Capitolo 8 - Ospedali e cadute

Non aveva mai avuto una vita facile, quella ragazzina umana in cui  scorreva sangue alieno. Nel suo corpo debole e provato dalle cicatrici arrecate da tutti coloro che giornalmente la picchiavano e la frustavano, non c'erano caratteristiche aliene, solo umane, il che generava ondate d'odio nei suoi confronti a non finire. Ma questa è una storia che va raccontata dall'inizio.

Sono senza genitori e vivo in questo orfanotrofio da cinque anni, è oggi l'anniversario. Non so davvero quanto darei per abbandonare tutti questi bambini che non meritano assolutamente di essere qui e non so nemmeno perché io stessa sia ancora qui, quando sarei potuta benissimo scappare e andare a cercarmi una vita migliore.

Mi odiano tutti, qui, non appena vengono a sapere cosa ho  davvero  dentro e cosa tengo loro nascosto, ma apparentemente è l'ennesima malattia incurabile che viene fuori a caso e logicamente gli altri, che non usano quel poco di cervello che si ritrovano, credono che sia altamente contagiosa.

Ma so per certo che non è così. Non ci vuole molto a capirlo, in realtà, ma quei bambini sono uno più idiota dell'altro...

Tutti i ragazzi e le ragazze (credo che ci siano comunque altri generi lì dentro) sono alieni fino al midollo e il loro hobby, oltre a picchiarmi, insultarmi e fissarmi male, è anche quello di sparlare alle mie spalle di quello che sono in realtà.

Non ne posso davvero più e, dal momento che non sono una persona violenta, non ho intenzione di provare ad ammazzarli di botte. 

Però questa cosa deve finire.

Sto tranquillamente giocando con un vecchio modello di visore per la realtà aumentata vicino al mio letto quando qualcuno me lo sfila sopra la testa e poi mi lancia un sorriso amichevole.

Io ricambio con uno sguardo dubbioso. Cosa può volere quel tipo alieno da me?

«Il mio nome è Leon. Deriva da un nome che usavano gli umani nei Tempi Bui, quelli in cui ancora vivevano sulla povera Terra e non sapevano che ci fossero pianeti migliori e con condizioni di vita molto più facili di quelle. Ma questo non è importante». Leon sorride, ancora una volta. «Dunque, sono venuto qui per dirti che finalmente è arrivato il momento in cui cureremo la tua malattia genetica e ti porteremo finalmente via da qui. Immagino che tu sia contenta, no?»

Leon sorride e io ricambio con gli occhi che mi brillano. Non avevo mai pensato che qualcosa del genere sarebbe mai potuto succedere, e adesso eccomi qui a fare un dito medio grande come l'Universo a questo orfanotrofio e a questi bimbetti alieni che valgono come la polvere sotto al mio letto.

Prendo Leon per mano e gliela stringo forte, mi fido di lui come mi sono sempre fidata delle mie capacità. Il sorriso di Leon ha qualcosa che non mi convince del tutto,  ma non è importante. Sono solo impressioni, in realtà, perché niente mi convince davvero e mai lo farà.

Usciamo dall'orfanotrofio e saliamo su un'astronave di dimensioni molto piccole, una di quelle che si usa per fare spostamenti, e non per viverci dentro come vorrei fare io. Ha lo scafo rettangolare e grigio, alto come un alieno di media statura, e una specie di cupola allungata che consente la visuale sulla cabina di pilotaggio.

Parcheggiamo davanti ad un edificio di cemento grigio come non se ne vedevano da anni, la sua insegna presenta un pianeta con un anello intorno ed una croce che lo sormonta e sotto di esso c'è scritto "Policlinico Galassia Due". Incredibile ma vero, la Galassia Due, la più povera tra tutte ma la più bella a livello naturalistico, possiede un policlinico. E anche bello grande.

Seguo l'uomo con la pelle dalle sfumature blu e i capelli verdi e luminosi attraverso un labirinto di corridoi in cui perdersi è immediato. Alla fine raggiungiamo una stanza poco illuminata dove ci sono un sacco di schermi olografici che fluttuano in giro, un lettino da ospedale di quelli classici, ed una di quelle macchine con una busta carica di sangue e un filo che si collega al polso del paziente. Non ricordo come si chiama, fatto sta che questo luogo ha qualcosa di disturbante.

Decido di ignorare quest'impressione e osservo l'uomo, senza capire cosa stia recuperando da un armadietto appeso alla parete.

Leon si mette un visore, che si illumina di una luce azzurra non appena entra in contatto con la sua pelle, e inizia a riempirsi di dati di ogni tipo. Mi fa cenno di sdraiarmi sul letto da ospedale e io obbedisco istantaneamente, impaziente di vedere come riusciranno a curare la mia malattia e tirare fuori l'aliena che ho dentro e che non è voluta uscire. A volte penso che non ci sia davvero e che io sia semplicemente umana, che tutte le rassicurazioni che mi hanno fatto in tutti questi anni non avessero un fondo di verità o un senso. Ma sono quasi sicura di sbagliarmi.

Mantenendo quel sorriso rassicurante, Leon mi guarda negli occhi e fissa il bracciale di quella strana macchina sul mio polso, dopodiché si mette a cercare qualcosa fra gli schermi olografici. Si illumina ancora di più quando finalmente lo trova.

Fa per avvicinarsi a me per dirmi qualcosa o spiegarmi quello che sta per succedere, quando qualcuno bussa alla porta costringendolo a rispondere. Mi dice che tornerà tra un attimo e io annuisco.

Dopo essermi vestita come una normale paziente da ospedale, con una veste bianca e delle bende sulle braccia che ho sempre indossato, mi metto ad origliare i suoi discorsi e quello che sento mi lascia scioccata.

La voce dell'altra persona è femminile, ma non posso dire con certezza se sia effettivamente di genere femminile, magari è demigirl o agender o qualcos'altro. Chi può dirlo? Ad ogni modo: stanno parlando di esperimenti genetici, di Soggetto 4712, lo stesso numero riportato sulla mia veste, di qualcosa che mi renderà la creatura invincibile che tutti stavano da sempre aspettando.

Ma io non lo voglio.

In quel momento capisco che la vita è la mia e che devo prendere questo tipo di decisioni e tutte le altre autonomamente, che decido io cosa farne di me stessa e se farla finita adesso o quando sarà. Istintivamente spalanco l'unica finestra della stanza e mi butto giù, sperando vivamente di non crepare.

Apro gli occhi. Sono finita su una strada e c'è una puzza davvero infernale. Capisco che sono ancora viva, e questa è una delle vie malfamate della Galassia Due, quella in cui ci sono le tre scuole più importanti: Ali della Libertà che formava i politici, Bocca della Verità che addestrava le forze dell'ordine e giudici e Lama della Giustizia che forgiava guerrieri. Insieme formavano il Liceo di Specializzazione, la scuola in cui tutti sarebbero voluti andare... Almeno, nella Galassia Due.

E così anche io, da quel giorno in cui le ho viste davvero, mi sono detta: "Adesso che controllo la mia vita totalmente mi impegnerò, studierò e arriverò a entrare persino nella Lama della Giustizia".

...

Le elementari e le medie passarono molto velocemente: andavo d'accordo con tutti, circa, ero una delle migliori della mia classe, se non della scuola intera, soprattutto nelle materie in cui bisognava usare la forza fisica, e sapevo come farmi rispettare.

Adesso arriva il primo giorno di liceo e sono spaventata a morte. Adesso mi risulta anche parecchio difficile controllare la mia forza, devo stare molto attenta a come mi comporto o mi toccherà andare a vivere per strada come una volta.

Sto aspettando in classe, insieme a qualche altra studentessa, che le lezioni inizino. E... Un momento, chi è quello? Giuro di non aver mai visto un ragazzo cyanir più bello. Quelli della sua razza sono di carnagione pallida, con i capelli bianchi e gli occhi completamente neri, due piccole corna dorate agli angoli della testa e abbastanza alti. Ma lui è molto meglio di tutti i cyanir che ho visto in giro. Forse è quella cicatrice che gli attraversa l'occhio sinistro a renderlo così attraente, chissà... Deve essere mio.

Passano un po' di mesi e la mia reputazione di studentessa brillante rimane fissa com'è, non cambia, tutti mi rispettano e cercano di essere miei amici. La mia migliore amica rimane Royah, una arcariana, che appartiene alla stessa razza di Leon, quell'uomo che aveva cercato di rendermi l'infanzia più difficile di quanto già non lo fosse. Stiamo tranquillamente parlando nei bagni della scuola e intanto fumiamo, anche se ormai è vietato in tutto l'Universo.

«Ehi, ma lo sai che tra un po' abbiamo il ballo della Quindicesima Rotazione?»mi dice, togliendosi la sigaretta dalla bocca e tenendola con due dita. «E a quanto pare ci si deve portare qualcuno come accompagnatore, oppure ti tagliano fuori» continua, per poi fissare con aria annoiata il pavimento.

«Allora dovrò trovarmi qualcuno con cui andare, no?» rispondo, poi mi lecco le labbra in modo malizioso.

Royah annuisce e si rimette la sigaretta in bocca, poi butta fuori una nuvola di fumo che sembra abnorme. «Allora chiedilo a lui e corona il tuo sogno irrealizzabile» ribatte, accorgendosi del gesto che ho fatto e del suo significato.

«Sì, lo so, il punto è che non dirà mai di sì... E poi chissà quante altre ragazze gli avranno chiesto di accompagnarlo al ballo... Sono proprio una romantica senza speranza!» mi lamento, mentre spengo la sigaretta e ne prendo un'altra.

«Guarda che la maggior parte delle ragazze a cui potrebbe interessare lui sono lesbiche o aromantiche. Quindi potresti anche provare a chiederglielo se ci tieni tanto» suggerisce la mia amica, continuando a buttare fuori nuvole di fumo.

«Allora ci proverò, se è questo che voglio davvero... E in effetti lo voglio. Be', allora, diciamo che in questo periodo sto notando un cambiamento in me perché a volte succede che quando vedo una ragazza mi sento... Strana. Cioè. Inizio a sudare, arrossisco e rido nervosamente.»

«Voi etero, eh... Vabbè, questo può voler dire solo una cosa, cara mia: sei bisessuale. Benvenuta nella comunità non-etero dell'LDS.»

«Ma se sono etero, come faccio a...»

«Sì, so come ci si sente a scoprirsi così. Be', certo, Keiarn cara, non ci si può fare niente. Anche io ero scioccata quando ho scoperto di essere lesbica e non ci volevo credere, ma poi ho capito che dovevo accettarmi per quello che ero e così farai anche tu. Ci sono un sacco di persone bi in questo mondo, quindi non preoccuparti!»

Sorrido e a momenti la sigaretta accesa mi cade per terra, quindi la fermo con la mano e me la sistemo in bocca.

All'uscita da scuola faccio per cercare il ragazzo che mi piace, Lohan, ma a quanto pare lui mi ha preceduta.

«Ehi, ciao, Keiarn! Come butta lì da te?»mi chiede, con uno strano sorriso in faccia e un po' rosso in viso. In genere è difficile vedere il rossore sul viso dei cyanir, però questa volta si nota divinamente.

«Ciao Lohan. Cosa ti porta qui? C'è qualcosa in particolare che posso fare per te?» gli chiedo, cercando di apparire il meno provocatoria possibile. E giuro che è davvero difficile.

«Sì, qualcosa ci sarebbe. Vedi, come probabilmente già sai tra poco ci sarà il ballo della Quindicesima Rotazione, e bisogna portarsi dietro un partner o una partner, perché altrimenti non ci si può andare. Dal momento che nessuno ti ha ancora chiesto di venire, be', ti dispiacerebbe accompagnare me?»

Adesso sono io ad arrossire. «Top, andata. Allora ci vediamo al ballo, eh!»

«Assolutamente! Ciao!»

Royah continua a fumare, fingendo che la faccenda non la riguardi, ma con la coda dell'occhio noto che sta sorridendo.

Finalmente ce l'ho fatta.

...

La sera del ballo è finalmente arrivata: come nei vecchi film di quella che gli umani chiamavano America, il ballo si svolge nella palestra della scuola, che è un insieme di luci colorate, musica a palla, ballerini olografici che si muovono in mezzo alla stanza, cibo, parolacce, studenti che saltano e ballano, qualcuno che canta, altri che fumano, si ubriacano e si drogano (?!)... ci sarà da divertirsi.

Mi sono messa il mio vestito nero scollato sul davanti, che richiama leggermente l'estetica mafia queen, e che rende visibili tutti i tatuaggi che ho sul corpo e che mi sono fatta in questi anni. Lohan, invece, indossa uno smoking nero e ha un fiore cyanir rosso, tipico del suo pianeta, all'occhiello. Ci piazziamo in mezzo alla pista, dove tutti ci possono vedere, e ci scateniamo. Questa notte non dovrebbe finire mai.

Intanto riesco a vedere anche Royah, venuta qui con un completo composto da un top bianco scollato senza maniche e una gonna di pelle in tinta, che balla e intanto si bacia con la sua ragazza Yana. Quelle due sono davvero una bella coppia.

Io e Lohan andiamo avanti a ballare ancora un po'. A un certo punto parte un lento e allora decidiamo di abbracciarci e di ballare così, con la mia testa affondata nella sua spalla. Vorrei che continuasse così per sempre.

E invece...

Il suono di una porta che cade a terra, la musica che si ferma e gli studenti con essa. Poi entrano loro: un gruppo di quei soldati terroristi della Galassia Quattro che, da come riesco a dedurre, ha appena dichiarato guerra alla Galassia Due.

Cerco tra la folla Royah e Yana, ma non le vedo da nessuna parte. Non c'è tempo di pensare a loro, adesso devo impegnarmi a portare Lohan fuori da qui. Lo afferro per il braccio e lo trascino fuori dall'uscita di emergenza, però poi sento un colpo di pistola e lo vedo cadere a terra in una pozza del suo sangue violaceo.

È morto.

Cerco ancora Royah e Yana e poi trovo anche loro: stese per terra, mano nella mano, con gli occhi spalancati, senza vita, con una macchia di sangue che gli imbratta i vestiti di rosso scuro.

Anche loro mi hanno lasciata.

A quel punto le mie gambe agiscono per me e corro via, a nascondermi, prima di fare la loro stessa fine e quella degli altri studenti che stanno venendo sterminati.

Trovo un'astronave abbandonata da qualcuno e ci salgo. La prenderò in prestito per un po'.

"Perché non ho potuto impedire che questo accadesse?! Perché non ho reagito?!"

Spazio autrice
Madò che capitolo lungo!! Spero che vi sia piaciuta la prima parte del backstory di Keiarn. Ma adesso basta con i backstory e torniamo alla storia principale!

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