20

-Allora?- domandò Paolo e sentì un leggero tremore iniziare a scuotergli le mani: era nudo, si sentiva vulnerabile, la sua pelle odorava ancora di sesso, eppure...

-Non volevo procurarti strani pensieri- mormorò Mery afferrando un asciugamano per coprirsi alla meno peggio. Chiuse il rubinetto della doccia mentre Paolo posava la fotografia sul ripiano del lavandino ed indossava nuovamente il suo costume da bagno, le infradito e recuperava il cellulare dal pavimento riponendolo in una delle grandi tasche che si aprivano lateralmente all'altezza delle cosce.

Tutta l'intimità che li aveva legati l'uno all'altra e che li aveva avvicinati azzerando ogni timore, era sparita di colpo.

Mery prese a torturarsi una ciocca dei suoi lunghi capelli e si sedette sulla tavolozza del water.

-Potevi essere sincera, questo, sicuramente, mi avrebbe evitato "strani pensieri". Vi siete prese gioco di me- ribatté il ragazzo.

Mery aggrottò la fronte e strinse la ciocca di capelli tra le mani, rivolgendo lo sguardo verso un punto imprecisato oltre una delle spalle di Paolo:
-Se ti avessi detto che siamo sorelle, non mi avresti seguito-

Paolo scosse la testa allibito ed il tremore alle mani prese a spandersi nel resto del suo corpo ricoprendogli la pelle di brividi:
-È uno scherzo?- domandò allibito: -Non vi somigliate per niente!-

-Oh beh- sbuffò Mery alzandosi e dirigendosi con passo deciso nel corridoio. Accese la luce e si fermò a pochi passi dall'arco che separava l'ambiente con il salone sul quale si affacciava l'ingresso.

Paolo la raggiunse ed osservò il contenuto della cornice che la ragazza stava indicando con un dito: all'interno della fotografia erano ritratte cinque persone, due adulti e tre giovani.

Riconobbe immediatamente le due ragazze, così come aveva fatto poco prima con i loro volti di bambine e, per la prima volta, vide anche il volto del fratello di Rosalia e Mery, l'unico di cui la mora gli aveva rilevato l'esistenza prima di quella notte. A differenza delle due sorelle, sembrava possedere qualcosa nei suoi lineamenti in grado di renderlo l'anello di congiunzione tra le due: aveva i capelli biondi e ricci, gli occhi scuri, le labbra carnose. Era alto e magrolino, nonostante le spalle ampie, ed aveva un'espressione torva molto simile a quella che spesso trovava dipinta sul viso di Rosy.

Osservando i due adulti al loro fianco, comprese perché le due sorelle non si assomigliassero tanto: Mery era identica a sua madre così come Rosalia sembrava essere una riproduzione al femminile del padre, cosa che il giovane aveva già potuto appurare durante il loro incontro al commissariato di polizia.

-Adesso, hai capito?- gli domandò la ragazza e Paolo si ritrovò a mordersi l'interno della guancia nella speranza di impedire al proprio istinto di prendere il sopravvento e mettersi ad urlare.

-Ho fatto sesso con due sorelle- sussurrò ed a Mery sembrò di percepire il furore di quelle parole come strisciarle sulla pelle:
-Molti giovani della tua età ne sarebbero entusiasti- balbettò la ragazza arrossendo.

Paolo le rivolse uno sguardo colmo d'odio:
-Vi siete prese gioco di me. Io non sono come gli altri...- incominciò col dire prima che, i suoi tentativi di mitigare il proprio tono di voce, andassero a farsi benedire: -... e voi due mi avete trattato come un cazzo di bambolotto! Mi avete rotto i coglioni, tu!, Rosalia! Ed il vostro modo malato di vivere il sesso!- urlò.

Lo sguardo di Mery si fece duro:
-Ti professi tanto aperto mentalmente, ma solo perché siamo donne a cui piace divertirsi, stai reagendo come un qualsiasi schifoso misogino!-
-Non dare del misogino a me! Tu... voi!, non sapete un cazzo di me! E non ci trovo nulla di divertente nel prendersi gioco delle persone! Avreste dovuto dirmelo, avreste dovuto darmi la possibilità di decidere!- urlò ancora il giovane, sentendo le vene del collo gonfiarsi per lo sforzo e la gola iniziare a bruciare.

Si sentiva tradito ed usato. Un giocattolino con cui entrambe le sorelle si erano divertite.

Ma... ciò che più lo spaventava era ben altro e lo sapeva: avevano ottenuto ciò che volevano. Adesso... cosa ne sarebbe stato di lui?

L'avrebbero scaricato?

E se per una volta... fosse stato lui a dire di "no"?

-Andate a farvi fottere da qualcun altro. Io non voglio più avere a che fare con nessuno di voi!- disse e non diede tempo all'altra di ribattere: la spinse malamente di lato superandola ed uscendo di corsa da quella casa.

Si ritrovò davanti al cancello e lo scavalcò per poi continuare a correre senza una meta precisa.

Ancora una volta stava scappando e, davvero, non ne poteva più di tutta quella situazione.

Aveva diciannove anni, era estate, si trovava in una città nuova, avrebbe dovuto pensare solo a divertirsi... ed invece, si ritrovava coinvolto all'interno di drammi assurdi ed insensati che stavano lì a riempirgli la testa di pensieri che, un giovane della sua età, non avrebbe neanche dovuto prendere in considerazione.

O forse sì?

Si bloccò di colpo trovandosi all'interno di un ampio parcheggio aperto, delimitato da diversi rettangoli blu disegnati sull'asfalto. C'erano diverse automobili posteggiate, una piazzola spartitraffico con un paio di alberelli rinsecchiti piantati a pochi centimetri di distanza l'uno dall'altro all'interno di piccole aiuole quadrate, un paio di lampioni ad illuminare fiocamente la zona e grandi mura bianche di alcune palazzine a pochi piani che si affacciavano sul parcheggio, chiudendone l'ingresso per ben due lati.

Alzò gli occhi al cielo trovandolo immenso, sconfinato, stracolmo di una bellezza quasi commovente, così lontano ed inarrivabile.

Si lasciò cadere sul marciapiede della piazzola spartitraffico con gambe e braccia aperte e gli occhi pieni della meraviglia sopra di lui. Il fiato corto, gli arti inferiori doloranti e la testa stracolma di pensieri confusi.

Non era più un ragazzino, di questo era certo. Si stava comportando come se lo fosse? La ragione apparteneva agli altri? Cosa stava sbagliando?

Scosse la testa.

Di una cosa era certo: non aveva la più pallida idea di dove si trovasse.

Se avesse fatto un gesto, Gabriele sarebbe saltato fuori dal nulla riportandolo da suo padre? Era riuscito a seminarlo?

Non credeva... anzi, probabilmente, stava nascosto da qualche parte ad osservarlo. Ma lui non aveva intenzione di tornare da suo padre.

Chi avrebbe potuto contattare?

Ripescò il cellulare dalla tasca del costume da bagno e fissò qualche secondo lo schermo rendendosi conto di aver lasciato il resto delle sue cose nello zaino che aveva dimenticato a casa di Mery: il telo da mare non gli apparteneva; la t-shirt... oh beh, non gliene fregava granché.
Ciò che gli fece alzare gli occhi al cielo con fare stizzito, fu rendersi conto di aver lasciato dentro lo zaino il suo portafoglio con soldi e documenti.

Avrebbe dovuto contattare nuovamente le due sorelle per farselo restituire.

Sentì gli occhi riempirsi di lacrime: non voleva rivederle, voleva scappare... allontanarsi da quella città, dalla sua stessa vita e dimenticare quei giorni d'inferno.

Si trovava a Palermo da meno di una settimana e con il cuore a pezzi... non avrebbe potuto sopportare altri nove giorni come quelli che si era appena lasciato alle spalle.

Sbuffò nuovamente e tornò a mordersi l'interno di una guancia: c'era solo una persona che, in tutto quel casino, non aveva tentato di bastonarlo emotivamente o di trasformandolo in una specie di sex-toy...

Recuperò il numero dalla rubrica e premette il tasto di chiamata pregando che l'altro rispondesse prima che a lui passasse il coraggio di chiedergli aiuto.

Ma non si fece aspettare e, nonostante l'ora tarda, rispose subito dopo il primo squillo:
-Paolo... che succede?-
-Ho bisogno di aiuto... Luther, per favore, vienimi a prendere-

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top