CAPITOLO UNO
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CAPITOLO UNO
Le macerie erano il luogo più silenzioso dell'intera zona.
Non c'erano grilli che cantavano la notte, né rane che gracidavano. Perfino i gufi erano silenziosi. La vita sembrava essersi spenta. Era così silenzioso che si poteva sentire il proprio cuore battere.
Forse perché per diversi chilometri c'era il nulla più assoluto.
Solo piccole zone erbose, qualche albero, terra bruna.
La notte dava l'impressione che il mondo intero fosse andato a dormire. Silenziosa e fredda, spesso una folta coltre di nebbia ne copriva i confini, dando l'impressione che il mondo finisse là. In quel piccolo deserto dove un tempo c'era una città. Dove un tempo la gente viveva, adesso c'era ben poco. Il freddo sembrava quasi tagliare la carne, nelle notti d'inverno.
E pioveva: pioveva spessissimo, anche se quella notte era miracolosamente serena. Ma si sà: anche a Londra alle volte accadono piccoli miracoli. Come una serata serena.
Londra, o meglio, la sua periferia, era diventato una sorta di microcosmo abitato da creature che un tempo erano umane, ma che ora di umano avevano ben poco.
Creature silenziose, così silenziose che perfino il loro cuore non batteva.
Eppure, era di notte che era più attiva. La notte vivevano, le macerie. Festeggiavano.
Per questo i suoni erano così netti, all'interno di quella bolla di silenzio.
Al centro c'era sempre stato un fuoco. Nessuno ricordava la prima volta che era stato acceso. Dovevano essere passati almeno un centinaio d'anni, da quel giorno in cui qualcuno aveva posato la prima pietra del cerchio. Faceva sempre freddo, in quell'angolo del mondo, e quel fuoco era molto utile.
Intorno al fuoco non c'era nulla. Solo sassi e terra, per questo era il luogo più sicuro in cui accenderlo.
C'era però una sedia posta su un piccolo rialzo naturale di circa un metro. Quasi un trono.
Intorno al fuoco la gente festeggiava in attesa dell'alba.
Era una festa rumorosa, una festa alcolica, allegra.
Qualcuno beveva, altri parlavano. Molti ballavano, sotto lo sguardo vigile di Elias, che dal suo trono, si divertiva a osservarli. Una cinquantina di persone presenti.
Tutti ai suoi ordini.
Tutti vestiti come se fosse carnevale. C'era una colombina, un Pulcinella, parecchi personaggi delle favole... Più trenta che controllavano la zona, ai limiti del territorio. A volte rideva, mostrando una fila di denti bianchi e regolari. Altre volte parlava con chi, dal basso, gli poneva domande. Ed Elias era come un gatto: amava guardare le persone dall'alto in basso.
Lo aveva sempre fatto, da vivo, e anche se erano passati mille e trecento anni dalla sua nascita, si divertiva a farlo ancora. Mille e trecentoquaranta, contando anche l'età in cui era stato trasformato, ma non ricordava con precisione quanti anni avesse all'epoca.
E in quella posizione, soprattutto, era impossibile non vederlo, visto che aveva una fisicità che spiccava facilmente. Troppo alto e troppo magro, sul metro e novanta, sembrava quasi ondeggiare quando camminava.
Sembrava ondeggiare anche da seduto, a dire il vero, visto che quasi si distendeva sulla sedia, per stare più comodo, mettendo le mani sul ventre, intrecciate tra loro. Aveva dita lunghe, sottili, che amavano toccare.
Non era particolarmente bello, e forse per questo spiccava: il viso appuntito sembrava poter fare male solo a toccarlo, ma gli occhi grandi e di un marrone così chiaro da sembrare giallo, si riflettevano nel fuoco. Era vestito completamente di nero, tra camicia e pantaloni, in una sorta di riproduzione dell'abito di un Pierrot, e a tratti, per via degli effetti di luce, sembravano sbucare soltanto gli occhi, sotto uno dei quali era dipinta una lacrima. Era come se quegli occhi se avessero vita propria. Passò una mano tra i capelli neri, liscissimi e lunghi fino alle spalle, e poi guardò il fuoco. Intorno ad esso, qualcuno cominciava a fermarsi, forse stanco o annoiato. Fece appena un cenno con due dita.
«Ballate!» urlò una voce in rapida risposta a quel cenno, una voce che sovrastava il rombo dei tamburi «Ballate e bevete. Non ci sarà un corpo e un sangue dati in sacrificio per voi. Solo vino, birra, assenzio, sacrificati alle vostre gole! Ballate e ridete» era una voce che veniva dal centro del cerchio, il posto più vicino al fuoco, quello cui in pochi osavano avvicinarsi, umani e non. La voce proveniva da un uomo vestito da Arlecchino, con colori sgargianti e una maschera sul viso, armato di un lungo bastone flessibile con il quale pungolava chi non ballava abbastanza. Intorno a lui, tra umani e non umani, c'era il caos «Ballate anche se siete stanchi. Dormirete domattina. È solo mezzanotte, e in questo momento qualcuno sta andando a dormire. Nell'altra parte del mondo però, è mezzogiorno, e qualcuno sta mangiando. Quindi ballate» ma non sembrava venire molto ascoltato. Un gruppo di cinque persone si era fermato, a tratti venivano rimessi da altri nella mischia, ma sembravano non aver più forza. Erano gli unici cinque dalle cui bocche uscivano nuvolette di condensa, quando respiravano, ma ripresero a ballare in fretta quando l'Arlecchino prese a punzecchiarli col bastone, spingendoli.
«Elias» sussurrò Manuel, avvicinandosi al trono. Elias abbassò lo sguardo su di lui, e gli fece cenno di salire sul piccolo rialzo.
«Sei troppo alto adesso» disse senza guardarlo. «Siediti qui. Vicino a me. O inginocchiati» il ragazzo ubbidì prontamente, sedendosi a terra, vicino a lui. Adesso era più in basso, ed Elias poté tuffare una mano nei folti capelli neri di Manuel, che chiuse gli occhi, reprimendo un brivido «Riaprili. Sai che mi piace vederli» e gli occhi blu di Manuel si riaprirono. Erano occhi davvero particolari, grandi per essere quelli di un uomo, e particolarmente espressivi. In quel momento tremavano appena. Voltò il viso giovanile verso di lui. Sembrava un ragazzino eterno, con quel viso senza traccia di barba, spesso corrucciato.
«Tu ami vedere quando ho paura» fu la secca risposta «Ma non è per questo che sono qui. Sono stanchi. Tutti e cinque stanno dormendo in piedi ormai. Ballano per inerzia, vengono trascinati. E alcuni sono ubriachi. Non puoi esagerare.»
«Da quanto ballano?» domandò Elias, il viso senza età totalmente inespressivo.
«Dalle sette.»
«Possono resistere.»
«Per undici ore? Molti di loro sverranno entro la prossima» ed Elias lo guardò di nuovo. Manuel chiuse prontamente gli occhi: non amava guardarlo in viso, quando era in qualche modo arrabbiato. O deluso. Sentì la presa sulla testa aumentare, la carezza farsi più pesante.
«Quanto hai vissuto, prima di venire qui, Manuel?»
«Ventidue anni.»
«Fino a cinque anni fa quindi ballavi con gli amici. Uscivi. E scommetto che resistevi molte ore di fila.»
«Ma non avevo paura. Non percorrevo trenta chilometri a piedi, prima di ballare.»
«Ne avranno percorsi dieci scarsi a piedi, erano sui cavalli, anche se non bastavano per tutti. Hanno fatto a turno.»
«Sono comunque stanchi.»
«Ho visto diaciannovenni ballare per molte ore di seguito.»
«Nessuno di loro però ha diciannove anni. E soprattutto, non sono qui di loro spontanea volontà. Ecco il primo» e indicò un ragazzo sui venticinque anni cadere a terra stremato, mentre un altro si chinava su di lui, l'aria preoccupata. «Due sono già fuori uso. Vedremo subito gli altri tre» e sorrise, incrociando le lunghe braccia sul ventre, braccia con dita particolarmente delicate, mani abbastanza grandi e affusolate per suonare il piano.
«Perché non suoni qualcosa, invece di fare scommesse?»
«Perché il piano è dentro. E non amo la chitarra. E poi...» indicò il piccolo gruppo di tamburi «Bastano quelli. E tre» sorrise, mentre una ragazza cadeva a terra, accasciandosi su sé stessa. «Davvero credevi che potessero ballare fino all'alba?»
«Ci speravo. Sarebbe stato uno spettacolo divertente» fece un cenno all'uomo al centro, che fece subito portare via i tre ragazzi svenuti «Ne restano due» indicò le due ragazze che si muovevano vicino al fuoco, incitate da grida e ovazioni. «E non sembrano decise a mollare. Scommetto che resisteranno almeno una mezz'ora.»
«Ne stai sentendo il battito del cuore. Avevamo detto niente trucchi. Niente poteri.»
«Sai che mi annoio a non usarli. Abbiamo mezz'ora di tempo. Potresti dirmi perché non mi hai riferito l'intenzione di Milena di scappare» il viso del ragazzo divenne più pallido di quanto non fosse già «Sono queste le cose che mi deludono. Non stupidi ragazzini umani» e la presa sui capelli di Manuel divenne più decisa, quasi ne stesse carezzando il cuoio capelluto.
«Io...non...» cominciò a balbettare Manuel «Milena voleva andare via da tempo. Non avresti comunque potuto fermarla, prima o poi... »
«Prima o poi se ne sarebbe andata. E prima o poi tornerà. Ma sai che mi piace sapere tutto in anticipo. Sono queste le cose che mi deludono. Da te soprattutto.» il viso di Manuel, da pallido divenne rosso, mentre Elias continuava a carezzargli la nuca con le dita.
«Sai che non... che non mi piace deluderti» serrò forte i pugni, mentre una sorta di angoscia viva e sorda cominciava a prendere vita in lui, come sempre quando Elias era intristito. «Ed odio il tono di voce che hai quando sei deluso. Preferisco quando ti arrabbi. Quando urli. Ma non così. Non potevo fare altro...» si sforzò di rialzare lo sguardo «Sarebbe andata via comunque. Non... non pensavo ti avrebbe ferito. Non sei uno che si lascia illudere facilmente, no?» cercò gli occhi di Elias, che però non lo guardava. Sembrava più interessato al ballo, anche se leggero sorriso gli incurvava le labbra. Dentro di sé rideva.
«Figurati se un comportamento umano può deludermi. So come siete. Imperfetti. Macchiati. Ma da te mi aspettavo qualcosa di più» e sorrise appena, mostrando i denti. Sorrise perché sapeva benissimo che Manuel avrebbe preferito infilare la mano in un nido di formiche, piuttosto che deluderlo. Gli carezzò i capelli.
«Ti prego non... » Manuel scattò in piedi «Non fare come al solito. Sono stato perfetto per quattro anni, sei mesi e ventisette giorni.»
«I primi cinque mesi e tre giorni eri troppo impegnato a cercare di scappare... »
«Ma poi ho capito. Sono stato un servo perfetto per te e per tutti gli altri Non vi ho mai traditi.»
«Anche perché sapevi che un tradimento avrebbe portato a molti morti. I cacciatori ci provano, ogni tanto. Siediti.»
«Ma io non l'ho fatto. Sono stato così perfetto che mi hai perfino scelto per te. Quindi per favore... Milena tornerà. Lo so che volevi saperlo, lo so. Ma è stata una sua scelta, ed io non potevo... non potevo fermarla.»
«Quindi il fatto che sia tua sorella non ha influito?»
«Sai che non è più mia sorella. Le voglio bene, so che da qualche parte lei conserva affetto per me. So che non potrà durare in eterno. Io morirò, lei non soffrirà. Ed è giusto così. Non potreste vivere in eterno altrimenti. Anche se i lupi ci riescono... » azzardò, voltando lo sguardo sulle due ragazze.
«I lupi» cominciò Elias arricciando il naso «Sono diversi. La loro comunità è chiusa. Non gli servono gli esseri umani. A noi sì. Loro, quando si affezionano, ne trasformano uno, ma è raro che accada. Normalmente si riproducono come fanno gli esseri umani. O i cani» sorrise.
«Sei geloso. Ti piacerebbe poterti riprodurre in quel modo. Avere qualcuno che ti somigli così tanto. E lo so, anche se non me lo hai mai detto chiaramente.»
«Mi diverto a provarci. Questo non vuol dire che io sappia che è impossibile. E non mi provocare» la mano sui capelli si strinse, andando a tirare leggermente. Manuel deglutì a forza. «In ogni caso, è per questo che sono appena superiori rispetto agli esseri umani, ma inferiori rispetto a noi. Guarda» indicò le due ragazze. Una era appena caduta, ma l'altra le si era chinata sopra, carezzandole la fronte «Amor fraterno. Hai notato che sono gemelle?» il cuore di Manuel ebbe una stretta «Come te e Milena un tempo. Sarebbe divertente separare il tempo anche per loro.»
«Ti prego di non farlo» sussurrò Manuel, portando una mano ad asciugare gli occhi «So quando si possa star male. Milena vede me... e vede quello che sarebbe diventata. Per loro è anche peggio. Sono identiche.»
«Non del tutto. La prima è più forte. Ha un fisico allenato, resisterebbe di più. La seconda è più delicata. Quella che è caduta. Forse solo la prima potrebbe resistere. E in ogni caso... » lasciò la frase in sospeso.
«Tu utilizzerai la più debole delle due per ricattare la prima. Così sarà più facile. Hai fatto lo stesso con Milena, visto che il più debole secondo te ero io. E in ogni caso sono crollati. Tutti» aveva un tono quasi trionfante, mentre gli esseri umani venivano portati via dalla pista. Erano stati tutti posati in un angolo, quasi accatastati su dei vecchi cuscini.
«Riuscirò a farli ballare. Come ci sono riuscito con te. E con Milena. E con tutti gli altri» si alzò in piedi. La musica cessò all'improvviso, e l'uomo vestito da Arlecchino lo guardò.
«Hanno riposato signore. Devo riportarli in pista?» domandò.
«Fai come preferisci, Marcus. Falli ballare fin quando resisteranno. Alexis» guardò una giovane donna che si teneva il più lontano possibile dal fuoco, intimorita «Vai a prendere le sacche. I ragazzi hanno fame, e i nostri nuovi ospiti non sono in grado di aiutarci. E poi avvicinati al fuoco. È tempo tu smetta di avere paura, o gli esseri umani ne approfitteranno. Di te non resterà che cenere, se ti fai spaventare» la ragazza annuì appena, correndo verso una precisa direzione. Aprì una botola e ci si infilò dentro, emergendo dopo pochi minuti con uno zaino carico di sacche di sangue, che cominciò a distribuire. Ne porse una a Elias, che le fece cenno di metterla ai suoi piedi.
«Ora avvicinati al fuoco. E balla» le carezzò il viso, e la ragazza annuì di nuovo.
«Alexis è ancora molto giovane. Ha poco più di un anno. Non sopporta ancora la luce del sole, anche se coperta...è normale abbia paura del fuoco» sussurrò Manuel.
«No che non lo è. È debole.»
«Ci vogliono dieci anni per sopportare a stento la luce, Elias. E cento per non morirne subito e resistere qualche ora. Sei così vecchio che tendi a dimenticarti quanto possa essere difficile essere giovani. Sei come quei novantenni che criticano i ragazzini.» Manuel sapeva che alla luce del sole erano molto deboli, e l'unico potere che avevano era la capacità di scappare molto in fretta. Un milione di volte aveva pensato di sfruttarlo. Sorrise al ricordo di quei vecchi e folli pensieri.
«Non i miei discendenti, e Alexis lo è, anche se non è mia figlia» disse netto Elias. «Già un anno dopo la mia creazione camminavo al sole. Coperto, ma camminavo. Ai miei discendenti do cinque anni di tempo. E la paura del fuoco va superata subito. Non possiamo permetterci di essere terrorizzati a morte quando lo usano come minaccia. Dobbiamo rimanere lucidi per scappare o trovare una soluzione. Tua sorella ci è riuscita in soli due anni. Può farcela anche Alexis, o mi premurerò io stesso di eliminarla. Alzati» Manuel prese anche la sacca di sangue.
«No, quella lasciala» e lo afferrò per la camicia, tirandolo a sé, ignorandone il fremito. Lo strinse, avvolgendolo tra le sue braccia troppo lunghe e ne baciò la gola. Manuel cominciò a tremare, stringendo Elias a sua volta e stringendo gli occhi. Serrò con forza denti e labbra, spaventato. «Credi che voglia farti male. Ma so che le tue urla disturberebbero chi balla. E i tamburi non riuscirebbero a coprirti. Quando urli nulla può farlo. Spaventeresti gli esseri umani. E disturberesti i miei ragazzi. Guardali» ne girò la testa verso il fuoco. «Alexis si è avvicinata. Non troppo. Ha paura, ma è vicino. Sta usando uno degli esseri umani come scudo tra sé e il fuoco. Lo tiene come un fantoccio. Ci balla. Lui la sta supplicando di smettere. Marcus sembra trovarla una scena divertente» prese tra le mani il viso di Manuel, lo strinse leggermente. Mani fredde, quasi ghiacciate. Manuel chiuse gli occhi.
«Hai fame. Da quanto non mangi? Scommetto che il tuo cuore non batte, in questo momento.»
«Più muto di un orologio senza lancette. Ho fame, hai ragione.»
«Allora prendilo. È per questo che ti sono vicino, no?» scrollò le spalle con finta noncuranza, posandogli la testa sulla spalla. Chiuse di nuovo gli occhi, gemendo di terrore quando Elias posò le labbra sulla sua gola. «Ti... ti... ti prometto che non urlerò. Però scusami se tremo.» Trattenne il fiato nel sentire i denti sulla pelle, e tradì un piccolo gemito nel sentirli conficcarsi nella carne. Si morse le labbra e strinse ancora di più gli occhi, attendendo che finisse, ma ne fu deluso: Elias richiuse la ferita sporcandola con una goccia del suo sangue e poi lo allontanò da sé.
«Non sei poi così utile. Ho i ragazzi. Possono portarmi qui cento esseri umani. Posso andare in un centro donatori. Posso riprendere a cacciare. Tu non sei necessario» e a quelle parole, Manuel sentì come se un sasso gli fosse caduto nello stomaco. La bocca era arida, il ventre sembrava contorcersi in quella che era angoscia pura. Chiuse gli occhi ancora più forte, per ricacciare indietro le lacrime.
«Non lo sei» ripeté Elias «Sei utile. Ma non necessario. Torna a sederti. Più tardi Marcus passerà da te.»
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