol dire che sono solo lazy af e dovrei smettere di lamentarmi di "non avere tempo per scrivere".

3) Alla fine, dopo il sondaggino su Instagram, ho lasciato una reazione un po' più "silly" del narratore che segue il POV di Yu, dopo il bacio con Leo. E sì, adoro il risultato.

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