12

Paolo si rigirò il cellulare tra le mani ancora una volta prima di sbloccare la schermata, recuperare la rubrica, scorrerla alla ricerca del numero e cliccare il tasto di chiamata.

Sentì il cuore balzargli in gola e la pelle ricoprirsi di brividi di tensione. Percepì il primo squillo propagarsi dal cellulare al suo orecchio ed il cuore iniziò a battergli frenetico nel petto.

Fu sul punto di interrompere la telefonata quando, prima del secondo squillo, sentì il suono inconfondibile di qualcuno che si schiariva la voce per rispondergli:

-Good morning, Morgan and Baker Motor Company. I'm Charity. How can I help you?-*

Paolo sussultò, ma si fermò poco prima di chiudere la chiamata. Trasse un lungo sospiro ed iniziò a parlare con Charity nel tentativo di fissare un appuntamento con il responsabile delle assunzioni dell'azienda.

-I'm sorry, but at the moment we're not looking for new employees to join the company-

-And for the Sicily branch?- ribatté Paolo stranito e sentì chiara l'esitanzione da parte della donna che, dopo avergli detto di non avere idea di come fosse riuscito ad essere a conoscenza dell'apertura di un nuovo polo lavorativo da parte dell'azienda in Sicilia, gli disse che non avevano ancora aperto le candidature per le assunzioni per la nuova sede.

E stava quasi per concludere la loro telefonata, probabilmente perché, pensava Paolo, magari l'aveva scambiato per qualche giornalista che voleva far saltare la segretezza della cosa prima dell'annuncio ufficiale da parte dell'azienda, finché... non le riferì di essere il figlio di Fausto Greco.

E fu così che Paolo si ritrovò con un appuntamento direttamente con Luther Henry Morgan della Morgan and Baker Motor Company, l'azienda presso la quale lavorava suo padre.

"Appuntamento", in realtà, era una parola grossa: Charity, dopo averlo fatto attendere qualche minuto, gli disse di recarsi presso un albergo di Palermo che si trovava persino nelle vicinanze di quello in cui alloggiava il ragazzo e dove, forse, avrebbe trovato il signor Morgan, lì nell'albergo in cui risiedeva da un po' e dove riceveva i suoi ospiti per sciogliere gli ultimi nodi burocratici per l'apertura della filiale siciliana della loro azienda.

Il ragazzo si prese di coraggio e prima che questo si esaurisse impedendogli di portare a termine quella sua "geniale" trovata, indossò una camicia scura sopra un paio di jeans, i più  "seriosi" che riuscì a trovare nel fondo della sua valigia, indossò le scarpe da tennis nere cercando di darsi un aspetto che fosse più casual che da straccione.

Infilò la camicia nei pantaloni e chiuse i bottoni sino all'ultimo sul collo. Fece un giro davanti lo specchio... e si sentì un imbecille.

Cercò di scendere ad un compromesso e si passò una mano tra i capelli che aveva precedentemente costretto in una pettinatura piuttosto rigida e li scompigliò sulla fronte lasciando che qualche ciocca gli sfiorasse le ciglia degli occhi.

Sembrava esattamente quello che era: un dannato e ricco figlio di papà.

Paolo iniziò a mordersi l'interno della guancia: in realtà, suo padre sembrava non volere avere più a che fare con lui, però... lui aveva deciso e da Palermo non si sarebbe schiodato solo per fargli un favore.

O forse... aveva intenzione di rimanere lì ad ogni costo proprio per via di suo padre? Non ne aveva idea, ma sapeva di essere testardo, ormai aveva deciso e nulla, neanche sua madre, gli avrebbe potuto far cambiare idea a riguardo.

Così, inserì l'indirizzo che gli aveva dato Charity su Maps ed uscì dal suo albergo recandosi in quello in cui si trovava ospite il signor Morgan.

Ovviamente, avrebbe potuto tirarsi a lucido direttamente con una lucidatrice, ma questo non avrebbe potuto modificare il caldo che imperversava per strada rendendo l'aria intorno a lui come una cappa di fuoco a soffocare ogni respiro, lasciando che la sua pelle si ricoprisse di sudore.

Sentì le ascelle iniziare a pezzarsi e si maledì mentalmente per non essersi portato da Londra una giacca... ma, non era previsto che avrebbe avuto un appuntamento di quel genere.

Sospirò e decise per l'ennesimo compromesso: si arrotolò le maniche della camicia sino ai gomiti e sganciò i primi due bottoni liberando il collo nel tentativo di reprimere un po' quella sensazione di caldo soffocante.

Giunse a destinazione dopo pochi minuti e l'albergo in cui risiedeva il signor Morgan, lo stupì: era piccolo, con una facciata poco curata e fatta di mattoni grezzi e resi scuri dallo smog. Un paio di palme agonizzavano all'ingresso mollemente ripiegate su di un lato. Nascosta in parte da una delle due palme, stava, affissa alla parete, una targhetta color bronzo su cui era stato inciso il nome dell'albergo.

Paolo controllò un paio di volte e si assicurò di trovarsi nel posto giusto.
Le opzioni erano due: o Charity gli aveva dato un indirizzo sbagliato, o il signor Morgan era un uomo sufficientemente arrogante da poter pensare di concludere affari anche all'interno di una bettola fornendosi esclusivamente del suo charme.

Ovviamente, il giovane optava per la prima possibilità: suo padre gli aveva parlato spesso di entrambi i soci fondatori dell'azienda e proprio non riusciva a credere, rifacendosi ai racconti di suo padre, che quell'uomo potesse sottovalutare l'importanza di una buona location per ciò si trovava a fare in quella città.

Samuel Baker era giovane, intraprendente, sfacciato e calcolatore. Aveva una mente frizzante e voglia di imbarcarsi in nuove avventure aziendali senza neanche stare troppo a rifletterci e da ciò, gli aveva raccontato suo padre, era aiutato e favorito dal suo incredibile ed impeccabile fiuto per gli affari.

Come se si trovasse ad occupare la faccia opposta della stessa medaglia, Luther Henri Morgan era un uomo posato, pragmatico, meticoloso e riflessivo.

Entrambi gli uomini avevano incominciato come meccanici: adoravano le auto e le moto e si erano ritrovati a fare quel lavoro per pura passione. Poi si erano conosciuti ed avevano messo insieme le loro personalità discordanti, la loro passione, i soldi... ed avevano aperto la loro fabbrica di automobili di lusso.
Mezzi dal design raffinato, estremamente elegante, ma anche pragmatico, sportivo e con caratteristiche dei vari elementi che ne componevano i motori meticolosamente studiati per ottenere la miglior prestazione possibile e divenire ben presto parte attiva del mercato mondiale, riuscendo, in pochi anni, a dare non pochi grattacapi alle aziende concorrenti.

E lui... stava per incontrare proprio quel Luther Henri Morgan.

Davvero? Guardando l'albergo davanti a sé, stentava ancora a crederci. Certo, si trovava dalle parti del Teatro Massimo ed aveva già capito che quella era una specie di zona d'élite della città ma, ugualmente, qualcosa non lo convinceva.

Tirò un sospiro riempiendosi i polmoni d'aria, espirò piano cercando di svuotare anche la mente da tutti i suoi pensieri... ed entrò nell'albergo.

Si fermò quasi al centro della hall sbattendo più volte le palpebre; si guardò alle spalle, tornò a gettare lo sguardo davanti a sé.

Sembrava che l'avessero catapultato all'interno di un luogo assolutamente diverso da quello che si poteva presagire restando a guardarne solo l'esterno.

Dentro, l'albergo, si presentava come un tripudio di sfarzo ed eleganza: pregiati marmi lucidi a ricoprire i pavimenti, enormi lampadari tempestati di cristalli a scendere dal soffitto a volta a crociera, la reception in buona parte riempita da un enorme bancone di lucido legno, accuratamente intagliato con immagini che ricordavano baccanali romani.

Tutto intorno a lui era una piena manifestazione di attenzione ai minimi dettagli: i fiori dentro ai vasi erano veri, rigogliosi e divisi per colori di modo che si abbinassero agli elementi architettonici, al mobilio a cui erano accostati. I mobili erano oggettivamente belli, ma i divani ti facevano pensare che fossero anche dannatamente comodi.

Una leggera musica classica accoglieva i clienti all'interno di quell'enorme stanza dove il condizionatore era evidentemente stato sparato a palla, tanto da far asciugare immediatamente ogni gocciolina di sudore, mentre Paolo incominciava a sentire dei brividi ricoprirgli la pelle delle braccia e acuirgli i sensi tendendo la pelle del viso.

-Buongiorno, posso esserle d'aiuto?- gli domandò un uomo: aveva i capelli molto corti, perfettamente sbarbato, indossava un completo nero che lo fasciava alla perfezione, camicia, cravatta e guanti bianchissimi.

Paolo aprì la bocca un paio di volte ed aggrottò la fronte prima di riuscire a parlare:
-Oh, beh... sì. Penso. Stavo cercando il signor Luther Henri Morgan- disse utilizzando un tono di voce così basso che temette non essere riuscito a farsi sentire dall'altro.

Deglutì e sentì le guance infuocarsi per l'imbarazzo: aveva partecipato a diverse cene di gala quando era più piccolo e sua madre poteva ancora vestirlo a suo piacimento come se fosse una bambola e suo padre non aveva ancora tradito e lasciato sua madre.

"E te..." sussurrò una vocina nella sua testa, ma decise di ignorarla.

Però, non riusciva a capacitarsi del perché, ma quella situazione lo stava mettendo in un profondo stato di disagio.

-Chi mi cerca?- disse una voce alle sue spalle e Paolo sobbalzò:
-Oh, è fortunato signore. Il signor Morgan è qui ospite nel nostro salottino- disse l'uomo davanti a lui e con un gesto elegante della mano indicò qualcosa alla destra del ragazzo che, molto lentamente, si voltò in quella direzione.

Proprio in quella porzione di stanza in cui era collocato il salotto della hall, mollemente appoggiato con la schiena contro la spalliera di uno dei divani, il viso sorretto da una mano e le gambe accavallate, stava un uomo che lo fissava con espressione che sembrava oscillare tra la noia e la curiosità.

Chiuse con un colpo secco il libro che teneva in una mano per poggiarlo sul basso tavolino di vetro dinanzi a sé e si alzò con un movimento fluido tirandosi la giacca sul petto ed aggiustandosi i polsini della camicia.

-Sono il figlio di Fausto Greco, Paolo- disse il ragazzo con voce tremante mentre l'altro gli si faceva vicino con un sorriso di circostanza stampato in volto:
-Mi ricordo di te- disse l'uomo porgendogli una mano: -Anche se, all'epoca, eri molto più piccolo. Però sì: hai gli stessi, incredibili, occhi di tuo padre-

Si strinsero la mano e Paolo ringraziò l'aria gelida di quel posto per aver avuto la possibilità di ricambiare la stretta dell'altro senza essere costretto a qualche brutta figura.

-Come mai sei qui? Tuo padre arriverà solo la settimana prossima- disse Luther invitandolo a sedersi con lui sul divano.

Paolo si morse l'interno della guancia e decise di prendere posto sulla poltrona di fianco al divano: non se la sentiva proprio di stare troppo vicino a quell'uomo. Lo metteva in soggezione.

-Veramente... ecco. Ho deciso di trasferirmi qui e... pensavo, dato che mio padre me lo aveva anche proposto qualche tempo fa, di chiedervi se fosse possibile per me di... beh, sì, di lavorare per voi nella filiale che aprirete qui- disse sentendo la sua dignità abbandonarlo un po' per volta.

Stava implorando un uomo di raccomandarlo all'interno della sua stessa azienda senza che lui avesse anche solo un minimo di competenze per poter giustificare la sua assunzione lì dentro.

Però... doveva sbrigarsi, quella scorciatoia gli serviva: altrimenti suo padre lo avrebbe rispedito a Londra e Paolo non poteva permetterselo, non dopo aver trovato persone che gli volevano bene, non dopo aver trovato un posto che gli piaceva perché... piaceva a lui.

Non poteva tornare a Londra con il rischio di perdere suo padre per sempre e lui sperava che, se la Morgan and Baker Motor Company l'avesse assunto, suo padre si sarebbe trovato con troppi ostacoli e troppi grattacapi... e magari, avrebbe rinunciato all'idea di sbarazzarsi di suo figlio, magari anche solo per tenersi il lavoro, per non far scoppiare uno scandalo.

Sospirò e rimase in attesa che Luther gli rispondesse: era giovane, sui trent'anni, era più giovane di suo padre ed era il suo capo. Aveva uno sguardo intelligente ed in quel momento lo teneva concentrato sul viso del ragazzo fissandolo con i suoi occhi scuri ed intensi mentre un sorriso appena accennato gli aleggiava sulle labbra.

-E tu... cosa ne sai di motori?- gli domandò Luther e Paolo sentì il sangue come correre ed andare ad accumularsi ai suoi piedi lasciandolo pallido e sgomento.

-Ehm... ho la patente?- chiese di rimando e Luther sgranò appena gli occhi prima di lasciarsi andare ad una fragorosa risata. Si piegò su se stesso portandosi una mano all'addome e poi si risollevò piano mentre la risata scemava e si passava la stessa mano tra i corti capelli neri.

-Almeno... sei sincero- disse e si ricompose notando con piacere che, la sua inaspettata reazione, aveva riportato un bel colorito di imbarazzo sulle guance del ragazzo.

Lo fissò per qualche secondo vedendolo agitarsi sempre più sulla poltrona e sentì qualcosa muoversi dentro di lui e spingerlo senza motivo, senza logica né perché, ad assumere quel ragazzo: non sarebbe stato il primo dipendente assunto solo ed esclusivamente per nepotismo.

Fausto Greco era uno dei loro migliori manager, magari, con il tempo, Paolo avrebbe dimostrato sia a lui che a Samuel di valere altrettanto, se non addirittura più del padre.

Era evidentemente molto giovane e la cosa non gli dispiaceva: aveva un largo margine di apprendimento dalla sua parte, era come una tela bianca pronta per essere riempita di colori.

Eppure... niente di tutto questo, ammise con se stesso, aveva a che vedere con le sue successive parole:
-Sei figlio di Fausto: è una persona importante per la nostra azienda, perciò... se quello che vuoi è lavorare per noi all'interno della nostra filiale siciliana... beh, sei dei nostri, ragazzino-








*-Buongiorno, Morgan and Baker Motor Company. Sono Charity. Come posso aiutarla?-

*-Mi dispiace, ma al momento non stiamo cercando nuovi dipendenti per far parte dell'azienda-

*-E per la filiale siciliana?-

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top