17
L'incontro di quella mattina aveva, senza ombra di dubbio, contribuito ancor di più a minare la tranquillità emotiva di Paolo: il ragazzo si sentiva come travolto dalla sua stessa esistenza e temeva di stare per annegare in quel caos che lo vedeva protagonista, senza che egli si sentisse in grado anche solo di provare ad annaspare nel tentativo di rimanere a galla.
Se avesse potuto, avrebbe preferito di gran lunga tagliare ogni cosa di netto, lasciarsi tutto alle spalle e scomparire dalla circolazione.
Non gli sarebbe neanche importato se gli altri si sarebbero creati un'immagine di lui poco piacevole, dipingendolo come un codardo.
Sarebbe stato molto meglio di quel martellante mal di testa che lo accompagnava ormai da un po' e di quella terribile sensazione di stare precipitando sempre più.
Non si sentiva più sicuro di nulla: ogni punto di riferimento all'interno della sua vita si era o si stava sbriciolando e credeva che non volesse più la pena di struggersi e cercare di cambiare le cose.
Lottare... ma per chi? Per cosa?
Sembrava che tutti, intorno a lui, avessero già deciso, finito per lasciarlo sullo sfondo senza più prestare attenzione al ragazzo ed ai suoi sentimenti. Se non importava agli altri, perché sarebbe dovuto importare a lui? Perché stava ancora lì a rimuginare allontanandosi sempre più dalla sua tranquillità mentale?
Il ragazzo sospirò e si strinse le ginocchia al petto.
Sentiva freddo, la temperatura sembrava essersi abbassata di colpo: il caldo afoso e soffocante che li aveva tormentati per tutto il pomeriggio, aveva lasciato il passo alla brezza marina, tanto frizzantina e leggera da ricoprirgli la pelle di evidenti brividi.
-Copriti- disse Rosalia lanciandogli una felpa: -Di notte fa feddro a mare e tu sei ancora scombussolato da ieri- aggiunse sedendosi al suo fianco sul telo da mare.
Paolo scosse appena un po' la testa, infastidito dall'intrusione della ragazza nei suoi pensieri: tutto gli dava fastidio, tutto lo faceva incazzare.
-Perché mi hai voluto qui?- le domandò a bruciapelo e Rosy sgranò gli occhi stupita dalla rabbia dell'altro che, a suo parere, era stata manifestata senza giusta causa:
-Perché ti avevo promesso che ti avrei fatto vedere anche questo e perché desideravo che tu fossi con noi. Che razza di domanda è? Perché sei così arrabbiato?-
-Se fosse davvero così, non mi ritroverei solo in mezzo a decine di sconosciuti- disse, riferendosi alla quantità di amici dei ragazzi che si erano radunati con loro per trascorrere insieme la notte di Ferragosto.
-Non ti ho lasciato solo, Paolo... ma che stai dicendo?- domandò la ragazza, sempre più allibita e l'altro si scrollò la felpa di dosso e si alzò incominciando a camminare sul bagnasciuga senza una meta precisa.
Si aspettava che Rosalia lo seguisse?
Sì.
Desiderava che insistesse chiedendogli spiegazioni sul suo strano comportamento fornendogli una scusa per sfogarsi con lei?
Sì.
Perché non dirglielo direttamente?
Perché si stava legando tanto a loro? Perché quelle pseudo-scenate di gelosia? Cosa pretendeva da quei quattro? Che incominciassero ad allontanare gli amici di sempre per fare spazio a lui, per concentrare più attenzioni su di lui che sugli altri?
Perché stava diventando così possessivo quando non aveva nulla da poter pretendere da loro?
Paolo si strinse nelle spalle e procedette a testa china, mentre l'acqua del mare, di tanto in tanto sospinta da una flebile onda, si infrangeva su i suoi piedi rendendo ancora più gelida la sua pelle e suscitandogli puntualmente dei brividi che lo facevano tremare.
Rosalia non lo aveva seguito: era rimasta con la sua comitiva infischiandosene di lui.
Era presuntuoso ed assurdo pretendere che mollasse tutti lì, compreso il suo ragazzo, e si mettesse ad inseguire lui?
Probabilmente, sì.
Era pur sempre un'estranea e se lo avevano scaricato i suoi genitori, non vedeva per quale motivo non dovesse farlo lei.
Sicuramente, quello che le aveva detto poco prima, l'aveva fatta incazzare con lui.
A quel pensiero i suoi occhi si riempirono di lacrime e cercò di scacciare via l'inquietudine lasciando che la rabbia diventasse come una fiamma sempre più vibrante e bollente nel suo petto: sperava che incendiasse e bruciasse ogni cosa, lasciando solo cenere intorno a sé.
A quel punto, sarebbe bastato un alito di vento e tutto avrebbe smesso di fare così male.
Continuò a camminare per un bel po' finché, gettando occhiate furtive alle sue spalle, non si rese conto di aver ridotto i ragazzi con cui si trovava lì, a dei puntini colorati lambiti dalle tenebre, con ombre lunghe e nette a rendere i loro volti quasi inquietanti, nonostante l'aria di festa e la baldoria che facevano e che gli giungeva ancora alle orecchie, ma mitigata dalla lontananza e dal vento, rendendola un sottofondo ovattato.
Paolo si sedette sulla sabbia, abbastanza distante dalla riva da impedire, alle piccole onde del mare, di continuare a torturargli i piedi gelidi e resi quasi insensibili dal freddo.
Probabilmente, tutto quel freddo era dovuto alla sua pelle ch'era divenuta talmente bollente durante le ore antecedenti al tramonto del sole, da fargli temere di essersi ustionato un po'.
O magari era la sua rabbia ad incrementare il calore corporeo rendendogli ancora più insopportabile l'aria notturna.
Continuò per un po' ad osservare i ragazzi lontani da lui: anche loro, probabilmente, si erano lasciati a casa dei casini più o meno grandi; sicuramente esistevano situazioni più complesse di quelle che lui stava vivendo... ma non riusciva lo stesso a trovare forza in tale certezza.
Si vergognava un po' per la sua debolezza, ma aveva ormai capito che faceva parte di lui. Era una persona fragile e la solitudine in cui si stava ritrovando, non lo aiutava di certo.
Le fiamme del falò* che i ragazzi avevano acceso con dei legni che si erano portati lì da chissà dove, nei pressi del punto in cui avevano preso posto sulla spiaggia con i loro teli, sembrava si stessero sempre più alzando verso il cielo ed il fumo si sollevava in sbuffi impalpabili che si andavano confondendo con la notte.
Non erano molti i falò sulla spiaggia, ma poco alla volta ne spuntavano di nuovi, rendendo l'aria più calda e colorata, tanto da riportargli alla mente la luce pallida e le ombre suggestive dei quadri del Caravaggio.
E pensare all'artista lombardo lo fece sussultare e scosse la testa davanti l'ennesima passione che condivideva con suo padre, l'ennesima che, probabilmente, lo stesso genitore aveva instillato in lui lasciandogli dentro un pezzetto di sé, come a rendere il figlio una riproduzione di se stesso nelle piccole e grandi cose della vita.
Era forse per quel motivo che la situazione gli faceva tanto male?
Non lo sapeva e non era neanche sicuro di volerlo sapere.
Sentì una presenza alle spalle, ma non ci fece caso: pochi passi più indietro rispetto dove lui aveva preso posto, aveva intravisto nell'oscurità delle persone, quindi, pensò si trattasse di uno di loro, magari di qualcuno che si stava avvicinando alla riva, qualche temerario pronto a farsi un bagno.
Cosa che, tra l'altro, Rosalia gli aveva detto fosse di rito ed a mezzanotte precisa: si sarebbero tutti dovuti tuffare in mare.
Probabilmente, lo avrebbero fatto senza di lui: non aveva intenzione di tornare da loro.
Percepì chiaramente dei movimenti al suo fianco e qualcuno si sedette sulla sabbia a pochi centimetri di distanza da lui. Paolo sussultò e si voltò nella direzione del nuovo arrivato.
Sgranò appena gli occhi scorrendo con lo sguardo su i suoi abiti assolutamente fuori luogo: la giacca dal taglio severo, la camicia chiara, i pantaloni dalla piega impeccabile e le lucide scarpe scure.
Suo padre si scoprì gli avambracci spingendo giacca e camicia con forza sino ad arrotolarle entrambe intorno ai gomiti. Scese a mezz'asta il nodo della cravatta e si riavviò i capelli scuri con una carezza frettolosa:
-Allora, era vero... mi avete messo qualcuno alle calcagna- mormorò il ragazzo sbalordito e Fausto si lasciò scappare una mezza risata, senza contraccambiare lo sguardo del figlio.
-Anche se fosse?- gli domandò e Paolo si alzò da terra furioso, pronto ad andarsene, ma suo padre gli afferrò una mano e lo trattenne tirandolo un po' verso di sé: -Siediti, per favore-
Il ragazzo avrebbe voluto urlargli di "no", anche di andare a farsi fottere, probabilmente, ma rimase sconvolto nel vedere l'uomo in piedi alle loro spalle: anche lui dannatamente fuori luogo con quel suo completo elegante e le gambe leggermente divaricate, le mani strette l'una sull'altra davanti il cavallo dei pantaloni nella tipica posizione da guardia del corpo.
E se già questo non lo avesse fatto incazzare, sicuramente non avrebbe avuto modo di sfuggire all'ira nel riconoscere, anche alla flebile luce di luna, stelle e falò, il volto di Gabriele... sempre che quello fosse davvero il suo nome, il ragazzo dell'aereo: quindi, lo aveva fatto pedinare sin dal principio.
Gli lanciò un'occhiataccia e l'altro gli sorrise strizzando l'occhio sinistro: gli venne una voglia irrefrenabile di testare l'autocontrollo del padre e rivelargli che, il tizio che gli aveva messo alle calcagna per seguirlo, l'aveva anche baciato.
Suo padre strinse ancora di più la sua mano e Paolo, frastornato dalla situazione, si sedette docile al suo fianco.
-Cosa vuoi?- sbottò senza riuscire a trattenersi.
Fausto sospirò nel vedere l'astio nel volto del figlio totalmente rivolto nei suoi confronti. Notò come stesse rannicchiato su stesso cercando di non toccarlo, stringendosi le ginocchia al petto.
Tese le braccia alle proprie spalle poggiando le mani sulla sabbia, riempiendole di miliardi di granelli freschi che sfregavano contro i palmi e le dita: alzò il viso al cielo, un manto nero e violaceo trapuntato di stelle e qualche sporadica nuvola appena visibile.
-Tua madre ti ha detto perché ci siamo lasciati?- gli domandò poco dopo:
-Almeno, qualcuno ha cercato di essere sincero con me-
-Non hai pensato che io non volessi mentirti, ma che non fossi ancora pronto a rivelarti ciò che sta accadendo nella mia vita?- gli domandò pacatamente Fausto.
-Non lo so, può darsi. Anzi, sicuramente hai ragione-
-Sicuramente?-
-Certo- Fausto aggrottò la fronte:
-Mi stai dando un "contentino"?- gli domandò leggermente irritato:
-No. Sono obiettivo- le rughe sulla fronte dell'uomo si fecero più profonde:
-In base a cosa? Se davvero fosse così, non saresti così arrabbiato con me-
-Mi devo solo abituare, poi mi passa-
-Abituare a cosa, Paolo? Di che stai parlando?- gli domandò suo padre chinandosi verso di lui e poggiandogli una mano su di una spalla mitigando quella sensazione di freddo che sembrava si stesse sempre più allargando nel petto del ragazzo, cercando di divorarlo dall'interno.
-A questo. Ad essere questo Paolo-
-E come sarebbe questo Paolo?- gli domandò incredulo il padre: davvero, non riusciva a capire cosa suo figlio intendesse dire con quelle parole. Quando aveva smesso di capirlo con un solo sguardo? Quando erano diventati così distanti ed estranei?
-È un Paolo... diverso. Uno con cui tutti parlano, cercano di sedurre e di portarsi a letto. Con cui dividere una birra e qualche stronzata. Uno così, con cui puoi essere te stesso senza paura di essere giudicato e tenerlo per un po' al proprio fianco. Uno di cui ci si stanca presto e si abbandona senza troppa difficoltà. Uno per cui non vale la pena perdere tempo... penso- mormorò il ragazzo sentendo un nodo stringergli la gola.
Suo padre lasciò ricadere la mano interrompendo il loro contatto ed anche quell'effimero calore venne meno.
Paolo si rese conto di sentirsi ancora più diverso di quanto immaginasse: non era solo una questione d'incapacità a tenere in piedi una relazione romantica monogama. Non era solo una questione di "sesso libero".
Non era fatto per gli altri: genitori, amici che fossero. Si sentiva come se non potesse davvero intrecciare un qualsiasi tipo di legame con qualcuno: tutti finivano per preferirgli qualcos'altro, qualcun altro, come se lui fosse solo di passaggio nelle loro vite.
-Perché dici così, Paolo? Io e tua madre...-
-Mamma ha smesso di telefonarmi e mandarmi messaggi da quando le ho detto che non avevo intenzione di fartela pagare come lei desiderava. Tu ti stai costruendo una nuova vita, una nuova famiglia qui, ed anche se mi hai messo alle calcagna il tizio lì dietro... resta di fatto che sei stato chiaro. Non mi vuoi nella tua vita... adesso, certo. Magari... domani non ti vorrò io.- concluse la sua frase e si alzò.
Desiderava scappare da lì, ma non aveva dove andare in costume da bagno, a quell'ora così tarda, a piedi nudi per le strade di una città che non conosceva bene.
Ma era sicuro di non voler più stare al fianco di suo padre:
-Per la cronaca. Il tuo amico si è preoccupato più di te per ciò ch'è successo ieri notte. Sono sicuro che sei qui solo perché te l'ha suggerito Luther. Questo conferma quello che ho già detto e non ho bisogno di tutte queste complicazioni assurde, se poi non mi vuoi con te-
-Paolo...- lo richiamò suo padre, ma il ragazzo scosse la testa, vide Gabriele guardarlo in modo strano e provò una forte vergogna nel comprendere di non aver tenuto conto di aver reso testimone delle sue parole, l'ennesimo sconosciuto.
Fausto allungò una mano nella sua direzione, ma il ragazzo se la scrollò di dosso iniziando a correre in direzione di Rosalia e gli altri, senza avere voglia di voltarsi indietro.
*NdA: È proibito, da un paio di anni, accendere fuochi sulle spiagge siciliane. Lo so! Ma era così suggestivo... e mi ha suscitato così tanti ricordi... che ho finito per modellare un po' la realtà in base alle mie esigenze narrative. Perdonatemi!
Anche se ci sta... suvvia... è una storia inventata, dopotutto!
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