CAPITOLO QUATTRO

CAPITOLO QUATTRO

Schegge nei piedi.

Si sentivano tutti così, i cinque ragazzi rapiti: come se avessero i piedi pieni di schegge. Erano stati presi e portati in due stanze diverse, una per le tre ragazze e una per i due ragazzi. Erano ancora stanchi, nonostante la notte e metà mattinata di riposo, e i piedi sembravano non rispondere quando provavano a camminare. Le stanze erano spoglie, vuote. Solo un letto e un piccolo bagno, e la porta si era aperta solo una volta, quando era stata portata loro la colazione.

Vivien si massaggiava i piedi, seduta sul letto, cercando di far passare il dolore. Ogni tanto sbuffava, quando provando a camminare sentiva violente fitte.

«Ahia» sussurrò arricciando il naso. Un naso piccolo, quasi perfetto, all'insù, che le dava un'aria snob. La pelle era chiarissima, una spruzzata di lentiggini le copriva il viso, dandole l'aria di una ragazzina capricciosa. I capelli corti e neri erano tagliati in un caschetto corto che le arrivava appena alla gola, con un ciuffo ribelle che le ricadeva sempre davanti al viso, e occhi castano chiarissimo davvero molto grandi. Troppo grandi, per una persona adulta, e a tratti sembravano gialli. Era piccola, minuta, sembrava appena uscita dall'adolescenza, nonostante avesse ventisette anni ormai. Era magra, ma si capiva che non era denutrita.

Una delle due gemelle, l'unica sveglia in quel momento, l'aveva capito benissimo. La osservava da un po' di tempo ormai, mentre col suo corpo sembrava quasi proteggere la sorella. Erano davvero molto simili, a una prima occhiata. Sembrava facile scambiarle, ma bastava davvero poco a rendersi conto delle enormi differenze. Entrambe non troppo alte, poco meno forse del metro e sessanta, ma Julia era più alta, almeno di un paio di centimetri. Entrambe avevano i capelli rossi e le sopracciglia dello stesso colore, grandi occhi grigi e labbra sottili. Julia aveva braccia forti e in generale dava l'idea di essere quella più grande.

«Fanno male anche a me» disse a bassa voce «Immagino che per te sia peggio, no?»

«Cosa vorresti dire?» replicò stizzita Vivien.

«Che non sembri molto abituata alla fatica.»

«Neanche tu sembri tipo...boh, una contadina. Sei molto chiara di pelle, e di solito sono abbronzati, almeno in faccia.»

«Touché» rise la ragazza «Lavoro in un centro trascrizioni. È una scusa per leggere libri senza pagarli» e prese la coperta per rimboccare per bene sua sorella.

«E lei?»

«Lei? È molto cagionevole di salute, si ammala molto facilmente. Quindi in famiglia abbiamo deciso che è meglio stia a casa. Posso lavorare per entrambe alla fine, ma Jane» e guardò la sorella «non è dello stesso parere. Lavora come pittrice» e scrollò le spalle «Tu?»

«Diciamo che hai indovinato. Non sono abituata alla fatica. Studio medicina, ma... » fece una breve pausa «Beh, non abbiamo certo carenza di soldi in famiglia» ma non lo disse con l'aria di vantarsi, era quasi infastidita. «In realtà diciamo che miravo ad andarmene via da casa appena presa la laurea. Non mi lasciano fare nulla.»

«Diciamo che è un mondo duro. Lo farei anche io, con te. Sembri fragile.»

«Non lo sono. Tu non lo sembri invece» notò.

«Perché devo essere forte per lei.»

«Che problemi ha?»

«Le gambe. Non la reggono spesso. Ha avuto un trauma alla spina dorsale da bambina. Non è rimasta paralizzata, ma a tratti le gambe vanno per conto loro. Diciamo che funzionano a intermittenza. Ieri ha retto per miracolo» Vivien si portò le mani alle labbra.

«Mi dispiace.»

«Non dispiacerti» borbottò Jane, riaprendo gli occhi. Aveva la voce flebile. Si rialzò faticosamente a sedere «Le gambe... quasi non le sento.»

«Devi riposare» la rimbrottò Julia.

«Sai come vanno queste cose. Abbiamo sentito le storie. Non credo avrò molto tempo per farlo, nei prossimi... boh, mesi?»

«Capiranno subito che non sei adatta ai loro scopi» intervenni Vivien. «Sei molto più pallida di tua sorella...a proposito, Vivien. Vivien Vas» si presentò.

«Julia Jarres. E lei è Jane. Lo so, sono nomi...»

«...sono i nomi che chiunque darebbe a due gemelle» guardò Jane «Secondo me ti libereranno subito. Sembri avere sangue solo per te.»

«Davvero?» domandò Julia. Sembrava sollevata, mentre Jane al contrario era quasi preoccupata.

«Sì. Sentite, quando riesco a uscire di casa da sola, do' una mano a un piccolo pronto soccorso della mia città. E ho sentito alcuni racconti. I più deboli li scartano. Non saprebbero che farsene» Julia fece un sospiro di sollievo, portandosi una mano al petto.

«Senza mia sorella non... » cominciò Jane.

« ...qualsiasi cosa accada, noi saremo al sicuro. Non credo ci uccideranno.»

«Vuoi farmi credere che non sei spaventata?» domandò Jane inarcando un sopracciglio.

«Oh lo sono! A morte. Sto immaginando qualsiasi scenario. Compreso lo scoppiare a piangere e dire che ho una famiglia che per me pagherebbe bene. Ma tu non devi essere spaventata.»

«Lo sono per Julia.»

«Non devi esserlo» disse la sorella, aiutandola a sedersi «Ecco. Ti funzionano le gambe? Purtroppo non abbiamo fatto in tempo a prendere le stampelle e... »

« ...e credo sia uno di quei momenti in cui non funzionano.»

«Perfetto!» disse Vivien. Entrambe le gemelle la guardarono con aria stranita «Oh sentite» sbuffò lei, riprendendo a massaggiarsi i piedi «Se vengono e trovano una che non si regge in piedi, cosa pensate che faranno? La porteranno alla città più vicina e la lasceranno là. Potrai contattare subito qualcuno e farti venire a prendere. Potreste entrambe fingere.»

«Lo capiscono» disse Julia. «Però hai ragione» Vivien sorrise.

«Credimi... Jane hai detto, no?» la ragazza annì «Ho visto un caso tempo fa. C'era un tizio con una gamba di legno, ma era un bestione di due metri e cinque che poteva atterrarti anche solo saltellando su una gamba sana. Fu portato via e tornò a lavorare come guardia in ospedale. Pare usasse roteare la gamba finta come una mazza da baseball, quando era nei guai» le ragazze risero «In quella gamba ci teneva anche delle armi nascoste. Fu portato via, ma solo perché era una montagna di muscoli. Quindi fu tenuto. Ho dovuto curare ferite davvero molto gravi. Però Fred è un bestione» e sorrise «Ed è molto resistente. Un altro uomo sarebbe morto. Lui no. È una vera forza della natura! E infatti fa la guardia privata. Nel tempo libero gira per la città assicurandosi che tutto vada bene» e fece una pausa «Al tempo stesso» fece una seconda pausa «Arrivò un ragazzo anemico. Due gambe ben funzionanti, un fisico molto forte, ma non avrebbe retto a prelievi continui. Fu rilasciato tipo due giorni dopo. Poi ricordo il caso di una ragazza asmatica, che era entrata in crisi respiratoria appena le si erano avvicinati. Prendono le persone che sanno di poter sfruttare. Tua sorella. Io stessa. Tu no» ma Jane non sembra molto entusiasta della cosa. Sobbalzarono però tutte e tre quando la porta si aprì, e la figura di Manuel fece capolino all'ingresso.

«Lo ricordo il tipo con la gamba sola» disse il ragazzo ridacchiando «Frederick Fresen. Mezzo inglese e mezzo francese. Rilasciato l'anno scorso. Lo chiamavamo Fred. Il mezzo Fred, anche se non gli piaceva. Ha dato quella gamba di legno in testa ad Alexis. Lei poverina non se lo aspettava, e l'ha tramortita, ma era appena nata eh... avrà avuto un paio di settimane all'epoca. Lui è scappato saltellando, ma è stato ripreso dieci metri dopo. Elias voleva vedere fin dove sarebbe stato capace di arrivare. Un bel tipo, anche se racconta di aver perso la gamba in mille modi diversi. In base all'estro.»

«Ci è nato, senza una gamba» replicò Vivien stizzita. «E tu chi sei?»

«Potrei essere uno dei vostri rapitori, no? Un vampiro.»

«Figurati! Fred mi ha raccontato che non incontrano i vampiri per i primi tre giorni. C'è un filtro umano» e si alzò in piedi forse in modo troppo brusco, perché i piedi parvero infiammarsi «Ahia!» protestò, tornando a sedersi «Colpa vostra, maledetti.»

«Ti ha anche raccontato delle punizioni parecchio dolorose? Sicuro le conosci, avrai visto le cicatrici, curato le ferite, e Fred è stato con noi due anni» Vivien impallidì «Stiamo pensando di prenderlo di nuovo. Era divertente averlo qui. E poi forse dovremo effettuare un cambio. Forse due, anche nell'altra stanza...non è che uno dei ragazzi sembri passarsela bene, ma Fred alla fine vale per due.»

«Io non vado da nessuna parte senza mia sorella!» protestò Jane. Era impossibilitata a muoversi, ma sembrava ben decisa, puntallendosi con le mani sul letto.

«Non è tua decisione, purtroppo per te, ma ti capisco. Sono stato anche io come te. Sono cinque anni però che sono qui, ed ho imparato come funzionano le cose. Ed io per questo sono qui. Spiegarvele. Quindi mettetevi comode» si prese tre occhiatacce «Anche per questo vi facciamo ballare, lo sapete? Così il giorno dopo non potete scappare. Non potete neanche pensarci, a scappare. In ogni caso, siete ospiti di Elias Elwing, il nostro padrone. È molto vecchio, molto più di tanti altri vampiri che potete vedere in giro. È nato duemila anni fa, quando il mondo era molto diverso. L'ha visto evolversi, arrivare al massimo. C'era un tempo in cui tutto veniva curato.»

«Lo so» sussurrò Vivien «Le ho studiate queste cose.»

«Ecco. Immaginate cosa voglia dire. Mi sa che fu verso il 2200 che cominciò a crollare. E lui ha visto tutto. Ha visto il mondo evolversi e cadere. Pensate quanto potreste imparare da lui» sussurrò lanciando l'esca. Lo sguardo di Julia e di Vivien parve illuminarsi «Ha approfittato del mondo cambiato per farsi lentamente strada. Ed ora è quello che è. Ha uomini e non morti ai suoi comandi. Se pure doveste riuscire a uscire da questo bunker da sole, avreste gli zombi a pochi chilometri da qui. Li avete visti. Aggrediscono chiunque non abbia il suo sangue. Questo posto è indistruttibile, perché dentro le mura c'è il sangue di vampiri molto più antichi di lui. E il suo. Se mai avrete l'onore di prendere il suo sangue» e le guardò fare una smorfia «capirete. Comprenderete l'immensità della sua opera. E in ogni caso questo bunker è troppo grande» sorrise «Vi perdereste facilmente, senza una guida. Ti ha parlato di tutto questo, Fred? O nella vostra relazione non c'era spazio per questi particolari?» domandò verso Vivien, che arrossì violentemente.

«E tu come... ?»

«L'hai difeso prima. Sei scattata come una molla quando ho detto quella frase sulla gamba. E ti ha raccontato davvero tante cose. E un po' mi sono buttato io. Senza contare che, pur essendo umano, ho qualche piccolo potere telepatico.»

«Quindi sei un Ghoul!» disse Vivien, dandosi una manata sulla fronte «Fred mi ha parlato anche di te. Il... »

« ...giovane schiavo dei vampiri?» domandò Manuel scurendosi in viso «Mi avrà descritto in questo modo, ne sono sicuro. E poi te l'ho letto dentro. Che razza di relazione avete, precisamente?» Vivien arrossì e non rispose «Non sono uno schiavo. Al momento gli schiavi siete voi. Quindi dovete stare zitte. E ascoltare. Altrimenti manderò qui Marcus, e lui non ha esattamente la mia pazienza...» lasciò cadere la frase, aspettando qualche secondo per far loro assorbire le informazioni «Siete qui per servire. Elias, come vi dicevo. È un grande onore, grazie a lui ora non deve per forza uccidervi o cancellarvi la memoria ogni volta. Vi ha fatto un favore, prendendo il potere in questo modo.»

«Mio dio» sussurrò Vivien portandosi una mano alle labbra e sgranando gli occhi. «Sei totalmente cieco. Plagiato. Come fai a vedere del bene in tutto questo?»

«Vivien... » sussurrò Julia.

«Come fai?» incalzò lei, arretrando appena sul letto. Sembrava sconvolta.

«Voi non capite. Prima era costretto a uccidere. Ora no. Non deve più temere che qualcuno parli di lui. Non ha più questi problemi. E anzi, se ne parlano... »

« ...aumentano la sua aura di terrore» completò per lui Julia. «Lo rendono più minaccioso.»

«Già. Capisco ora perché odia che lo interrompa. Ma in ogni caso siete solo all'inizio. Resterete qui per almeno tre mesi. Poi si vedrà.»

«Daniel e Thomas sono entrambi abbastanza forti. Certo, Thomas ha avuto un violento attacco d'asma mentre ero presente» disse un'ora dopo a un gruppo di vampiri formato da Elias, Marcus e altri cinque o sei tra i più vecchi del gruppo. Erano riuniti in una stanza piccola, che bastava appena per un lungo tavolo e delle sedie, e Manuel era davanti a loro «..ma sono sicuro che in parte esageri. Devi far venire qua il medico, così che possa esaminarlo. Non è come quella ragazza... insomma» Elias annuì e gli fece cenno di proseguire «Dovremo procurargli le medicine. Sarà un po' fastidioso, ma... »

«Continua» lo incalzò Elias.

«C'è un problema. Le gemelle. Dobbiamo lasciarle andare entrambe» Elias inarcò un sopracciglio, e Manuel dovette raccontare tutto quello che aveva sentito.

«Non ho ben capito cos'abbia, ma non si regge in piedi. È molto debole.»

«Una delle due» sospirò Marcus, tamburellando con le dita sul tavolo. «L'altra è sana. Dovresti smetterla con questa storia, Manuel.»

«Elias... sono molto legate. Potremmo tenerle tutte e due. Avere una vorrebbe dire poter ricattare l'altra, e... »

«Non mentire» lo rimproverò Marcus.

«Assicurati almeno di... »

« ...di farla arrivare sana e salva a Londra, lasciandola nel primo ospedale disponibile, così che possa essere curata e contattare la sua famiglia. Lo so. Me lo ripeti di continuo. E di continuo ti dico che verrà fatto. Diamine, abbiamo lasciato a Londra gente che veniva da Dublino, e tu... »

« ...e tu non mi ascolti» lo interruppe Manuel, ignorando l'espressione d'ira che si dipinse nello sguardo di Elias « Lei non è come Fred. È molto più debole. Quindi dovrai rincosegnarla alla sua famiglia. Informarli su cosa... »

«Faremo le solite cose, Manuel. La lasceremo in un ospedale, posso concederti a Brighton. Non diremo nulla alla sua famiglia. Le ripuliremo la memoria, così non saprà chi indicare. Alexander sarebbe capace di venire fin qui, e non voglio fastidi da parte sua. Poi cercheremo un cambio. Sono quasi tentato di riprendere Fred.»

«Dovremo mandare qualcuno di molto più preparato però» disse una donna dall'aria distaccata, che sembrava quasi annoiata. Infatti sbadigliò «Ha quasi rotto la testa di Alexis. E non voglio che lo rifaccia. È una tale sciocca, quella ragazzina... »

«Si tratta di tua figlia, Marla» la rimproverò Marcus «Dovresti educarla tu.»

«E ammetto di aver sbagliato.»

«Basta. Entrambi» intervenne Elias, battendo una mano contro il tavolo «Marla, occupati di Alexis come si deve o lo farò io. Dovrai costringerla a rinforzarsi, a diventare pari agli altri. Manuel: hai altre richieste?»

«No. A meno che tu non voglia accettere di liberarle entrambe... »

«Scordatelo. Riuniscili. Parlaci. Preparali bene alla presentazione che farai loro. E spero che ti vada meglio con Fred» tutti risero al ricordo quello che aveva combinato Fred quando era stato presentato.

«Però fu divertente» ammise Marla ridendo e passandosi una mano tra i capelli. Aveva un sorriso radioso, quando voleva, con labbra rosse e carnose, che contrastavano con la pelle bianchissima, resta ancora più chiara dal trucco che Marla ci passava sopra. I tratti orientali le conferivano un'aria eterea, aumentata dai capelli nerissimi e lunghi fino ai piedi, che lei intrecciava per impedir loro di toccare il pavimento. Era alta, troppo per una donna, sul metro e ottanta almeno, ma pesava meno di sessanta chili. Una fata, l'aveva definita Manuel la prima volta che l'aveva vista. «Ve lo ricordate? Pensava che Fred non potesse fargli nulla, anzi, temeva per la sua salute, e invece due secondi dopo... » e mimò il gesto di un uomo preso per il collo. Manuel arrossì e abbassò lo sguardo, nascondendo i pugni nelle tasche dei jeans.

«Basta Marla. Su» disse Elias, raggiungendo Manuel e scompigliandogli i capelli «Manuel ha compreso che non deve più sottovalutare nessuno. Preparali. Cerca di capire cosa potremmo farne.»

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