27
Premessa: altro capitolo dove diamo per scontato che i protagonisti parlino in inglese.
Sciolti i nodi con suo padre e i ragazzi, Paolo si rese conto che la sua vita stava prendendo una piega sempre più precisa, indirizzandolo verso una strada che, a dirla tutta, gli piaceva anche parecchio.
Non gli interessava del fatto che Luther fosse un uomo, se suo padre era felice della propria relazione, di certo il giovane lo avrebbe sostenuto, aiutato e ne avrebbe goduto di ogni piccolo, grande vantaggio: a cominciare da quello più grande di tutti... Vittoria. Avrebbe avuto una "sorellina", e questo lo esaltava e lo portava a sorridere spesso senza alcuna ragione evidente.
In pratica, stava incominciando a dare un'immagine di sé non proprio da persona sana di mente, stando a sorridere al nulla ogni tre per due, con la mente piena di quella gioiosa novità; ma la cosa non lo impensieriva affatto.
Il sesso lo aveva aiutato ad abbattere le difese emotive di Rosalia e li aveva uniti come mai si sarebbe aspettato. La confidenza che si era instaurata all'interno della loro comitiva, a chiunque si trovasse all'esterno del loro piccolo mondo, sarebbe di certo apparsa prematura ed esagerata, ma i cinque amici avevano affrontato così tanto in così poco tempo, da avere come la sensazione di essersi lasciati alle spalle ogni incertezza riguardo i sentimenti che li univano.
Non aveva importanza il tempo effettivo, erano riusciti ad arrivare molto oltre quel limite, e avevano imparato a leggersi tramite sguardi e gesti, come se parlassero una lingua totalmente sconosciuta al resto del mondo.
Aveva incontrato tante persone durante quella settimana trascorsa nel capoluogo siciliano, ma sentiva di non averne ancora abbastanza. In quei pochi giorni era riuscito a creare, distruggere, rimettere insieme i pezzi di un qualcosa che si era rivestito presto di un'importanza che mai gli avrebbe attribuito a priori.
Eppure... stava tutto lì intorno a lui, e non aveva alcuna intenzione di lasciarlo andare.
Però, aveva ancora un nodo da sciogliere e non poteva, affatto, farlo per via telefonica. Per tale motivo, seppur a malincuore, Paolo si trovava nuovamente in viaggio, questa volta diretto verso la città in cui era nato.
Non aveva detto a nessuno di quella sua decisone, eccezion fatta per suo padre, perché sentiva che, ciò che lo aspettava a Londra, era una cosa che riguarda soltanto lui e... sua madre.
Giunse all'aeroporto di Heathrow verso l'ora di pranzo e si sentì sopraffatto dal caos che imperversava all'interno della grande struttura.
Vi erano persone di ogni genere intente a correre a destra e a manca nel tentativo di recuperare i propri bagagli, di raccapezzarsi tra le tante tabelle indicative, di comprendere i suggerimenti vocali trasmessi dagli altoparlanti, di arrivare in tempo al gate prima che chiudesse.
Non vi aveva mai fatto caso prima di allora: ovunque c'erano persone che camminavano velocemente a testa china chiedendo scusa per ogni minimo sfioramento accidentale con estranei.
Il che era abbastanza assurdo data la presenza spropositata di persone che, quasi, impedivano il proseguire verso la propria strada senza urtare qualcuno per sbaglio.
Paolo si sentì quasi sopraffatto da tutte quelle voci che parlavano inglese, fu come sentirsi immergere all'interno di una vasca piena di acqua calda: tutti quei suoni a lui tanto familiari gli erano mancati, e se ne rese conto proprio mentre le sue orecchie sembravano rilassarsi, accogliendo quel fiume di parole con piacere.
Iniziò a mordersi l'interno di una guancia, e uscì dall'aeroporto indispettito dalle emozioni che stava provando.
Aveva deciso, si sarebbe trasferito in Sicilia... allora, perché stava provando quel senso di appartenenza così prepotente?
Si sentiva come se si fosse staccato da una parte di sé senza neanche accorgersene, sino a quel momento: messo piede fuori dall'aeroporto, sentì i polmoni riempirsi di quell'aria mite; un leggero alito di vento gli solleticava la pelle facendolo rabbrividire e, alzando gli occhi verso l'alto, si sentì rincuorato nello scorgere quella porzione di cielo che appariva meno accecante, di un celeste-grigio intervallato da soffici nuvole.
Era agosto anche in quel di Heathrow, ma sembrava che lì l'estate stesse già cedendo il passo all'autunno.
Eppure...
Prese un taxi e mentre il conducente guidava il mezzo verso l'indirizzo di Londra che il giovane gli aveva fornito, Paolo si concesse di chiudere gli occhi, spegnere i pensieri, poggiando la fronte contro il finestrino, rimandando ogni risposta a quando avrebbe avuto possibilità di chiarirsi anche con sua madre.
Sapeva, dalle informazioni carpite da suo padre, che Raquel si era trasferita a vivere nel suo albergo, lo stesso di cui era direttrice e proprietaria da una decina d'anni, e che sorgeva nei pressi del Tower of London.
Aveva lasciato la loro casetta di periferia per immergersi nel caos cittadino, e Paolo dubitava che sua madre fosse impazzita di colpo: credeva, piuttosto, che avesse deciso di lasciare la casa che aveva condiviso con Fausto per tanti anni, ritagliandosi uno spazio tutto suo all'interno di un luogo che, da sempre, apparteneva soltanto a lei.
"Forse... sarà più facile anche per me" pensò, e trasse un profondo sospiro nel sentire l'automobile fermarsi e l'autista spegnere il motore.
Dopo circa un'ora di viaggio, erano giunti a destinazione.
Paolo aprì gli occhi e scese dall'auto. L'albergo di Raquel era un edificio che si elevava su sei piani, circondato da un rigoglioso giardino e, più in là, da grandi edifici moderni. Le pareti esterne, interamente rivestite di mattoni scuri, erano impreziosite da eleganti finestre che emulavano nelle forme delle bifore gotiche.
Il viale d'ingresso era abbellito da cespugli di rose intervallati da lanterne in ferro battuto, all'interno delle quali erano poste delle lampadine che emulavano nella forma delle sinuose fiammelle.
I grandi alberi che sorgevano nel giardino sembravano racchiudere la struttura in un abbraccio, celando diverse porzioni del prospetto, restituendo un'immagine incompleta del tutto.
A Paolo sembrò che quel luogo cercasse di nascondersi alla vista, un po' come stava facendo Raquel che lì si era rifugiata.
La porta d'ingresso si aprì proprio mentre il tassista poggiava sul marciapiede il borsone del ragazzo, e si congedava da lui dopo aver intascato il suo compenso.
Paolo sospirò ancora una volta senza riuscire a staccare gli occhi di dosso da sua madre, mentre quella procedeva lentamente nella sua direzione.
Ben presto, la distanza che li separava si esaurì, e il giovane si trovò così vicino a lei tanto da sentire chiaramente il profumo della sua pelle.
Non riusciva a muovere un muscolo, come se si fosse pietrificato nell'incontrare lo sguardo di Raquel: era carico di una consapevolezza profonda che non ammetteva smentite. Sua madre era arrabbiata, ma appariva anche rassegnata. Nonostante ciò, il giovane avrebbe scommesso nella volontà della donna di non cedere tanto facilmente su suo figlio.
-Ciao...- balbettò e sua madre incrociò le braccia sul petto, sollevando un sopracciglio e assumendo un'espressione scettica.
-Un solo borsone? Credevo che fossi partito con due valigie- esordì senza ricambiare il saluto del figlio.
Paolo si strinse nelle spalle evidentemente imbarazzato.
Abbassò gli occhi sulla ghiaia bianca del viale, prima di decidersi a risponderle:
-Sono venuto per parlare con te-
-Per salutarmi e darmi il ben servito- tuonò sua madre, facendolo rabbrividire.
Il ragazzo scosse la testa, ma sapeva che Raquel non avrebbe preso bene quella sua decisione di trasferirsi in un altro Stato con suo padre, perciò si fece forza e si convinse ad affrontare quella situazione a testa alta, smettendo, una volta per tutte, di nascondersi dietro il suo essere tanto giovane e perciò giustificabile, esente da ogni responsabilità.
-Volevo solo chiarire...-
-Non c'è nulla da chiarire- lo interruppe Raquel: -Hai fatto la tua scelta. Andrai a vivere con tuo padre, no? Sarà divertente quando ti presenterà il suo amante- concluse, marcando la voce sulla parola "suo".
Paolo aggrottò la fronte: pensava che non ne fosse ancora a conoscenza? Perché rivelargli in quel momento, e in quel modo, della relazione di Fausto? Cosa sperava di ottenere con i suoi giochetti?
-Lavorerò per Luther e Samuel nella loro azienda, con papà-
-Grandioso! Ti sei fatto comprare- disse sprezzante Raquel, e Paolo sentì la pelle del viso come irrigidirsi, mentre le guance iniziavano a scaldarsi, e la calma cedeva il passo a un principio di irritazione.
Riprese a mordersi l'interno di una guancia, cercando di elaborare parole che potessero aiutarlo a far valere le sue decisioni senza offendere sua madre.
Non voleva ferirla, ma non le avrebbe concesso la possibilità di fare di lui il suo burattino contro Fausto; esattamente per lo stesso motivo per cui aveva difeso lei andando contro sua nonna, lo stesso avrebbe fatto per suo padre.
-Sono stato io a chiedere a Luther di poter lavorare con loro. Desidero diventare indipendente e trasferirmi in Sicilia-
Raquel assimilò quelle parole: divenne pallida, le pupille degli occhi le si dilatarono un po', mentre un leggero tremore le scuoteva le spalle.
Strinse le labbra in una linea sottile, ma alla fine cedette e il suo viso sembrò sgretolarsi mentre gli occhi le si riempivano di lacrime.
-Così... anche tu sceglierei lui anziché me- mormorò chinando il capo, e nascondendo il viso dietro le palme delle mani.
Paolo sentì il suo cuore perdere un battito e le si avvicinò di slancio, circondadole le spalle con un abbraccio.
Sua madre era sempre stata minuta e bassina, ma in quel momento le parve ancora più piccola di quanto ricordasse, delicata come un fiore di cristallo, sempre pronta a ferire chiunque le si avvicinasse, ma estremamente fragile.
Raquel poggiò una guancia su una delle spalle del figlio, e strinse in una mano la stoffa della t-shirt che lui indossava, stringendo così tanto la presa da farsi sbiancare le nocche.
-So che non posso competere con tutto ciò che loro hanno da offrirti. So dell'esistenza della figlioletta di Luther, e ho cercato di metterti contro tuo padre prima ancora che tu arrivassi a scoprire tutto questo, perché sapevo di non avere grandi vantaggi contro di loro.-
-Ma tu sei mia madre! Avrei sempre un vantaggio su Luther e tutto ciò che potrebbe offrirmi: sta con mio padre, ma per me rimane un estraneo...- disse il ragazzo, ma si interruppe nelle sue considerazioni ricordandosi di quanto quelle fossero poco vicine alla realtà: dopotutto, aveva già iniziato a considerare Vittoria come una sorella minore.
Sua madre aveva ragione? Si stava lasciando sedurre da un'idea di famiglia tranquilla, senza litigi, dove lui non era figlio unico, solo e preso in mezzo ai casini dei suoi genitori?
-Sono contenta di sentirtelo dire- disse Raquel, sollevando il volto a incontrare gli occhi del figlio. Gli poggiò affettuosamente una mano su di una guancia e gli sorrise.
Paolo deglutì un paio di volte, sentendo il suo cuore iniziare a battere più velocemente.
-Mi darai una possibilità? Che ne diresti di passare i prossimi giorni con me?- gli domandò e il ragazzo si sentì preso in trappola.
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