8. DON'T BE SO SHY
“Spogliami l’anima,
incastrati nel cuore”.
Paulina Dyron.
Mi sento un emerito idiota, anzi l’idiota.
Sono stato uno stupido, per la seconda volta in due giorni non sono riuscito a dominare le mie emozioni.
Ho perso il controllo, mi sono lasciato sopraffare dalla gelosia.
Tutto ciò non è un bene, Selene potrebbe rendersi conto che nutro dell’interesse per lei se continuo a dare adito alle mie pulsioni, e non certamente un interesse fraterno.
La mia piccola Sailor Moon non è una stupida e, nonostante il caparbio tentativo di negarlo a me stesso, ho capito di non esserle del tutto indifferente.
Il modo in cui mi guarda e le sue guance che s’imporporano quando i nostri occhi si scontrano ne sono un tacito segnale.
Anche stamattina, nell’aula magna, appena ha sentito la mia voce la sua espressione è cambiata e, quando i nostri sguardi si sono incrociati, le sue gote sono diventate di fuoco.
Neanche questo è un bene, perché impazzisco per quelle guance rosse.
Mi eccitano, porca puttana!
Il fatto che anche lei prova una qualche forma di attrazione nei miei confronti non mi aiuta.
Sta succedendo tutto così velocemente, non ho mai pensato di poterle interessare in un senso che non fosse quello fraterno, ho sempre creduto che mi vedesse come un fratello o, al massimo, come un amico, che i suoi approcci verso di me fossero dettati da un senso di pena per quello che ho passato durante la prima infanzia. Lei sa che per i primi cinque anni della mia vita ho creduto che mio padre fosse il marito di mia madre, non Alessandro Colonna, dunque, fin da piccolo, ho pensato che provasse pietà per me e non vero affetto, che volesse includermi nei suoi giochi soltanto perché sono il figlio biologico del suo adorato papà.
È strano per me dubitare che lei possa addirittura provare un sentimento verso di me, forse è attratta dal mio aspetto, che, come dice Visani, è molto attraente.
Devo togliermi questo dubbio, devo capire se Selene è attratta de me.
Rido di me stesso, mi sento ridicolo al solo pensiero.
È impossibile che lei senta anche solo un minimo di interesse nei miei confronti visto il modo in cui la tratto ogni giorno, dovrebbe odiarmi e tenermi lontano da lei, anche perché ho fatto di tutto affinché Selene agisse in tal senso.
Quando l’ho vista arrossire e abbassare lo sguardo sul libro che aveva in mano il mio cazzo ha urlato, neanche la scopata con la nuova segretaria di Visani è servita a placare la mia erezione.
Mi sento costantemente insoddisfatto, sempre alla continua ricerca di un piacere capace di oscurare i miei pensieri.
E sono consapevole della motivazione primaria di questo stato: il piacere non anticipato dal dolore che Lilith mi infliggeva prima di scoparmi.
In alcuni momenti ne ho bisogno, sento la necessità delle sue frustate sulla pelle.
Oltretutto la vicinanza di Selene mi conduce in un cunicolo senza uscita perché è lei la causa primaria di tale insoddisfazione.
È per lei che agogno il dolore.
Per dimenticarmi che non sei tu a toccarmi, ma un’altra.
Per dimenticarmi che non potrò mai amarti perché, se lo faccio liberamente, cosa penseranno gli altri di noi?
Cosa penseresti tu di me?
Il pensiero di non poterla amare liberamente mi infuria e la consapevolezza che qualcun altro abbia la piena libertà di innamorarsi di lei, amarla e possederla, mi manda in bestia.
È sbagliato e fuori da ogni logica, ma sento una forma di possesso verso di lei.
Quando l’ho vista entrare nell’aula magna insieme a quel ragazzo, lui che continuava a parlarle a mezzo centimetro dalla faccia e lei che sorrideva cordiale alle sue parole, un mordente nero mi ha velato gli occhi.
Poi lui le ha accarezzato i capelli, facendola arrossire.
Cristo!
Bere una bottiglia di arsenico sarebbe stato più dolce.
Per di più, quel damerino in camicia e mocassini, si è scomodato per accompagnarla alla fermata dell’autobus con il suo scarabeo del cazzo.
E lei sorrideva, sempre quel sorriso dolce e gentile che le illumina il volto angelico, un sorriso che non era rivolto a me però.
Quel sorriso mi ha fatto perdere la testa, letteralmente.
Una furia cieca mi ha percorso per intero, dalle punte dei capelli alle dita dei piedi, con la forza di una scarica elettrica ad alta tensione. L’ho sentita dentro le viscere l’elettricità che ha incenerito le mie difese ormai basse, pronte per essere attraversate a piedi nudi.
L’ho colpito, i pugni non rispondevano ai miei comandi, erano guidati dalla gelosia che, come una miccia accanto alla fiamma, ha preso fuoco ed è esplosa.
Mi sono reso conto delle mie azioni solo quando lei mi è saltata addosso per dividerci, è saltata sulla mia schiena per trascinarmi via e salvare il suo amico.
Una pugnalata al petto avrebbe fatto meno male.
Quando l’ho vista rialzarsi, trapassato da parte a parte da quegli occhi di ghiaccio, la lama è andata più a fondo.
Quello sguardo di pietra si è insinuato con violenza nel mio e, come un cobra inferocito, ha sibilato biasimo e rabbia.
Selene si è arrabbiata con me.
L’ho sempre vista indifferente e lontana, fredda e scostante, ma rare volte l’ho vista arrabbiata.
È stata un’incosciente a compiere quel gesto e quando è caduta a terra ho temuto per la sua incolumità, se le fosse accaduto qualcosa, sarebbe stata la fine.
Avrei distrutto il mondo, la galassia, lo spazio e tutto quello che c’è dentro.
Per fortuna è uscita illesa dall’impatto.
Tiro un pugno sul materasso con fervore.
Sono stato un cretino, mi prenderei a schiaffi da solo se la cosa non fosse ancora più patetica.
Accendo lo stereo che si trova nella mia stanza e mi avvicino alla finestra per fumare una sigaretta.
Aspiro l’ultima boccata della Marlboro e sento bussare, Selene è venuta a chiedere il conto.
È chiedimi anche l’anima perché, anche se è rotta, la aggiustiamo insieme.
***
Kevin apre la porta, restando immobile sulla soglia, mentre dalla sua camera il piccolo stereo a due casse gracchia qualcosa.
Sento la voce della cronista radiofonica annunciare in tono sensuale il titolo di una canzone e, subito dopo, le note morbide di Don’t be so shy tremolano soffici sulle stringhe dell’etere, illuminando lo spazio circostante di luce tenue.
I nostri occhi si incontrano e una catena di fuochi d’artificio albeggia in un frastuono di polvere e spari.
Riesco a toccare il silenzio, lo sento scorrere tra le dita, mentre la musica ci avvolge in una penombra di suoni.
E come sempre non riesco a dire una parola perché mi perdo completamente nel suo sguardo.
Mi succede tutte le volte, per questo lo evito, ma adesso quegli occhi mi stanno stringendo tra le grinfie di un leone in agguato.
Il tempo frena i minuti, scandendo ogni secondo con il rintocco svogliato dell’orologio a parete che fa a pugni col ritmo scattante dei nostri cuori in delirio.
Una guerra.
Una trincea.
Una sparatoria.
Sono paralizzata dalle sue iridi che, come artigli affilati, s’infiltrano nella mia carne, graffiano il mio collo centimetro dopo centimetro e, con andamento lento, risalgono fino alla mia bocca.
Due artigli viola provenienti da una galassia lontana e sconosciuta.
Kevin disegna con gli occhi le mie forme, risalendo lentamente fino alla bocca.
Solleva l’indice e ne percorre il contorno con una carezza soffice, mentre sul suo viso si alterna un gioco perverso di luci e ombre.
Il suo dito attraversa il mio mento, scende piano sul mio collo e con l’altra mano mi cinge la vita.
Deglutisco.
Sono senza fiato, senza respiro, senza…
Semplicemente senza.
Poi si abbassa su di me fermandosi ad un soffio dal mio viso.
Poggia la fronte sulla mia, incanala quell’indaco nella mia anima, poi chiude gli occhi e mi stringe contro di sé, sul suo petto virile.
Non esisto più, Kevin mi sta uccidendo.
Uccidimi dolcemente, amore mio, perché io sto già morendo per te.
Lo sento deglutire a sua volta, ha il fiato corto e il suo respiro mi accarezza un orecchio, scatenando intensi brividi sulla mia schiena.
Mi abbraccia.
Un abbraccio di anime.
Ma, improvvisamente, si schiarisce la voce roca e, l’istante dopo, si fa indietro con uno scatto sfuggente.
Lo vedo riprendere fiato, come se stesse riemergendo da un profondo fondale oceanico.
Ed eccolo di nuovo, quel sorriso sarcastico, quell’espressione dura, quegli occhi cupi e pieni di odio.
«Sei una piccola strega, Selene!» ringhia, cavernoso, si allontana da me e si rinchiude di nuovo nella sua stanza.
Come un fantasma che attraversava i muri, Kevin ha appena attraversato la mia anima e poi l’ha buttata a terra e ci ha camminato sopra, noncurante e insensibile, come sempre.
Con sgomento raggiungo la mia camera.
Devo dimenticare, devo dimenticarlo.
La sua anima dannata non vuole essere seguita all’ Inferno, il suo cuore nero non ammette intrusioni.
Si è condannato alla solitudine, ha punito sé stesso con una sofferenza auto inferta perché è più semplice uccidere che amare, è più facile morire che essere amati.
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