CAPITOLO TRE
Il bunker sorgeva a circa trenta chilometri dalla città.
Non era una distanza eccessiva, da fare a cavallo o con le rare automobili o moto. Poteva essere perfino divertente, per chi come Elias non temeva i pericoli che lui stesso aveva messo lungo la strada.
La zona era difesa da un sostanzioso gruppo di non morti, zombi per la precisione, che ubbidivano agli ordini di Elias Elwing, perché prima di morire avevano bevuto il suo sangue. Poche gocce, raccontava Elias a chiunque fosse disposto ad ascoltarlo, per vantarsi di quella trovata. «Poche gocce dopo il contagio, poi basta sedersi e lasciarli morire da soli. L'ho scoperto per caso. Però deve essere un morso fatale.»
Era stato facile per lui quindi ordinargli di non far passare nessuno che non avesse il suo sangue, di cui loro riconoscevano l'odore: nel bunker, erano tutti figli o comunque discendenti di Elias.
Così come i ghoul, gli schiavi che potevano passare indisturbati. Tutti gli altri venivano attaccati e trascinati al bunker. Elias li premiava con carne fresca, quella dei morti che per sua richiesta venivano scaricati nel deserto.
L'alternativa era bruciare il corpo o donarli ai lupi mannari. I cimiteri ormai non esistevano più da quando i non morti avevano cominciato a camminare insieme ai vivi. Quello forse era stato il danno minore: non erano molto forti, erano lenti, e destinati comunque a morire definitivamente nel giro di pochi anni, però erano fastidiosi, soprattutto perché bastava un minimo contatto per venirne contagiati. Un graffio. Bastava solo quello: un graffio.
Il contagio per fortuna non era mortale, e molti continuavano tranquillamente a vivere. Semplicemente, dopo la morte, si trasformavano entro tre giorni. Elias non voleva troppi non morti in giro, e si assicurava che le scadenze venissero rispettate. E che i morti non venissero seppelliti di nascosto. «Sono imbecilli, credono ancora all'utilità di seppellire qualcuno» borbottava quando sentiva storie del genere.
Matteo, ancora giovane, era abbastanza spaventato da quegli zombi, che pure non lo degnavano di uno sguardo, ma bisognava capirlo: era stato contagiato da bambino, e soggetto a sguardi di sospetto da tutti. Diventare un vampiro l'aveva in un certo senso salvato da quella fine che spesso temeva di fare.
«Erano comunque esseri umani» diceva ogni tanto Manuel, come per convincerlo a ucciderli e a liberarli dalla loro prigionia. E Matteo concordava.
«Non c'è anima in quei corpi. Te l'ho già spiegato. Non c'è nulla. Gli zombi sono liberi. Non parlano, non provano nulla. Ti ho portato un libro» lo faceva sempre, quando voleva metterlo a tacere. Gli portava un libro dalla città. La libreria del bunker era vasta, e contava migliaia di tomi, e non solo: su diversi computer c'erano versioni in digitale di quegli stessi libri, ricopiate da vampiri appena nati, ghoul del bunker o umani imprigionati venivano spesso costretti a trascrivere dallo stesso Elias.
Per Elias era importante: i libri venivano stampati, salvati. Si era perso così tanto, negli ultimi secoli... i libri erano preziosi. E Manuel li amava, aveva adesso una sua vasta libreria personale, nella stanza che occupava.
Proprio Manuel in quel momento era disteso nel letto, come prima dell'entrata di Marcus.
Mezzo nudo, indossava solo un paio di pantaloni che arrivavano a stento al ginocchio, disteso sulle coperte, la testa sotto il cuscino. Cercava di dormire, e a tratti ci riusciva, cadendo in un sonno che si rompeva ogni quarto d'ora esatto.
Erano circa le sei dei mattino, e Manuel era esausto quando Elias entrò nella sua stanza.
Ne riconobbe i passi. Il modo di aprire la porta e di attendere due secondi prima di entrare. Sapeva che a breve sarebbe andato a spegnere la piccola luce notturna che Manuel teneva con sé.
«Hai ancora paura del buio?» domandò Elias inarcando un sopracciglio.
«Mi mette angoscia la totale oscurità. Non riesco a dormire» sussurrò «Mi hai perdonato?»
«No. Milena era importante per me. Era la mia prima figlia dopo quasi ottant'anni. Penso spesso che avrei dovuto trasformare Matteo, sai? Marcus ha fatto una buona scelta con lui. È ubbidiente. È poco più vecchio di Alexis, ma già ha superato molte paure. Cresce in fretta. E soprattutto è leale. Quello che tu non sei. So che l'hai fatta scappare perché... »
« ...non l'ho fatto perché è mia sorella» la testa di Manuel si alzò, e lo sguardo si fece feroce, arrabbiato. Sospirando, Elias gli si sedette vicino, immergendo una mano tra i suoi capelli.
«Me l'ha detto Marcus che l'hai interrotto due volte. Devo spiegarti di nuovo che non devi farlo?» domandò in un sussurro. «O forse lo fai apposta. Speri che io ti punisca, così che tutto possa finire. Ne sono abbastanza sicuro» ma non attese la risposta: Manuel non sembrava in grado di parlare. Aveva gli occhi chiusi. Si stese al suo fianco, carezzandogli la nuca, sorridendo nel sentirlo fremere «Ne hai paura certo. Lo so che hai paura. Per ora, mi accontenterò di riposare qui per qualche ora» e Manuel deglutì. «E lo so che lo odi.»
«Perché è esattamente come...essere intrappolati con un cadavere vivente. Tu non ti vedi quando dormi. Mi stringi a te, e sei freddo. Se provo a muovermi stringi ancora di più. Passo ore insonni, prima di riuscire a dormire, a meno che tu non mi faccia dormire. E ti prego fallo» sussurrò «Lo fai spesso. So che lo fai. Ti sento entrare nella mia mente.»
«E lo sai che allo stesso modo posso condizionarti i sogni» lo circondò con le braccia, aspirando quell'odore di sangue che proveniva da lui. «Secondo qualcuno è troppo crudele. Secondo me invece, spesso è una punizione ben più adeguata rispetto al bastone. Tu preferisci il dolore perché sai che passa. Invece gli incubi... ti torturano per giorni. Ti distruggono la testa» sussurrò ancora, baciandogli la gola. Manuel fremette appena, spaventato. Annuì piano, chiudendo gli occhi e fingendo che bastasse riaprirli per vedere qualcosa nel buio. «E lo so le tue paure. Il buio. Quindi dormi. Dormi sperando che io scelga bene.»
«Ti prego non... »
«Dormi» sussurrò di nuovo Elias, mettendogli una mano sulla testa. In poco tempo, Elias cadde in un sonno profondo, avvolto dal freddo abbraccio del suo padrone. «Mi dirai domani come hai fatto a eludere la sorveglianza. Come ha fatto ad andare via.»
«Lei... lei tornerà. Ne sono sicuro. Me l'ha promesso. Ha detto che aveva bisogno solo di un po' di tempo da sola... » sussurrò, prima di addormentarsi profondamente. Per sua fortuna, fu un sonno profondo e senza sogni.
«Altre cinque persone scomparse a Brighton» disse Alexander «Si può dire che almeno questa volta hanno evitato di prenderli in casa. Queste sono notizie riservate ragazzi. Quindi... non ditele a nessuno, per ora» ordinò ai fratelli e alle sorelle. Erano tutti seduti a tavola per il pranzo, un gruppo di quindici persone tra i cinque e i trent'anni. Nove di loro erano bambini. Non erano tutti fratelli: in alcuni casi erano cugini, ma per Alexander ormai c'era ben poca differenza tra Amelia, che era sua sorella, e Adele, che era sua cugina. Le trattava entrambe allo stesso modo.
Tra loro si somigliavano tutti, avevano gli stessi tratti, qualche colore diverso, ma si vedeva che erano cugini o fratelli. In paese erano ben conosciuti.
Soprattutto Amelia con la sua libreria, cui spesso, grazie a Elias, riusciva a trovare vere e proprie rarità. Di ogni libro ne aveva una copia in casa, e spingeva la famiglia alla lettura. Ogni angolo di quella casa erano stato trasformato in una piccola libreria, una casa altrimenti spoglia. Pochi mobili, molti armadi.
Aaron mise a tavola il pranzo, e tutti cominciarono a mangiare lentamente. Amelia ogni tanto si alzava, controllava che tutto andasse bene. Tra le ragazze era la più grande: dopo di lei c'era Adele, che aveva ventidue anni e lavorava come cuoca, Anastasia detta "Anja", che ne aveva quindici, Alina, tredici anni e la piccola Aileen, che ne aveva sette.
Avevano un buon lavoro, quantomeno i più grandi. Faticoso, in molti casi, ma si aiutavano a vicenda, nello spirito della famiglia in cui erano stati educati. Erano una bella famiglia, gli Altias: si aiutavano tra loro e aiutavano gli altri. E in quel gruppo, molti erano orfani da poco. Restavano loro e i nonni, più qualche zio o zia che ogni tanto chiedevano loro aiuto.
Perfino i piccoli aiutavano, dando una mano in casa. Rifacevano i letti, sapevano cambiare le lezuola, lavare le coperte e spazzare. Amelia si divertiva sempre a guardarli, mentre lavoravano in gruppi da tre o da quattro. Per cambiare le lezuola si mettevano in cinque, mentre il più grande dava ordini.
Adrian studiava come medico, e Alina sembrava adatta per intraprendere la stessa strada. Orfani. Tutti quanti. Riuniti intorno a un capo famiglia, che sedeva a capotavola. Dall'altro lato non sedeva nessuno.
Abitavano in una piccola palazzina che un tempo era un'opera d'arte da vedere, ma che ora era consumata, rovinata dagli anni, eppure solida. Tre piani, a un chilometro dalla città, un po' scomoda, ma circondata da altre palazzine simili. A pranzo, qualsiasi impegno ci fosse, dovevano riunirsi tra loro. Aggiornarsi. Portare i bambini dai nonni, in modo tale da avere sempre qualcuno che li tenesse d'occhio, parlare. Essere una famiglia. Tra loro si chiamavano "fratello" e "sorella".
Il lavoro di Amelia nella libreria era quello più redditizio, dopo Alexander. Per questo al fratello dava molto fastidio.
«Tu non dici nulla?» le domandò infatti.
«Brighton è un bel posto. Ricordo quando mamma e papà ci portavano a mare. Papà aveva sempre pronto il fucile. Sai, nel caso arrivasse qualcuno. O uno zombi. Elias mi ci ha portato. Di notte ovviamente» sorrise, incurante dello sguardo a metà tra la paura e la diffidenza dei fratelli e quello di rimprovero di Alexander «Stavo congelando. Per questo ha atteso la mattina. È stato sotto il sole per me. Il suo ghoul era preoccupato per lui, ma sono riuscita a farlo entrare in acqua, e... »
«Su questa storia» quello del fratello era quasi un ringhio. Amelia sospirò. Bevve un lungo sorso di succo di frutta, poi masticò a lungo un pezzo di carne, prima di rispondere. Sapeva che avrebbe fatto innervosire Alexander.
«Dico solo che se si comporteranno bene, potranno avere quello che ho avuto io. Sai che non tutto il male viene per nuocere. Io ne ho approfittato, Alexander. E so che secondo te non ho fatto nulla mentre tu hai trascorso un anno per cercare di farmi liberare, ma fidati: è stato difficile. Faticoso. Spaventoso. Però ha portato a un buon risultato: le scuole pagate. Vestiti caldi per l'inverno, vaccini per tutti. Non dobbiamo più temere le epidemie.»
«Col tempo sarei riuscito io. Sai che sono un militare.»
«E tu hai tutte le cure per te. E con molti sforzi, anche per altri. Io ci ho messo meno sforzi. Sei geloso?» domandò guardandolo in viso. C'erano cinque anni di differenza tra loro, e un tempo Alexander era stato il suo eroe. Ora era il capo famiglia, e lei gli voleva bene, ma detestava quel suo comportamento così protettivo.
Raggiunse Abraham, il più piccolo della nidiata con i suoi cinque anni che in quel momento stava giocando con la carne nel piatto e si sedette vicino a lui. Al vederla arrivare, il bambino sbuffò e cominciò a mangiare. A lei bastava solo uno sguardo di quegli occhi neri penetranti. Sapeva incrociare le braccia in un modo che faceva subito a intuire ai bambini che era arrabbiata. Non era particolarmente bella, l'aspetto era gradevole, ma abbastanza anonimo, e forse per questo aveva attirato subito l'attenzione di Elias. I capelli erano ricci e neri, unica vera particolarità, visto che erano ricci fittissimi, e arrivavano fino al fondoschiena. Elias un giorno le aveva tagliato una ciocca e l'aveva distesa: la lunghezza copriva tutta la figura di Amelia. Una figura non grandissima, sul metro e sessanta con cinque o sei chili in sovrappeso, ma che sapeva diventare fin troppo veloce quando qualcuno provava a rubare nella sua libreria.
Somigliava molto al fratello, che aveva i suoi stessi occhi e capelli, ma lineamenti del viso più duri, decisi, e il cui viso sembrava quasi quadrato. Alexander aveva perfino tagliato corti i capelli in modo da eliminare tutti i ricci e apparire più spaventoso. Era alto, almeno trenta centimetri in più della sorella, e il fisico erano allenato, muscoloso, forte. Dava l'impressione di poter spostare montagne.
«Non giocare col cibo» disse Amelia in tono di rimprovero. Alexander la guardò male: era palese che stesse cercando di cambiare argomento. Sospirò, guardando anche lui il piatto, lo stomaco chiuso.
«Lo sai che... »
«Che ti sei autonominato protettore di questa famiglia e dei vicini. Lo so» e gli sorrise «Ma non c'è nulla di male a chiedere una mano. E lo so» disse alzando una mano per impedire al fratello di rispondere «Ti da fastidio. Ma non ne da a me. Di sicuro non è quello che vorrei per voi. Ma non è stato poi così traumatico, per me. Mi so adattare. Sono come l'acqua. Ed ho preso il meglio da una situazione in cui non potevo fare altro. Poteva andarmi peggio: Elias si è comportato bene con me. Ma quello che ho visto non lo scorderò facilmente.»
«E non hai mai parlato» disse a bassa voce Alexander.
«E non voglio. Adele, come procede il libro?» domandò. Adele infatti sfornava storie d'amore al ritmo di una ogni due mesi, e Amelia provvedeva a correggerle e stamparle, dandole poi parte del ricavato. Piacevano davvero molto, erano una sorta di evasione per molte donne che passavano nella sua libreria, e costavano poco.
«Ho quasi finito.»
«Sono tutte uguali le tue storie» borbottò Anja, mangiando lentamente. «Lui ama lei. Lei ama lui. Qualcosa impedisce loro di amarsi. Qualche volta il padre. Qualche volta il vampiro. Qualche volta potrebbero essere fratelli ma si scopre che non lo sono. Poi lieto fine.»
«Alla gente piacciono» si difese Adele scrollando le spalle «Si distraggono così.»
«Allora è gente stupida» decretò la ragazzina arricciando il naso.
«No, è gente che lavora dodici ore al giorno, e ha bisogno di qualcosa di leggero» disse con calma Amelia «È gente che ha paura. Gente che ha perso figli, genitori, madri, padri, fratelli... »
«Vedere le mie famiglie felici li consola. So che sembra una truffa, ma... è un modo per restare sani di mente» continuò Adele «Per non farsi sopraffare dalla paura. Io scrivo quelli che sono i loro sogni. Ho scritto anche versioni per ragazzi, dove trovano un tesoro o ricevono una misteriosa eredità, o magari trovano un buon lavoro e riescono a vivere bene. E sai? Tanto ragazzi quanto ragazze leggono i miei libri. Entrambe le versioni. È un modo per restare in contatto con la speranza. Non tutti sono cinici e insensibili come te.»
«Ok zitte tutte e due» disse Alexander alzandosi in piedi «Non provate a litigare. Siete sorelle. Mangiate nello stesso piatto. Dobbiamo restare uniti. E Anja, cuciti un po' quella bocca ogni tanto, non fare troppo la saputella. Hai solo quindici anni. Ed entro due potrei arruolarti nella milizia, ti farebbe passare un po' di quel cinismo che hai ereditato da tuo padre» Anja arricciò il naso, guardandolo male, ma senza il coraggio di rispondergli. «Credimi se ti dico che le cose che ho visto farebbero venire il pelo sullo stomaco a un bel po' di gente, e al tempo stesso riflettere su quanto sia ingiusta la vita e su quanto il cinismo sia inutile.»
«Alexander... ci sono i bambini» e indicò il gruppo di più piccoli, che avevano drizzato le orecchie pronti ad ascoltare. «E nessuno di loro al momento vuole sapere... »
«Non è vero!» protestarono i bambini in coro.
«Diciamo che nessuno ha bisogno di sapere» si corresse Amelia «quello che hai visto. Hanno già troppi incubi» Alexander annuì e finì velocemente di mangiare.
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