CAPITOLO SETTE

CAPITOLO SETTE

Lei sei del mattino, nella famiglia Altias, erano sempre le ore più complicate della giornata. Il primo ad alzarsi era Alexander, che silenziosamente andava in cucina. Si sentiva solo il ticchettio dei tasti della macchina da scrivere di Adele, che la preferiva al computer. E poi era davvero perfetta: non sbagliava mai.

Correggere non le serviva.

Adele andava a dormire alle tre del mattino e si svegliava alle cinque. Alle sette tornava a dormire fino alle dodici. Nel pomeriggio si dedicava ad altro, e poi la sera andava a lavorare al ristorante. Alexander le aveva consigliato di scrivere di pomeriggio, ma Adele non voleva sentir ragioni: le cinque per lei erano l'orario perfetto.

Quasi tutti dormivano e si sarebbero svegliati solo nel momento in cui lei sarebbe andata a dormire. C'era un silenzio innaturale che aiutava la sua concentrazione.

Alexander passò in silenzio a chiuderle la porta, e la intravide col volto spento, gli occhi vuoti, mentre le mani battevano furiosamente i tasti.

Chiuse la porta poi andò in cucina.

«So che l'hai vista» sussurrò Amelia, che quel giorno si era alzata prima. Sbadigliò, stringendosi nella vestaglia di lana. Faceva freddo, per essere appena ottobre.

«Ha più entusiasmo il tipo che trascrive le testimonianze in caserma» disse Alexander.

«Perché lei scrive senza entusiasmo. Mescola storie d'amore come fa con gli ingredienti. Ha una ricetta collaudata, cambia solo i nomi, le date, la posizione sociale... e le rielabora un po'»

«Anja non ha tanto torto. Sono tutte uguali, le sue storie» sussurrò Alexander, mentre preparava il caffé. Ne versò una tazza abbondante per sé e sua sorella. «Ma non facciamoci sentire» sussurrò ridendo. «Quanti ne ha scritti? Otto?»

«Nove. E si vendono come il pane» sussurrò bevendo un sorso di caffé «Mi è mancato il rumore dei tasti, quando ero via. All'epoca pensava ancora di dare una vera trama, ai suoi racconti. Non aveva ben compreso il meccanismo.»

«Dare alla gente quello che la gente vuole leggere. Storie leggere, in questo caso.»

«Tu per primo, con tutto quello che vedi, Alexander, vorresti leggere storie complicate?»

«Non mi piace leggere, Amelia. E non avrei tempo. Davvero ti è mancata?» si alzò per prendere due uova e romperle nella padella. Faceva sempre una colazione molto abbondante, la mattina.

«Sì. Ed anche Anja. Ma più Adele. Questo ticchettio... » fece una pausa « ..è routine. Mi piace. Io amo le cose di routine. Ne avevo stabilita una, con Elias» Alexander storse il naso «Vado via tra poco. Oggi vorrei fare l'inventario.»

Ogni mattina, Amelia percorreva i tre chilometri che la separavano dalla libreria.

Passava a comprare il pane all'angolo, si informava dalla panettiera di cosa succedeva in città, visto che la donna sapeva tutto. Parlavano qualche minuto, e da lei Amelia comprava dei piccoli panini dolci lasciare ai bambini che passavano per la libreria a chiedere qualche spicciolo. Lei non dava mai soldi, perché sapeva che non sarebbero stati usati per comprare del cibo.

«Si fidi e non dia loro dei soldi» diceva alla panettiera «Li useranno per comprare armi. Sono ossessionati all'idea di difendersi, quei ragazzini. Sono tutti orfani, hanno visto morire i genitori. E non si fidano delle guardie dell'orfanotrofio. Vogliono difendersi da soli. Secondo Alexander saranno ottimi acquisti per la milizia, se non si ammazzano prima» e ogni mattina lasciava loro la colazione.

Solitamente apriva verso le otto del mattino. Era una bella libreria la sua, incastrata tra un negozio di mobili e uno di frutta e verdura.

I mobili erano vecchi, spesso tarmati, usati e quasi logori, ma il proprietario ci lavorava per renderli solidi, belli da vedere e utili.

Le verdure erano chiarissime, poco gustose, ma Amelia sapeva quanto il proprietario facesse per renderli appetibili.

«Lo hai sentito?» domandò il fruttivendolo appena la vide «Questa notte gli zombi hanno attaccato i confini della città. Per fortuna c'era la milizia. Tuo fratello era in servizio?»

«No, non questa notte. Lo saprà appena arrivato, credo. Se non l'hanno chiamato, vuol dire che non era grave» disse Amelia alzando la serranda del negozio.

«Erano ben cinque!»

«Due miliziani addestrati possono ucciderli, e... » urlò nel vedere cosa c'era oltre la porta di vetri. Il suo urlo richiamò in breve tutta la piazza, come sempre accadeva. All'interno della liberia, sette zombi girovagavano come persi, ma appena videro le persone cominciarono a premere contro la porta di vetro. Amelia fu svelta a chiudere la serranda.

«La milizia. Dobbiamo chiamare la milizia!» urlò. «Sono sicura sia un sabotaggio. Non accade mai, non è possibile... avranno aperto e richiuso... la milizia» ed Elias. Doveva dirlo a lui.

*

Manuel aveva la testa premuta contro il cuscino, un pezzo di lenzuolo tra le labbra e soffocava i gemiti, asciugando le lacrime sulla stoffa.

Il suo corpo sobbalzava ogni volta che Marcus lo colpiva. Le nocche delle mani erano diventate quasi bianche, a furia di serrare le lenzuola con le dita. Chiuse gli occhi: il vampiro era al lato del letto, un sorriso stampato in volto. E lui non voleva vedere quel sorriso.

«Lo sai che con me puoi anche buttare la maschera, vero? Come fai con Elias.»

«Meglio la morte» ringhiò in risposta, e l'altro riprese a colpirlo.

Distanziava le frustate di esattamente cinque secondi l'una dall'altra, usando con un bastone lungo, molto flessibile, che sulla pelle nuda lasciava una lunga striscia arrossata. I colpi erano violenti, estremamente dolorosi e umilianti per Manuel, e divertivano parecchio Marcus. Per circa sette interminabili minuti, si udirono solo gemiti soffocati, mentre Marcus non faceva altro che continuare a colpirlo tra schiena e sedere, prediligendo quest'ultimo per via dell'umiliazione che il ragazzo provava ogni volta «E smettila di trattarmi come un bambino!» disse infatti, arrabbiato, e Marcus rise, senza accennare a fermarsi. La pelle era ormai arrossata e bollente al tatto, e in alcuni punti, quelli che avevano subito più colpi, si stavano cominciando a formare lividi violacei.

«Perché credi che mi diverta così tanto allora? Il dolore è solo parte della punizione. L'umiliazione rende il tutto più divertente. E in ogni caso, l'ordine di Elias è di fare come preferisco. Basta che mi fermi quando comincia a uscire sangue. Di quello preferisco farne altro uso.»

«Non ti permetterò di... » ma non finì la frase, perché la voce venne stroncata da un urlo gutturale. Infilò il viso nelle coperte, il corpo tremante di rabbia e dolore. Ci vollero parecchi minuti ancora, perché Marcus si fermasse.

«Così dovrebbe andare. Puoi risollevarti i pantaloni, se ci riesci» e rise. Con un gesto rabbioso, Manuel si tirò su i jeans, pentendosene subito. Chiuse gli occhi, mentre migliaia di luci gli si accendevano davanti. «Non è ancora finita. Ma per la seconda dose, Elias mi dice di aspettare che tu sia guarito abbastanza. Suggerisce di fare in modo che sia qualcosa che non dimenticherai facilmente» con attenzione, Manuel si alzò in piedi. Tremava. Dal freddo. Dall'umiliazione. Dal dolore. Afferrò una coperta e se la buttò addosso, sperando che il tremore si calmasse.

«Ho abbastanza cicatrici a ricordarmi i miei sbagli, Marcus. Se ora hai finito...» gli indicò la porta. Chiuse gli occhi quando il vampiro allungò una mano per carezzargli il viso, asciugandogli il sudore che colava dalla fronte.

«Non avrei finito» disse «Ho il permesso di prendere il tuo sangue. Ma ho deciso...» il cuore di Manuel mancò un battito e poi prese a battere forte. «Ho deciso di rimandare. Non a una data precisa. Sarà un momento qualsiasi della mia giornata. Magari quando starai con i ragazzi. O forse durante i balli. Devo solo capire quando ti darà più fastidio» e si avvicinò a lui. Si avvicinò troppo, tanto che Manuel cercò di scostarsi, ma Marcus gli aveva afferrato i capelli, e non sembrava intenzionato a lasciarlo andare. Si avvicinò ancora solo per soffiargli un veloce bacio sulle labbra, un bacio freddo, che fece tremare Manuel ancora di più. Poi lo lasciò andare.

«Preparali» disse «Verrò a controllare personalmente che si comportino bene. Potrei dare una lezione a uno di loro per qualcosa di stupido per rimarcare il concetto con gli altri.»

«O potresti farti i cazzi tuoi e lasciare a ME il compito di prepararli, come è sempre stato» sussurrò gelido Manuel, passandosi più volte le dita sulle labbra, quasi per cancellare l'ombra di quel bacio che lo infastidiva, lo faceva sentire sporco «Ho preparato Amelia. Forse l'ho preparata troppo bene. Era l'unica a non tremare.»

«Non prenderti meriti che non hai» cantilenò Marcus sulle note di una vecchia canzone. «Amelia era pronta da sola. Era perfetta. Molto più furba di te.»

Alcune ore dopo, Manuel aveva nuovamente riunito i quattro prigionieri nella stanza.

Aveva profonde occhiaie sul viso, perché aveva dormito davvero molto poco, ma neanche i quattro sembravano cavarsela meglio: apparivano assonnati, intimoriti, e perfino Vivien aveva perso un po' dell'arroganza del giorno prima.

Manuel si sforzò di sorridere e contrastare la stanchezza che gli aveva legato tra loro le gambe, rendendogli difficile camminare.

Dolore fisico e angoscia si erano mischiati in lui, causandogli un sonno leggero, che si interrompeva quasi ogni mezz'ora.

«Che altro dobbiamo sapere?» domandò Vivien stropicciandosi gli occhi.

«Dormito male?» domandò invece lui «Letti duri vero? Sarai abituata a ben altro.»

«Lasciala stare» disse Julia a bassa voce «Abbiamo dormito male tutti. Non sarà passato molto tempo da quando tu eri in questa stessa situazione» Manuel scrollò le spalle.

«Mi sono adattato. Altre affermazioni stupide?» e portò lo sguardo su Thomas e Daniel. Nessuno dei due però sembrava avere qualcosa da dire «Bene. Cominciamo allora. Le regole. La prima credo che sia chiara: ubbidire. Sempre e comunque. Qualsiasi cosa vi venga chiesto. Conoscerete presto le persone che possono darvi ordini e quelle che non possono» e guardò Daniel.

«C'è una gerarchia solida, vero? In cima c'è Elias» disse.

«Esatto.»

«Dopo viene una seconda persona, e non sei tu.»

«Marcus. Il suo secondo. Primo figlio. Lo conoscerete. Ma a voi deve importarvi solo di Elias, di Marcus e di me.»

«Tu puoi... » cominciò Vivien.

«Darvi ordini, sì. Sono il vostro responsabile. Degli altri, ripeto, vi dovrà importare poco. Elias ha un responsabile per ogni compito. C'è chi si occupa della sorveglianza, ad esempio. Raina Rayan. La conoscerete. Andrai d'accordo con lei» disse verso Daniel «Era un soldato in vita. È abbastanza giovane, ma competente. Per questo la ascoltano anche vampiri più vecchi di lei. La rispettano. E vi sconsiglio di provocarla» aggiunse. «Lei può darvi ordini, ma non lo farà. Non le importa. Avrete seriamente a che fare con lei, solo se cercherete di scappare. È sempre intorno, anche quando non la vedete. Ma attenti alla nebbia» i ragazzi lo guardarono preoccupati «E a eventuali uccelli notturni o lupi. Non c'è modo di evitarla: ha occhi ovunque. Ha disposto lei le guardie qua fuori. Non dovrete invece preoccuparvi di tutti gli altri. Seconda regola: abbastanza semplice in realtà. Non tentate di scappare. Non ci riuscireste. Io ci ho provato. Terza regola: vedi regole uno e due. Così per la quarta, la quinta e tutto il resto. Ubbidite e non cercate di scappare, e andrà tutto bene. Forse qualcuno di voi ne uscirà con un dono.»

«Perché fa questo?» domandò Thomas.

«Si annoia. In realtà semplicemente si annoia. Ed ha bisogno di esseri umani intorno. Tra cui me. Vi ricordo un'altra cosa importante: il rispetto. Di tutti. Me compreso.»

«Tu esattamente che posto occupi?» domandò Daniel «Sembra una posizione grigia... non sei uno di loro. Ma non sei neanche come noi.»

«Sono esattamente come hai detto: grigio. Appartengo a Elias. Solo lui può darmi ordini. Comportatevi bene, e magari uno dei più anziani qui vi sceglierà. Non saranno importanti o forti come lui» sorrise «Ne ha viste tante. Ha visto questo mondo morire. Non potete fregarlo» nella stanza scese il gelo «Non potete invocare la sua pietà.»

«Stai rimarcando il concetto di proprietà» notò Vivien «Sei geloso. Hai paura che prenda uno di noi» ma Manuel si limitò a scrollare le spalle.

«Forse» rispose «O forse voglio solo evitarvi i miei errori» e si alzò la maglietta. Le cicatrici non erano profonde, ma erano ben visibili come solchi di pelle più chiara, rovinata, e calò il gelo quando tutti si accorsero dei lividi recenti «Non sono le sole» spiegò Manuel «Voi non avete idea di quello che possono fare. Elias mi ha sollevato solo con i suoi poteri telecinetici e mi ha fatto cadere da tre metri di altezza. Mi sono rotto entrambe le gambe in più punti. Mi ha lasciato a soffrire per diverse ore, prima di curarmi» Vivien rimase con la bocca spalancata, senza riuscire a parlare «Capisce al volo quando mentite. E non è mai veramente assente. Può muoversi forse fin troppo velocemente e silenziosamente. Perfino ora...» fece una pausa «Potreste ritrovarvelo vicino senza rendervene conto» e tutti si voltarono a guardare, spaventati, come cerbiatti durante la stagione di caccia «Può farvi male senza toccarvi. Quindi ubbidite. Non fatevi prendere dal panico e andrà tutto bene.»

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