Capitolo 5 - Il mio vero idolo

Ricordo molto bene quando l'ho conosciuta, e penso che quella sia stata la nottata più bella della mia vita, perché ho conosciuto proprio lei.

Era notte fonda, un brutto momento per girare per le vie malfamate della capitale della Galassia Dodici, Lers, ed era ancora peggiore entrare nei bar poco illuminati in cui mandavano la musica per farli apparire normali. In realtà lì dentro c'era gente poco di buono, tutti quei giri di basso e assoli di chitarra elettrica era solo un modo per attirarti in una trappola mortale o da cui non era possibile uscire.

Purtroppo dovevo recarmi in uno di quei bar per un omicidio che dovevo compiere e mi toccava  entrarci, tra l'altro era uno dei peggiori e c'era una puzza di fumo che non riesco a dimenticare. In quel periodo si poteva ancora fumare, ma io non lo facevo perché era la cosa più disgustosa che esistesse, secondo me.

Quando entrai trovai tutto come me lo aspettavo sin da subito: qualche tavolino, un barista annoiato intento a pulire bicchieri di chissà quale alcolico illegale e vietato in più di metà delle Galassie, buona musica... ricordo ancora cosa stavo ascoltando quando sono entrata e mi piaceva davvero molto. Era una canzone che ascoltavano sulla Terra, quando ancora era piena di vita e di belle persone che l'hanno portata alla rovina, e si chiamava "Metamorphosis", di un artista di nome Interworld. Una canzone phonk che era impossibile odiare o non conoscere, dal momento che, negli ultimi anni della Terra, nelle discoteche si ballava solo quella.

Mi sedetti su uno degli sgabelli posti davanti al bancone e,mentre ordinavo della semplice acqua, che miracolosamente era tornata ad abbondare, iniziai a muovere la testa a ritmo di musica e provai a cantare le parole del testo in quella lingua abbandonata che gli umani conoscevano benissimo e chiamavano inglese.

Gli umani sono tuttora così complicati, anche se si sono fusi in parte con le varie razze aliene per sembrare meno "fuori dal mondo" sono sempre rimasti molto per conto loro. Non mi fanno davvero impazzire. Il problema dei terrestri, o umani, è che si lasciano facilmente influenzare dagli altri; il problema è che questi "altri" sono persone di cui si fidano, ma di cui non dovrebbero, il che li porta a compiere scelte sbagliate e dannose per loro e per il mondo in cui vivono.

Be', questo è quello che pensavo prima di incontrare... lei. 

Nell'esatto momento in cui il bicchiere si appoggiò al tavolo di vetro, la porta del bar si spalancò. Era appena entrata una donna circa della mia età, con i capelli corti e gli occhi neri, una felpa dello stesso colore con il cappuccio rigorosamente tirato su per darle un'aria un po' misteriosa e inquietante e dei pantaloni lunghi. Seguiva il dress-code degli umani quando vivevano sulla Terra, e... lei era umana, per di più.

Si abbassò il cappuccio, salutò e ordinò immediatamente da bere, anche lei scelse qualcosa che non le avrebbe fatto perdere le staffe in maniera troppo negativa.

E anche lei, esattamente come stavo facendo io, decise di muovere la testa a tempo di musica. Era evidente che conoscesse anche il testo, perché si era messa a cantare, e il suo inglese mi sembrava davvero di un livello molto alto.

Sorrise e io ricambiai; senza accorgermene arrossii un po'. Non è colpa mia se sento un'attrazione profonda per le donne, mi sento nel giusto così e nessuno mi farà cambiare idea su questo.

«Mettono davvero della bella musica, qui, vero?» commentò, arrossendo e abbassando lo sguardo sul bicchiere quasi pieno.

«» risposi, mentre cercavo di guardare da un'altra parte, giusto per non far vedere a quella ragazza misteriosa che stavo arrossendo parecchio e stavo pure tremando. Non avrebbe dovuto notarlo, sarebbe stato troppo imbarazzante e se ciò fosse successo la nostra conversazione sarebbe finita. Subito.

Dopo pochi attimi di silenzio decisi finalmente di farmi coraggio, quindi presi un respiro profondo ma non troppo e le chiesi ancora: «Ma... senti, tu come ti chiami?».

«Ah, io sono Ashyx Raiyar. Grazie di averlo chiesto. Tu?» rispose.

"Grazie di averlo chiesto?", pensai. "Allora è possibile che anche lei..."

«Io sono Aar Khyan, piacere di conoscerti» mi presentai, a mia volta.

Andammo avanti a chiacchierare come se ci fossimo conosciute da sempre e intanto bevemmo e mangiammo, incuranti della cifra che avremo dovuto spendere dopo.

Quando alla fine decidemmo che ne avevamo abbastanza di stare lì, uscimmo dal bar e ci dirigemmo entrambe alla mia astronave, che avevo parcheggiato da qualche parte lì vicino. Non mi era mai piaciuta l'idea di vivere ferma in un unico punto, perché avevo l'assoluto bisogno di spostarmi, di viaggiare e di tenere sempre sotto controllo tutto quello che succedeva intorno a me, in modo tale da usarlo a mio vantaggio.

«Oh, guarda, si è fatta l'Ora Quattordicesima... dovevo rientrare a casa un sacco di tempo fa, be', immagino che per noi è arrivato il momento di separarci» commentò lei, con una leggera punta di tristezza nella sua voce.

Sussultai e arrossii ancora più di prima, quindi la consolai: «No, non è detto che dobbiamo separarci adesso. Se vuoi possiamo dormire nella mia astronave... è bella grande, sai, dobbiamo solo decollare, metterci in uno spazietto tranquillo e dopodiché ci addormentiamo. Sempre se ti va bene.»

Quanto facevo schifo? Avevo appena conosciuto una ragazza di cui ero innamorata e già le chiedevo di trasferirsi in casa mia? 

«Sì, però dormo sul divano. Lo faccio sempre anche a casa mia, sempre se non ti dispiace...» disse lei.

«Non c'è nessun problema. Anche se vuoi dormire sul pavimento non cambia assolutamente nulla» scherzai.

"Perché sono così negata a dimostrare i miei sentimenti nei confronti degli altri?!"

Una volta che ci fummo sistemate, cademmo entrambe in un sonno profondo.

La mattina dopo, a colazione, ci sedemmo a tavola e rimanemmo in religioso silenzio, a fissare le tazze di caffè di Earthbucks che avevo ordinato apposta per l'occasione. Mi chiese se poteva stare da me ancora qualche giorno, perché non era sicura di avere ancora una casa. Io acconsentii e le domandai anche cosa intendeva con quella frase.

Mi raccontò che da quando i suoi genitori - sì, viveva con i suoi genitori, non era raro, soprattutto in quei tempi in cui tutti e soprattutto le donne erano altamente sottopagate - avevano scoperto che era bisessuale avevano deciso di tagliare i rapporti con lei, l'avevano cacciata di casa e non si erano più fatti vedere. Proprio per questo lei aveva paura che sarebbe potuto essergli successo qualcosa... mi affascinava il modo in cui, nonostante fosse stata rifiutata dai suoi stessi genitori, tenesse a loro così tanto.

«Io sono lesbica e i genitori non ce li ho. Non li ho mai conosciuti, sono stata costretta a farmi una carriera prendendo lezioni di canto e sfondando nel settore della musica e dell'intrattenimento. Non per vantarmi, ma in questo momento sono l'idol più conosciuta dell'Universo, Y'Ther, come mi faccio chiamare. Risulta impossibile, per qualche oscuro motivo, riconoscermi quando sono in mezzo alla gente»raccontai, lasciando che le parole uscissero da sole, pur sapendo quanto mi facevano male.

Lei mormorò qualcosa come «Mi dispiace» e poi si mise a bere il suo caffè.

«Guarda che puoi anche dirlo se ti piaccio... non credere che non ti abbia guardata, ieri sera, come ti comportavi con me e come reagivi alle cose che dicevo, e soprattutto quanto arrossivi e tremavi» disse infine. «Perché sappi che se è così io ti ricambio.»

Sorrisi anche io, e annuii. 

Poi non so cosa mi passò per la testa, ma sentii come un impulso dentro di me che mi spinse ad avvicinarmi a lei senza chiederle il permesso, ad accostare le mie labbra alle sue e baciarla come mai avevo fatto con nessun'altra prima di allora. Finalmente era arrivato un momento per essere la vera me stessa, non quella che doveva fingersi etero perché, altrimenti, i suoi fan l'avrebbero odiata.

Ero stanca dei sacrifici che dovevo compiere inutilmente, e ora me ne potevo finalmente liberare.

Passarono giorni, forse mesi, il tempo scorreva davvero troppo velocemente per averne la cognizione. Noi due ci amavamo, e ci accontentavamo di quello. Ci bastava essere solo vicine per avere quella che chiamano felicità e che io non ero abituata ad avere. 

Veniva a tutti i miei concerti, sotto copertura, mascherandosi abilmente con tutte le strategie che le insegnavo io per non far capire al mio pubblico che lei in realtà era la mia ragazza. Non avrebbero assolutamente dovuto sapere che cosa c'era tra noi. Lei si comportava da fan sfegatata, arrivava sulla mia astronave da concerto con tutto il mio merchandising che si poteva indossare, si portava dietro cartelli con messaggi motivazionali ed era  la cosa più bella che avessi potuto vedere.

Tutto stava andando per il meglio, eravamo felicissime e non avremmo potuto desiderare altro,  fino a quando una sera successe qualcosa che mise fine a quel sogno di un mondo perfetto che avevamo costruito e in cui avevamo creduto con tutte noi stesse.

Era notte, avevo appena finito di fare un concerto ed eravamo entrambe stremate, avevamo fatto casino come mai prima d'ora e ci addormentammo appena ci fummo infilate sotto le coperte.

Dopo neanche venti minuti qualcosa mi svegliò: il rumore della porta di camera nostra che si apriva. Non era possibile che Ashyx fosse andata in bagno o le fosse venuta sete, perché non le erano mai successe cose del genere. 

Quando realizzai chi era appena entrato era ormai troppo tardi: quello schifoso della Galassia Quattro, quel soldato membro dell'esercito della più forte potenza militare dell'Universo, era entrato nell'appartamento che avevamo affittato, aveva puntato la sua doppia pistola contro la mia ragazza innocente e l'aveva centrata sia al cuore che alla tempia.

Il suo grido riecheggiò nella stanza e il suo sangue macchiò le mie mani, il suo pigiama e le lenzuola del letto.

In quel momento una rabbia cieca mi pervase: quell'uomo mi aveva tolto la persona che amavo di più, la prima persona nella mia vita che contava davvero così tanto, e ora avrebbe pagato con la sua stessa vita, giusto per capire cosa si provava a vedere che qualcuno ti sottraeva qualcuno di così importante in un millesimo di secondo.

Mentre lui non guardava presi uno dei coltelli che Ashyx amava collezionare, ne afferrai uno che mi era sempre piaciuto e che avevo sempre voluto usare contro qualcuno se mi avesse attaccata, e poi lo infilzai. Feci attenzione a trapassarlo per bene: la lama del coltello era lunga e feci in modo che, affondandola, entrasse dalla schiena ed uscisse dal torace. Così fu. La vista di quel corpo morto mi dava un senso di soddisfazione che non mi sapevo spiegare e anche se, tecnicamente, avevo appena commesso un crimine, non mi importava proprio per niente, perché quell'uomo aveva avuto quello che si meritava.

Quando mi fui assicurata che fosse davvero morto, feci una cosa che mi piacque ancora di più: lo lanciai giù dal davanzale, così che avessero potuto vedere cosa aveva fatto.

Sì, adesso mi sentivo a posto.

Quello fu il momento in cui presi una decisione molto importante per la mia vita: sapevo esattamente cosa volevo fare e nessuno mi avrebbe fermata. Sarei rimasta l'idol brava ed amata che infondeva speranza negli altri anche quando non ce n'era, ma sarei diventata anche un'assassina che per vendetta e soddisfazione personale avrebbe ucciso tutti gli elementi disturbanti per la società, ad esempio tutti quei politici corrotti che non appena ne avevano voglia facevano scoppiare guerre, giusto perché si annoiavano e avevano bisogno di qualcosa con cui intrattenersi.

Perché il mondo è un palco, e un palco è un mondo di intrattenimento.

E ora arriva la parte migliore, la migliore di tutte: non avrei lavorato per nessuno e sarei stata una completa autodidatta!

Mi rimisi a letto e non appena vidi di nuovo il corpo della mia fidanzata senza vita e tutto sporco di sangue la mia felicità svanì immediatamente. Come avevo potuto dimenticarmi che era morta? 

Quando vidi i punti in cui i proiettili l'avevano colpita, cioè quelli in cui il sangue abbondava di più, sentii le lacrime agli occhi e mi coprii immediatamente la faccia con le mani. Se solo fossi stata più veloce, se solo avessi capito prima cosa stava succedendo lì, magari lo avrei evitato.

Tornai a dormire e da quel momento ogni notte le sue urla, gli spari e il sangue venivano sempre a trovarmi.

Spazio autrice

Ehilà! Avevo detto che in questo capitolo ci sarebbe stato qualcos'altro, ma ho pensato di metterci un primo backstory per Aar. Spero vi sia piaciuto, è da ieri pomeriggio che ci lavoro e dovevo riuscire a pubblicare entro ieri. Ma non importa, adesso ce l'avete quindi... Alla prossima!☆

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top