32

Ancora una volta in aeroporto, di nuovo in viaggio.

Paolo sospirò, alzando gli occhi al soffitto di vetro, oltre il quale si intravedeva un cielo cupo e scuro.

La grande sala ristoro era piena di passeggeri, carichi di bagagli, in attesa di imbarcarsi verso le proprie mete.

L'aria era satura di odori di cibo, profumi che impregnavano vestiti, disinfettante, ma tutto sembrava pesante, diveniva presto nauseante all'interno di un ambiente che era sì, enorme, ma, decisamente, sovraffollato.

-Tutto bene?- gli domandò Tyler, sedendosi al suo fianco.
Il giovane allungò le braccia davanti a sé, senza rispondere, per poi lasciarle cadere lungo i fianchi. Lo vide avvicinare il bagaglio a mano alle gambe, per poi sollevarle e poggiarle su.

Anche lui stava per lasciare Londra: a differenza di Scott e Christine, il suo amico aveva deciso di interrompere anticipatamente quella vacanza, e aveva implorato i genitori di riportarlo a Brighton.

Emma e Jason, i genitori di Tyler, erano rimasti frastornati dalla supplica del figlio, ma avevano deciso di accontentarlo.

Così, si trovavano tutte e quattro lì, in attesa dei voli che li avrebbero allontanati, forse, per sempre.

Era quello che rendeva tetro l'umore del giovane. Pensava che non fosse giusto, che non ci fosse un valido motivo per cui si sarebbero dovuti dire addio.

Aveva compreso i sentimenti dell'altro, ma non riusciva ad accettarli: la lontananza li avrebbe potuti aiutare a tornare amici, senza bisogno di tranciare di netto il loro rapporto.

L'idea di separarsi da lui per sempre, gli serrava un nodo in gola, facendolo sentire impotente e sbagliato.

Si strinse nelle spalle prima di rispondergli:
-Ho sentito mio padre. Stanno organizzando una serata per Vittoria. Spero che il mio volo non porti molto ritardo-
-Il tempo è instabile, ma sono sicuro che arriverai in tempo. Però... non era a questo che mi riferivo-

Paolo sollevò lo sguardo su Emma e Jason, seduti di fronte a loro, sulla fila di sedili speculari a quelli che occupavano i due giovani.
L'uomo stava leggendo una rivista, mentre l'altra giocherellava con il cellulare e ogni tanto si portava una ciocca di capelli dietro l'orecchio, senza mai alzare gli occhi dall'apparecchio che stringeva tra le mani.

Gli parve evidente che stessero entrambi sull'attenti: stavano origliando la loro conversazione. Magari, nonostante non l'avessero espresso a voce, stavano ancora lì alla ricerca di un motivo, qualcosa che spiegasse loro lo strano comportamento del figlio.

Avevano intuito qualcosa?

Il giovane dubitava che avrebbero potuto avvicinarsi alla verità, ed era grato di quello: non voleva che qualcun altro si immischiasse in quella faccenda, né tanto meno che gli rovesciasse addosso ulteriori accuse.

Sua madre non era stata lieta della sua decisione. Lui era fuggito da ogni ulteriore confronto con Raquel, ma lei aveva tentato sino all'ultimo di trattenerlo con sé.
Per fortuna, Fausto non si era tirato indietro neanche quella volta e, di nuovo, aveva messo mano al portafoglio, per soddisfare le necessità del figlio, senza battere ciglio.

Paradossalmente, ciò che era accaduto in quei tre giorni, era anche quello che più lo infastidiva: si sentiva in difetto, come se si stesse comportando da ragazzino viziato con il padre, che tutto pretendeva e tutto otteneva con uno schiocco di dita, senza meriti né sforzi.

Dall'altra parte, le parole di Raquel l'avevano umiliato, fatto sentire sporco e ingiusto, anche in riflesso della situazione di Fausto, come se la propria bisessualità, potesse, in qualche modo, recare al genitore ulteriore danno.

Come se non potesse avere ragione, trovarsi nel giusto per nessun motivo, a prescindere.

Si stava approfittando di suo padre?

Sua madre aveva detto il vero?

Si sentiva così confuso da percepire la testa come in procinto di esplodergli.

-Non mi va di parlarne- mormorò alla fine, distogliendo gli occhi dai genitori del suo amico.

-Mi accompagni a prendere qualcosa da mangiare?- gli propose l'altro poco dopo.

"No!" Avrebbe voluto urlargli. Non voleva restare da solo con lui, non voleva rispondere alle sue domande dirette; né privarsi di una buona scusa per evitare di vomitargli addosso tutta la sua confusione.

Confusione di cui Tyler faceva parte.

Se non voleva più avere a che fare con lui, perché continuare su quella strada?

Eppure, si alzò lo stesso dalla sedia, l'amico fece altrettanto, lasciando i loro bagagli in custodia ai suoi genitori.

Fecero pochi passi in direzione di un fast food, prima che l'altro gli stringesse una mano nella propria.

Paolo trasalì, ma non rifiutò quel contatto. Si sentiva un po' masochista a non voler rinunciare a quei preziosi, ultimi minuti con lui, quando sapeva quanto male gli avrebbe fatto il dopo.

Poco prima di giungere a destinazione, Tyler lo strattonò verso di sé: prese a correre verso il corridoio che conduceva all'interno dei bagni dell'aeroporto.

Il giovane lo seguì senza riuscire a capire cosa stesse succedendo, lo guardò stranito, mentre si fermavano di colpo poco dopo l'ingresso, ponendosi in coda dietro diverse persone.

-Devi andare in bagno?- gli domandò, aggrottando la fronte. L'amico gli lanciò uno sguardo fugace, di sottecchi, arrossendo. Lo vide scuotere la testa, prima che iniziasse a spingerlo verso il disimpegno che ospitava diversi lavabi.

La rientranza era abbastanza spaziosa, formava una specie di elle, rendendo la parte interna poco visibile dal corridoio d'ingresso. Vi erano un paio di persone intente a lavarsi le mani, altre ad asciugarle sotto i phon.

Le superarono e svoltarono a sinistra, trovando altri lavandini, ma non c'era nessuno lì, tutti, apparentemente, si fermavano a quelli più vicini al corridoio.

Tyler sospirò, guardandosi intorno, spaesato e con le gote sempre più rosse.

-Voglio parlare con te- sussurrò, senza riuscire a guardarlo negli occhi.

Paolo trasse un profondo respiro, sciogliendo la stretta delle loro mani. Incrociò le braccia sul petto, fissando il riflesso dell'altro sullo specchio affisso al muro alla loro sinistra.

Possedeva una bellezza delicata, non femminea, ma di quelle che passano inosservate al primo sguardo. Aveva i capelli scuri, così come lo erano gli occhi, lineamenti pochi marcati, ma armoniosi. Aveva il tipico aspetto da bravo ragazzo, quello che tutti si augurano di avere come vicino di casa, amico.

Silenzioso, timido, di buon cuore.

Perché aveva impiegato tutto quel tempo per capirlo?

Scosse la testa e gli si fece vicino. Gli strinse il mento tra le dita, obbligandolo ad alzare il viso verso di lui.

Gli occhi di Tyler sembrarono tremare e Paolo sentì il cuore stringersi in una morsa dolorosa: vide le sue labbra schiudersi, pronte ad articolare qualche parola.

Lo zittì sul nascere, lo baciò disperatamente, aggrappandosi a lui, lo strinse forte contro di sé, percependo la necessità di sentirlo, di toccarlo; respirare il suo profumo; riempirsi i ricordi di quel momento.

Le labbra dell'altro si mossero contro le sue, assecondandolo, mentre le braccia rimanevano immobili, rigide lungo i fianchi, strette all'interno dell'abbraccio di Paolo.

Tyler sentì la lingua dell'altro scivolare dentro la sua bocca, accarezzarla sensuale, rendendo quel contatto ancora più intimo e carnale.
Gli morse il labbro inferiore più volte, per poi succhiargli quello superiore e ritornare dentro la sua bocca, come se non fosse ancora sazio, sempre più bramoso.

Qualcuno tossì ed entrambi sussultarono, allontanandosi di colpo.
Si voltarono verso la provenienza di quel richiamo imbarazzato, trovando Jason.
-Hanno chiamato il nostro volo, Ty. Dobbiamo andare- disse.

Suo figlio annuì piano, mentre i suoi occhi sembravano spegnersi.
I due ragazzi non si dissero altro, non si salutarono neppure.
Paolo si allontanò di un paio di passi, lasciando che l'amico raggiungesse il padre e li vide sparire poco dopo.

Uscì dai bagni e li guardò da lontano, mentre raccattavano le loro cose. Emma accarezzò una guancia del figlio, alzò gli occhi in direzione dell'altro e rimase un attimo a fissarlo, incerta sul da farsi.

Il giovane mosse un passo verso di loro e la donna abbassò lo sguardo, prese Tyler sotto braccio ed entrambi seguirono Jason verso il gate.

Paolo continuò a puntare gli occhi sulla nuca del ragazzo, finché non scomparvero del tutto alla sua vista. Tornò a sedersi, vicino al suo bagaglio, in attesa che chiamassero anche lui.

Il cellulare prese a vibrargli nella tasca qualche istante dopo, spezzando quell'atmosfera carica di tensione e tristezza. L'aeroporto tornò un luogo caotico, i suoni gli riempirono le orecchie, rendendogli chiaro quanto quell'addio l'avesse estraniato, temporaneamente, dalla realtà.

-Pronto?- rispose, e dovette schiarirsi la voce un paio di volte, per renderla chiara, per renderla udibile oltre il frastuono che lo circondava.
-Paolo? Tutto bene?- gli domandò suo padre ed il giovane scosse la testa.

Sapeva che l'uomo non poteva vederlo, ma non fu in grado di aprire bocca: era certo che, se si fosse azzardato a farlo, non avrebbe più saputo trattenersi.

Desiderava che tutto tornasse alla normalità, che tutto divenisse presto "passato", di modo da riprendere in mano la sua vita e andare avanti.

-Papà... - mormorò dopo qualche secondo di silenzio.
-Dimmi- lo esortò l'uomo, con tono dolce.
-Credi che io sia un cattivo figlio?-
-No, amore. Credo che tu, in questo momento, sia una persona ferita. Non un figlio, un amico o chissà che altro. Penso che tu sia solo Paolo... un po' a pezzi-
-Cosa posso fare per rimettere tutto insieme?-

-Tu hai già le tue risposte. Sii un po' egoista, amore. Non pensare a me e a nessun altro. Non commettere il mio stesso errore.

Io ho fatto di tutto per dimostrare a chi amavo, quanto potessi annullarmi, pur di andare incontro alle loro esigenze. Mi sono precluso di vivere per anni e quando sono esploso, quando ho cercato di rendere la mia vita a mia misura, ho sbagliato lo stesso.

Hai la possibilità di evitare tutto ciò: io ti amo, non hai nulla da dimostrarmi. Sbaglia pure, ma non tagliarti le ali per far contenti gli altri. Qualcuno che avrà qualcosa da ridire sulle tue scelte, lo troverai sempre. Non perdere tempo ad accontentare tutti, accontenta soltanto te. Segui il tuo cuore, Paolo, fallo senza esitazione-

Il giovane sentì gli occhi inumidirsi. Deglutì ancora.
-Papà... credo di aver bisogno di un ultimo favore-

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