16
L'acqua scivolava sulla sua pelle come una confortante, calda, carezza.
Il vapore aveva reso l'aria un po' pesante ed appannato lo specchio sopra il lavandino.
Paolo chiuse l'acqua della doccia e poggiò la fronte contro le mattonelle che ricoprivano buona parte della parete.
Rimase immobile per qualche secondo, godendosi il contrasto termico tra la sua pelle bollente ed il freddo sconvolgente delle mattonelle.
La sua mente vagò velocemente ripercorrendo gli avvenimenti degli ultimi giorni: esageratamente pochi a fronte di tutti i casini in cui si era trovato coinvolto.
Era, forse, arrivato il momento di tagliare i ponti con Rosalia e la sua comitiva? O stava cercando di scrollarsi di dosso le proprie responsabilità erigendo ad unico colpevole chiunque al di fuori di se stesso?
Colpevole... di cosa?
Erano giovani, pieni di voglia di fare, vita: non si poteva pretendere che tutto fosse sempre facile e perfetto come se si ritrovassero attori intenti ad interpretare un film.
Il mondo era pieno di persone, ogni più piccola interconnessione era in grado di scatenare imprevisti: era da arroganti pensare che tutto dovesse andare verso un'unica strada, quella prefissa dalla mente di un unico individuo, senza tenere conto di tutto ciò che li circondava, che faceva loro da sfondo... alle volte, mettendo il bastone tra le ruote.
Aveva deciso di restare a vivere nel capoluogo siciliano... per davvero?
Non ne era sicuro.
Rosalia e Kevin... cosa si aspettavano da lui? Cosa stavano cercando di ottenere dal giovane inglese? Stavano davvero cercando di ottenere qualcosa?
Ed i suoi genitori? Come avrebbe dovuto collocarli all'interno di tutta quella situazione?
Paolo scosse la testa. Uscì dalla doccia e si avvolse nel candido e bianco accappatoio fornito dall'albergo. Frizionò i capelli con un asciugamano e passò una mano sullo specchio.
L'occhio sinistro sembrava già essersi sgonfiato un po', anche se era ancora evidentemente livido; il labbro era un po' gonfio ed arrossato ed il cerotto che vi avevano applicato a tutela dei punti di sutura, spiccava sul suo viso concentrando l'attenzione in quel punto preciso.
Paolo sospirò e tolse l'accappatoio iniziando a rivestirsi con gesti meccanici: era stanco. I suoi amici lo avevano invitato a festeggiare il Ferragosto con loro quella sera stessa, ma lui si sentiva a pezzi, ancora scombussolato a causa della notte insonne appena trascorsa. Come facessero, loro, a pensare di poter passare un'altra notte svegli a fare baldoria... proprio non riusciva a capirlo.
E c'erano i "servizi sociali" che anche lui avrebbe dovuto fare: Rosalia gli aveva confidato che non si trattava di una vera e propria punizione a livello legale. Nessun giudice aveva decretato che avrebbero dovuto svolgere dei lavori socialmente utili per espiare la loro parte di colpe per la rissa che li aveva visti coinvolti.
In vero, si trattava di una punizione del tutto "famigliare" ideata dal padre di Rosalia per lei ed i suoi fratelli già durante la loro infanzia: combinavano qualche marachella? Li metteva a pulire le panchine delle villetta sotto casa.
Un brutto voto a scuola? E li obbligava a pulire il loro appartamento da cima a fondo.
Litigavano con qualcuno? Qualcosa da fare gliela trovava sempre, sia che fosse utile solo per se stesso che per l'intera comunità.
E, nel tempo, la situazione era mutata soltanto nella mole di lavoro che, il genitore, finiva per caricare addosso ai suoi figli... e chi si rendeva complice dei loro casini.
In quel caso specifico, Paolo compreso, ovviamente.
Il ragazzo afferrò il phon, ma non riuscì neanche ad accenderlo poiché sentì qualcuno bussare violentemente contro la porta della sua stanza.
Aggrottò la fronte, poggiò il piccolo elettrodomestico sul mobiletto di fianco al lavandino, e si precipitò ad aprire la porta.
-Buongiorno...- mormorò poco dopo, oltremodo stupito di trovarsi sull'uscio... Luther: -Come mai è qui?- gli domandò e l'altro sgranò appena gli occhi soffermandosi a guardare le zone lese del viso del giovane.
-Cosa è successo?- gli domandò entrando dentro la sua stanza senza neanche attendere un invito a farlo.
-Ehm...- Paolo cercò di dare un senso a quella visita improvvisa, di riunire nella sua mente delle parole che fossero esaustive e non allarmanti, ma era stanco, sentiva il corpo intorpidito e rigido come un mattone, perciò finì per raccontare al suo ospite gli avvenimenti della notte prima in modo conciso e sbrigativo, senza curarsi di eventuali riscontri emotivi.
-Cosa?!- tuonò Luther sconvolto e si avvicinò a lui stringendogli le mani intorno alle spalle: -Come stai adesso? La polizia ha arrestato quel tizio?- gli domandò scrollandolo un po'.
Paolo non riuscì a comprendere la reazione apparentemente tanto sentita dell'uomo ed aggrottò la fronte:
-La situazione si è conclusa in modo amichevole- rispose evasivo liberandosi dalla presa dell'altro: -Perché lei è qui?- gli domandò subito dopo, aumentando la distanza tra di loro allontanandosi dall'uomo di qualche passo.
Si sentiva come... violato. Che ci faceva lì, Luther? Perché si sentiva autorizzato ad una tale confidenza con lui?
-Ho saputo ch'era successo qualcosa. Mi sono preoccupato e ho deciso di venire direttamente qui per comprendere cosa stava accadendo- rispose l'uomo e le rughe sulla fronte di Paolo si fecero più profonde.
Si strinse le braccia con le mani percependo un brivido scuoterlo nel profondo:
-Come ha fatto a sapere che ero nei casini?- gli domandò e l'altro si limitò a fissarlo negli occhi senza rispondere.
Rimasero a contemplarsi per un po' prima che il silenzio venisse interrotto dalla suoneria del cellulare di Luther.
-Scusami- disse e gli voltò le spalle rispondendo alla telefonata ed intraprendendo una conversazione in inglese con qualcuno.
Paolo osservò la nuca, i capelli, le spalle dell'uomo davanti a lui ed ebbe come una sensazione di dejavù.
Tentò più volte di ripetere la stessa carezza di sguardi sull'altro cercando di capire cosa il suo cervello avesse intravisto, ma lui non era riuscito ad afferrare, ed ogni volta provava quella piccola fitta: un pensiero microscopico tra gli altri che scivolava via prima ancora di prendere forma e fare chiarezza nella sua mente.
Luther concluse la sua telefonata e tornò a voltarsi nella direzione del ragazzo:
-Mi fai pedinare da qualcuno?- gli domandò Paolo a bruciapelo passando dal "lei" al "tu" di colpo.
L'uomo sgranò appena gli occhi scuri prima di celare le proprie emozioni dietro una maschera di inespressività:
-Non mi permetterei mai di fare una cosa del genere- rispose:
-Allora, come fai a sapere di ieri notte?-
Luther rimase qualche secondo in silenzio e, nonostante i suoi sforzi, Paolo riuscì lo stesso a veder scorrere una miriade di emozioni all'interno dei suoi occhi: probabilmente, era molto meno arrogante di quanto volesse lasciare intendere.
-Me l'ha detto tuo padre- confessò, infine, l'uomo ed i pensieri di Paolo si spensero di colpo. Sentì gli occhi riempirsi di lacrime, ma ricacciò indietro il nodo che gli si era stretto in gola deglutendo più volte. Batté le palpebre ripetutamente finché non sentì gli occhi nuovamente liberi da quella spiacevole intrusione:
-Perché ha mandato te?- gli domandò.
Luther sospirò e si sedette sul divanetto posto sotto la finestra poco distante dal letto che campeggiava al centro della stanza.
Si passò la mano sinistra tra i capelli, finendo per sorreggere la fronte con la stessa mano, mentre poggiava il gomito sul ginocchio. Rimase a testa china mentre riprendeva a parlare:
-Tuo padre non mi ha mandato da te. Mi ha soltanto detto di aver ricevuto, da te, l'ennesimo messaggio e, da ciò che avevi scritto, ha dedotto che fossi nei guai. Non mi ha detto cosa gli hai scritto né perché ne fosse tanto sicuro del suo contenuto celato- alzò gli occhi sul ragazzo stringendosi le mani l'una con l'altra: -Dato che sono qui... ho pensato di venire a vedere come stavi- concluse e Paolo sentì la necessità di sedersi a sua volta.
Finì per lasciarsi ricadere al centro del letto distendendosi sulla schiena e portò istintivamente un braccio a coprire parte del suo viso:
-È qui?- domandò, ma il punto di domanda era così flebile da rendere le sue parole più vicine ad un'affermazione che ad una vera e propria domanda.
-Sì- rispose Luther.
-Credevo arrivasse la settimana prossima-
-Si è rivelato necessario un cambio di programma a causa dei nostri affari-
-Mia madre lo sa?-
-Non penso, tuo padre ha passato questa settimana in un albergo a Londra-
Paolo sapeva di avere gli occhi resi umidi dalle lacrime, la pelle del suo stesso braccio non era stata sufficiente ad asciugarle per bene, ma cercò lo stesso il viso dell'altro per tentare di comprendere cosa gli stesse sfuggendo di tutta quella situazione, fregandosene di come potesse apparire ai suoi occhi:
-Come fai a saperlo?- gli domandò.
-Tuo padre sta attraversando un periodo difficile. Ci conosciamo da diversi anni e siamo diventati molto amici nel tempo. Ha aiutato me e Samuel a rendere la nostra azienda un impero economico. Aiutarlo nel momento del bisogno, è stata una cosa instintiva-
-Non ha problemi di soldi...?-
-No. I problemi di tuo padre sono legati a ben altre cose- Paolo si alzò a sedere sul letto:
-Me- disse con un sorriso amaro, fuggendo dallo sguardo dell'uomo:
-Sì, ma non come pensi tu-
-C'è poco da pensare. È tutto molto chiaro- ribatté il ragazzo con improvvisa rabbia a rendere più roca la sua voce.
Luther scosse la testa:
-Non hai idea di ciò che sta accadendo...-
-Benissimo!- urlò Paolo alzandosi dal letto per fronteggiare l'uomo: -Perché diavolo nessuno vuole dirmi che sta succedendo? Perché tu sei qui? Perché mio padre non è qui anche se ha capito che ero nei guai?-
L'uomo si alzò a sua volta e si avvicinò a Paolo: il ragazzo fece un passo indietro, ma Luther non demorse e continuò ad avanzare verso di lui con fare sicuro.
Il giovane prese a tremare e l'altro se ne accorse: allungò una mano nella sua direzione mentre Paolo sgranava gli occhi, e lo attirò a sé per stringerlo tra le braccia.
Paolo era troppo stupito e sconvolto da quella situazione per protestare o cercare di sciogliere il loro abbraccio, anzi: finì per ricambiarlo stringendo tra le mani la stoffa della giacca che l'uomo indossava, nascondendo il viso sul suo petto, chiudendo gli occhi e sentendo il suo respiro riempirsi del profumo di Luther.
Un profumo rassicurante, intenso, che gli ricordava quello di Fausto, e finì per dargli quasi l'illusione di essere stretto tra le braccia di suo padre.
-Non piangere, tesoro. Vedrai che tutto si risolverà- gli sussurrò dolcemente in un orecchio e Paolo sussultò non comprendendo come avessero potuto, quelle semplici parole, divenire una dolcissima carezza e calmare, così, il suo animo in subbuglio...
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