33
"E così... sei rimasto a Londra."
Il giovane bloccò il cellulare, senza rispondere al messaggio. Lo lanciò malamente sul divano, sentendo il cellophane come protestare, a causa di quel colpo improvviso.
Raquel aveva impacchettato i mobili di casa, evidentemente intenzionata a non mettervi più piede per molto tempo.
Paolo aveva reso praticabile solo la sua stanza e la cucina, il resto l'aveva lasciato così come l'aveva trovato: sigillato, sospeso nel tempo e nella polvere.
Faceva parte del suo passato; lì dentro era stato cresciuto, amato, coccolato, viziato... per certi versi, soffocato.
Si domandava ancora se, le cose, sarebbero state diverse se avesse avuto un fratello o una sorella, con i quali condividere tutto quello che era accaduto.
Si strinse nelle spalle.
Non avrebbe mai avuto una risposta, lo sapeva.
Prese a vagare per la casa, senza una meta precisa.
Accarezzava con lo sguardo ogni più piccolo dettaglio, ripercorrendo quello che era stato, cercando indizi, particolari che, forse, gli erano sfuggiti nel corso del tempo. Qualcosa che lo avrebbe potuto aiutare, con anticipo, a prepararsi alla fine di quella parte della sua vita.
Crescere era inevitabile per chiunque, ma lui si sentiva come se si fosse svegliato di colpo da un bel sogno, catapultato in una realtà altra, strana, ambigua, stracolma di instabilità.
Era un po' come essere circondati da decine di precipizi, in piedi al centro di un quadratino di terra, instabile, pronto a vederlo sbriciolarsi da un momento all'altro.
Intravedeva molte strade aprirsi davanti a sé, ma della maggior parte ne aveva già sbarrato gli ingressi.
Un paio continuavano ad allettarlo.
Una in particolare sembrava chiamarlo a sé, seducente come una sirena, pronta a trascinarlo nelle viscere della sua malia.
Sarebbe stato pericoloso cedervi: era l'unica che vedeva stracolma di trappole, voragini, ma anche infiniti cieli azzurri.
L'amore era una cosa complessa, piena di incertezze, molte più delle sicurezze che offriva.
Bisognava avere coraggio per imboccare quella strada.
Sospirò, passandosi una mano tra i capelli.
Tutto intorno a lui era così asettico. Privo di sentimenti. Come se ogni cosa fosse diventata una fredda fotografia: anche la cucina, con il suo tavolo e le tre sedie intorno, la credenza, gli stipetti in stile bohémien. Ogni angolo gli riportava alla mente un ricordo, ma vuoto, distante.
Era evidente che, ormai, non si sentisse più parte di quel luogo.
Per molto tempo, proprio lui, era stato il fulcro di quella casa, della famiglia che ospitava, di quel nido che, forse, mai si sarebbe costituito se lui non fosse nato. Se lui non fosse esistito.
Fausto avrebbe lasciato Raquel subito dopo aver scoperto che la donna, non era abbastanza per conquistarsi l'ammirazione dei genitori?
Raquel avrebbe accettato di sposare un uomo che le aveva confessato di essere omosessuale, se non fosse rimasta incinta?
Di una cosa era certo.
Era la sua vita: piena di casini e incongruenze, ma lui respirava, toccava, si muoveva, viveva.
Qualsiasi fosse stato il motivo, i suoi genitori gli avevano fornito una possibilità.
E lui era intenzionato ad afferrarla a piene mani.
Tornò nel salotto, percorrendo il breve corridoio che separava le due stanze. Scese i due gradini che lo separavano dall'ingresso e recuperò il cellulare.
Rilesse il messaggio, chiuse gli occhi, raccogliendo i pensieri, per poi decidersi a rispondere.
"No. In verità... ho deciso di fare ciò che voglio davvero"
Come se l'altra persona non avesse fatto altro che attenderlo, subito gli inviò un nuovo messaggio.
"E cos'è che vuoi?" Gli scrisse.
"Essere me stesso"
"Pensi di essere riuscito a comprenderti?"
"Non lo so ancora. Però... so che io sono così. Giusto? Sbagliato? Non ne ho idea. Le persone vivono vite diverse dalla mia.
A me piace conoscere gente nuova, osservarli chiusi dentro le loro sicurezze, rubare i loro segreti. Forse perché io, per primo, sono una persona insicura di sé.
Attacco bottone subito, con tutti. Sempre in cerca di stimoli. Non cerco qualcosa di stabile proprio per questo motivo, sono troppo curioso.
O, forse, ho solo paura, fuggo da me stesso."
"Di cosa hai paura?"
"Del quadro generale... penso. Di quello ch'è la mia vita, così come mi si presenta ogni notte, quando spengo le voci degli altri e rimango da solo con me"
"Sono sicura... che ti sbagli"
"Riguardo a cosa?"
"Quello che resta quando sei solo tu, Paolo. Non è qualcosa da cui devi fuggire. Quando sei solo tu... sei bello. Dolce. Sensibile. Pieno di infinite sfumature."
"Sono solo un ragazzino viziato, senza arte né parte. Solo. Senza una prospettiva di vita..."
"Ce l'hai, invece, diversa da quella degli altri. Tua"
"E se fosse sbagliata?"
"E se non lo fosse?"
"Non ci starei così male"
"Altro errore. Se fosse sbagliata, sarebbe semplice: senza importanza. Invece, è quella giusta, per questo stai male, perché sai già dove ti porterà e, come hai scritto poco fa, ti fa paura. Stai crescendo. Hai scelto la tua strada"
"Ci vedremo ancora? Mi mancherai, sai?"
"Tu mi manchi già, ragazzino. Ma non montarti la testa. Trovati un lavoro come si deve! Pretendo di ricevere un volo gratis ogni mese, per venire a romperti la minchia ovunque sarai! E ti voglio qui ogni estate!"
Paolo percepì quelle parole sciogliere il nodo che gli si era serrato in gola. Sorrise, asciugandosi una lacrima ribelle, scappata dall'angolo dell'occhio destro.
"Sei una stronza, Rosy. Manipolatrice e approfittatrice"
"Parli e scrivi troppo bene l'italiano, non mi piace 'sta cosa"
"Solo perché tu non parli e scrivi altrettanto bene in inglese"
"Ragazzino! Ripeto: non montarti la testa! E ricordati il mio biglietto! Ti do un mese per ambientarti a fanculo, lì dove deciderai di mettere radici!"
"Tranquilla. Appena mi sistemo, scendo io. Devo pure farmi perdonare da mia sorella. C'è rimasta male che mi sia perso il suo compleanno, quindi scenderò presto."
"Sorella... eh?"
"Mio padre ha intenzione di adottarla, ma io la sento già parte di me. Ho sempre desiderato non essere figlio unico. Lei mi sta dando questa possibilità, non sarò di certo io a dire di no"
"E Luther?"
"Non è stato felice che mi tirassi indietro con il lavoro, pensava che fosse per ripicca nei suoi confronti. Gli ho spiegato che non è così. So quanto ama mio padre, quindi... va bene"
"E tua madre?"
"Domanda di riserva? Ma poi... cos'è questo terzo grado?!"
"Non lo dire a Paolo... ma sono preoccupata per lui"
Il giovane rimase colpito da quelle parole; si commosse, mentre la vista si appannava un po'.
"Ti voglio bene, Rosy"
"Anch'io... ti aspetto, ragazzino!"
Paolo sorrise ancora una volta, ma decise di concludere quella loro conversazione.
Era contento che Rosalia fosse rimasta sua amica, nonostante avesse preso la decisione di non tornare, per il momento, a Palermo.
Gli sarebbero mancati tutti, ma la ragazza aveva ragione, Fausto aveva ragione: aveva già scelto la sua strada.
Afferrò dal basso tavolino, posto davanti al divano, il foglio che aveva stampato quella mattina.
Si guardò intorno.
Vide l'ora sul cellulare: le ore undici post meridiem; un'altra giornata stava per concludersi.
Non aveva affatto sonno, ma l'indomani sarebbe partito nuovamente. Perciò, decise di mettere ordine, preparandosi a lasciare quel posto, forse, per sempre.
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