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Paolo si trovò a fissare la propria attenzione oltre ciò che riusciva a scorgere al di là del finestrino dell'automobile in cui si trovava: suo padre era giunto all'albergo di Luther una ventina di minuti prima come un mezzo uragano, aveva salutato velocemente Samuele Baker e la piccola Vittoria, scambiato un paio di occhiatacce con Luther, prelevato il figlio quasi con forza per condurlo fuori di lì.

Dal momento stesso in cui erano saliti sull'auto a noleggio con la quale suo padre era arrivato da loro, Fausto non aveva proferito mezza parola e si era limitato a caricare il figlio neanche fosse un pacco postale.

Ovviamente, Paolo era furioso con lui: si sentiva quasi come se fosse stato rapito e senza un valido motivo. Più rifletteva su tutto il casino in cui si era ritrovato catapultato, più non poteva fare a meno di attribuire colpe a suo padre, sentendosi quasi sdradicato dall'unico luogo in cui si fosse sentito davvero al sicuro in quei giorni a Palermo.

Probabilmente, era paradossale, ma più il ragazzo rifletteva su ciò che stava vivendo, più si convinceva di aver avuto un unico appiglio in tutta quella storia: una sola persona gli era stata vicina senza doppi fini... o quantomeno, senza porsi degli obiettivi mirati a ledere la sua persona. Luther, sicuramente, si era comportato in modo egoistico con lui così come avevano fatto Rosalia e Maria, così come stavano continuando a fare i suoi genitori. A sentire Samuel, tutto ciò che Luther aveva fatto, era stato programmato per il fine ultimo di conquistarsi il giovane figlio dell'uomo che amava.

E Paolo non riusciva a trovarvi nulla di male in tutto questo: Luther aveva tentato di conquistarsi la sua fiducia, la sua simpatia, di entrare nella sua vita, forse in modo poco delicato, ma l'aveva fatto con l'intenzione di essere accettato da lui. L'aveva posto al centro dei suoi obiettivi in modo totalmente diverso da tutti coloro con cui il ragazzo aveva avuto a che fare nell'ultima settimana.

Era stato un capriccio per le due sorelle.

Una buona notte di sesso per Marco e Vincenzo.

Un giocattolino da tiranneggiare per Kevin.

Un'arma di vendetta per sua madre.

Una cosa totalmente insignificante per suo padre: altrimenti... non avrebbe fatto di tutto per tagliarlo fuori dalla sua vita.

Luther, a modo suo, gli era stato vicino, l'aveva aiutato a non smarrirsi del tutto... o almeno, così interpretava il suo comportamento. Era da prendere in considerazione anche il fatto che, se non avesse agito in quel modo, difficilmente sarebbe potuto entrare nel cuore del ragazzo: anche lui aveva tessuto le sue trame alle spalle di Paolo per poter ottenere qualcosa... ma rimaneva l'unico qualcosa che non feriva il ragazzo. 

-Hai intenzione di tenermi il broncio ancora per molto?- gli domandò suo padre dopo un po' e Paolo percepì la rabbia scaldargli le guance e fargli accellerare i battiti del cuore. 

"Davvero si aspetta che lo perdoni senza battere ciglio? Davvero pensa di essere esente da ogni colpa?" Pensò e dovette deglutire più volte mentre quei pensieri sembrarono rendergli la bocca asciutta e la lingua incapace di articolare qualsiasi parola. Cos'era? Una specie di meccanismo di difesa nei confronti della sua stessa persona? Se avesse parlato, suo padre sarebbe stato in grado di rigirare la situazione a suo favore facendolo sentire in colpa per come stava reagendo?

Probabilmente, sì.

Dopotutto, ripensandoci, si poteva anche affermare che, per tutta la vita del ragazzo, suo padre non avesse fatto altro che agire seguendo quella strada per ottenere da lui tutto ciò che desiderava, consapevole dell'amore smisurato del figlio nei propri confronti. 

E la rabbia di Paolo sembrò farsi sempre più ruggente.

-Dove stiamo andando?- domandò e sentì suo padre sospirare. Rivolse un'occhiata furtiva nella sua direzione, trovandolo rigido al posto di guida, tanto da rendere bianche le nocche delle mani che teneva strette intorno al volante.

-Dai nonni- rispose suo padre con un tono di voce che sembrò svuotarsi di colpo di ogni emozione.

Paolo sentì lo stupore sovrastare ogni altra cosa:
-I genitori di mamma sono qui?- chiese e suo padre si lasciò scappare una mezza risata.
-Stiamo andando dai miei genitori- rispose suo padre e Paolo si ritrovò ad aggrottare la fronte.

-Pensavo che...- mormorò, ma non riuscì a completare la frase. Suo padre rimase in silenzio qualche secondo prima di decidersi a rispondergli:
-Sono vivi. So che ti ho fatto credere che non lo fossero o, quantomeno, tu avrai dedotto ciò dalle parole allusive che ho usato quelle rare volte in cui ti ho parlato di loro in tutti questi anni. In realtà... non ho nessun rapporto con loro da quando ho sposato tua madre, ma so che sono ancora vivi e vegeti-

-Perché?- chiese il ragazzo stupito e lo stupore riuscì a tenere a bada per un po' quella vocina maligna che non faceva altro che rinfacciargli: "Tuo padre ti ha mentito ancora, ed ancora su di una cosa troppo importante per meritare di essere perdonato".

Suo padre si concesse l'ennesimo sospiro:
-Perché... non accettarono il mio matrimonio con tua madre: la incontrarono una sola volta e, quell'unico incontro, bastò loro per crearsi un'idea di Raquel molto distante dalla persona ch'è nella realtà. Erano convinti che fosse un'arrampicatrice sociale, che mi stesse sposando solo per soldi o per chissà quale curiosità perversa.-

-In che senso?- 
-Nel senso che... erano convinti, dato che tua madre era già all'epoca, per i loro standard, una donna moderna e fuori dagli schemi, che fosse interessata a qualche perversa... oddio, non so neanche come spiegartelo senza mancare di rispetto a tua madre ed a te-
-Mi sembra un po' tardi per tu porti di certi problemi- ribatté Paolo e notò suo padre impallidire. 

Fausto scosse la testa e lasciò cadere l'argomento decidendo di concludere velocemente quella discussione:
-A loro non piaceva, non volevano che la sposassi: l'ho sposata, mi sono trasferito in pianta stabile in Inghilterra ed... abbiamo interrotto ogni genere di contatto-

-Come fai a sapere che sono vivi?- gli domandò Paolo riportando la propria attenzione fuori dal finestrino: le sporadiche abitazioni scorrevano veloci su entrambi i lati della strada intervallati da vaste zone non edificate, verdi e fitte di vegetazione. Sullo sfondo si scorgeva la linea sottile del mare, di un azzurro intenso, sovrastata dal cielo privo di nuvole. Un isolotto si scorgeva in lontananza: ricordava vagamente la forma di un Brontosauro, con il massiccio corpo a pelo dell'acqua ed il lungo collo a sorreggere la piccola testa rivolta verso il cielo.

-Sono rimasto in contatto con qualcuno in paese. Mi fornisce informazioni sul loro conto... nonostante tutto, non ho potuto fare a meno di preoccuparmi per i miei genitori in tutti questi anni. Ma mi sono dovuto limitare a farlo da lontano-

-Quindi, adesso stiamo andando da loro... perché?- domandò Paolo percependo il proprio tono di voce annoiato e come distante da tutta quella situazione, come se, qualsiasi cosa potesse dire suo padre, avesse ormai perso ogni valore.

-Perché voglio che tu capisca per quale motivo non ho mai avuto il coraggio di dirvi la verità- sussurrò suo padre:
-Ah... quindi, loro sono la "buona" scusa a tutte le tue bugie- ribattè il ragazzo. 

Fausto non rispose alla provocazione del figlio: uscì dall'autostrada ed iniziò a percorrere una strada statale che li condusse tra le stradine poco trafficate della periferia di un paese.

I profili bassi delle case, i colori caldi dei prospetti, gli alberi che abbellivano i marciapiedi crescendo rigogliosi all'interno di piccole aiuole recintate.
Non appena iniziarono a vagare per quelle strade, una strana sensazione gli invase il petto: era indescrivibile, ma non faceva altro che formare nella sua mente parole come mare, caldo, sole.

Sembrava che il tempo si fosse dilatato, che fosse divenuto un lento oziare: intravide dei ragazzi in tenuta da spiaggia dirigersi da qualche parte privi del passo frenetico dei cittadini. C'erano parecchie persone anziane sedute davanti l'uscio di casa a chiacchierare amabilmente con i vicini.

Percorsero un largo stradone che terminava in una strada meno larga e senza uscita e che fungeva da belvedere sul porto del paese.

Paolo scese dall'auto seguendo il padre e rimanendo incantato su quella che sembrava una terrazza aperta sul mare: enormi alberi di fichi crescevano sul versante roccioso che sembrava mettere in comunione il belvedere con la sottostante banchina del porto.
Le larghe foglie degli alberi parevano incorniciare il paesaggio. Le abitazioni di pochi piani che si affacciavano sulla stradina, avevano tutte colori luminosi, ma su cui spiccavano molti prospetti bianchi dalle porte e le balaustre dei balconcini e le cornici delle finestre dipinti di un verde brillante.

-Se ci fosse un po' più di blu anziché verde, direi che mi hai teletrasportato a Santorini- sussurrò Paolo e suo padre si sbottonò la giacca del completo e poggiò gli avambracci sul tettuccio dell'auto.

-Che fine ha fatto il mio stalker?- gli domandò poco dopo e Fausto si lasciò andare ad una breve risata.
-Ho saputo ch'è stato poco professionale con te...-
-L'hai licenziato? Sono libero di andare dove voglio senza che tu lo sappia?- gli domandò sarcastico alzando gli occhi al cielo.

Fausto si strinse nelle spalle:
-Sì. Lo sei sempre stato. Ma rimani comunque mio figlio: mi scoccia ammetterlo, ma a Londra sono diventato qualcuno, quel tipo di qualcuno che corre rischi a causa del suo nome e, tra gli altri, anche quello di vedere invischiata la propria famiglia in cose che non la riguardano come se fosse un'arma da ritorcermi contro. Sono diventato un qualcuno che i miei genitori, tra gli altri, non avrebbero mai immaginato. In realtà... non credo siano capaci di farlo, va molto oltre la loro possibilità di pensiero...-
-Li stai dipingendo come due tra i peggiori ignoranti al mondo- lo interruppe suo figlio.

Fausto tornò a stringersi nelle spalle:
-Sono uno tra gli uomini più influenti al mondo: lo dicono le statistiche, i tabloid e chissà che altro... non io. Lavoro per Luther e Samuel perché, quello che ho, mi è più che sufficiente...-
-E perché stai con Luther- lo interruppe nuovamente Paolo.

L'uomo strinse le labbra in una linea sottile, si guardò intorno con fare circospetto, dopodiché riprese a parlare abbandonando l'italiano in favore dell'inglese:
-Sono quello che sono grazie alle mie sole forze e perché sono scappato da qui alla tua età. Nonostante tutto, sì, per i tuoi nonni non sarà mai abbastanza perché sono così schifosamente chiusi mentalmente che sarebbero in grado di non attribuire alcun valore a tutto questo solo perché sono... gay-

Paolo sussultò a quell'ultima parola sentendo le gote infiammarsi:
-Sei stato con la mamma...- mormorò e vide suo padre rivolgergli uno strano sorriso:
-Tu ti sei divertito in giro per la città o sbaglio?- ribatté ed il ragazzo aggrottò la fronte:
-Io non ho promesso amore eterno a qualcuno che non avrei mai potuto amare per davvero-
-Neanch'io- disse Fausto ed il suo sorriso si spense di colpo.

Paolo avrebbe voluto chiedergli cosa intendesse dire, ma suo padre prese a fissare un punto imprecisato alle spalle del ragazzo e questi si voltò per cercare di capire cosa avesse visto da turbarlo tanto profondamente.

Vide un'anziana signora alle loro spalle, sull'uscio di una delle casette basse  bianche e verdi, intenta a fissare entrambi con espressione scettica: era robusta, con un grosso seno, i capelli corti e ricci, un ampio grembiule a fasciarle la pancia. Era bassina, senza un filo di trucco nel viso dai lineamenti delicati, ma resi meno tesi a causa delle tante rughe che le arricchivano il volto. Teneva le mani strette in due pugni contro i fianchi mentre scrutava i due. Posò gli occhi chiari su Paolo:
-Fausto?- domandò ancora più incredula sgranando appena gli occhi.

Il padre di Paolo si fece avanti con un sorriso tirato e poggiò una mano su una delle spalle del figlio tornando a parlare nuovamente in italiano:
-Ciao, mamma-

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