Capitolo 33 - Arriva quando vuole, la verità

La storia di Lux inizia così.

O meglio, la mia storia inizia così.

Non fate quelle facce scioccate, con le condizioni in cui viviamo oggi non dovremmo più stupirci di niente, e invece?

Lo so, ormai ho quarant'anni, ma la mia effettiva storia è iniziata quando ne avevo dieci, all'epoca della Quinta Guerra Universale, se non ricordo male: abitavo nelle vie malfamate di Lers e più specificatamente nel distretto dove veniva prodotta l'energia elettrica, Ayr O'Neey.

Non avendo soldi in famiglia, ero costretta a lavorare in una delle fabbriche della zona, che per riuscire a mantenere alti i loro guadagni si era convertita in un laboratorio per le armi da fuoco, quelle nucleari e le bombe.

Ci mandavano a lavorare dei poveri bambini innocenti, che a causa di chi stava al potere dovevano pensare alla guerra sin dalla tenera età, e i decessi sul mio posto di lavoro ma anche negli altri incrementavano quotidianamente.

...

C'era confusione ogni giorno, e aumentava costantemente.

Attorno a me, c'erano solo le urla di disperazione dei bambini ogni volta che qualcosa esplodeva, lasciando morire così i loro amici, gli insulti e le frustate da parte dei nostri capi e tutto il fracasso prodotto dalle varie armi a cui lavoravamo giorno e notte.

E io avevo paura di finire come loro.

Nell'esatto momento in cui, la sera prima del disastro, stavo per andare a casa, il supervisore mi bloccò un istante prima che depositassi la pistola ionica che avevo appena finito di costruire.

«Lux, fermati qui» mi disse, poi prese in mano l'arma e la osservò attentamente, come se fosse alla ricerca di tutti i suoi difetti... che, a quanto pare, non riuscì a trovare.

Annuì e la appoggiò su un tavolino dietro di lui.

«Questa qui è di ottima fattura, la spediremo sicuramente ai soldati in guerra. Devo farti i miei complimenti» mi informò, scoprendo un sorriso a trentadue denti che di rassicurante aveva gran poco.

«Ah... ah, wow. Ne sono contenta» dichiarai, mentendo in parte.

"Preferirei che mi venissero fatti i complimenti per un lavoro slegato da conflitti universali che né io né nessun altro ha voluto" pensai.

Avrei corso un rischio enorme se avessi detto quelle parole ad alta voce.

«Be', come dovresti. Siccome ultimamente ti sei impegnata tanto e non hai fatto esplodere niente, a differenza dei tuoi amici, la tua paga arriverà prima e in quantità superiore.» Mi allungò un mazzo di banconote raffiguranti il Dominatore dell'Universo e i miei occhi si spalancarono. Non avevo mai visto così tanto denaro in vita mia... e soprattutto denaro intestato a me.

Sorrisi e afferrai i soldi come se non avessi aspettato altro nella vita.

«Ora è meglio che vai, si sta facendo tardi» disse.

Annuii e corsi fuori più veloce che potevo, mormorando una frase mantenendo un tono di voce basso in modo che il supervisore non potesse sentirmi.

«Razza di pervertito.»

...

Un altro giorno alla fabbrica, un altro giorno dove avrei rischiato di farmi venire un tic nervoso, un altro giorno in cui avrei visto la ragazza che mi "piaceva" e un primo giorno in cui il supervisore era assente.

Un attimo... il supervisore assente?!

Non appena Amy, la ragazza che mi piaceva, mi venne incontro per iniziare a lavorare, glielo feci notare e entrambe festeggiammo quel primo attimo di speranza di poter lavorare di meno.

Ma qualcosa non quadrava.

Innanzitutto, mancavano tutti i supervisori e i lavoratori più abili, e nessuno sapeva dove fossero andati. Se qualcuno rivolgeva domande su di loro, la risposta che ricevevano era sempre: «Non preoccuparti, loro stanno benissimo.»

Poi, stranamente, non c'era nessuno con un'espressione angosciata: era come se tutta l'oppressione che dominava quel luogo fosse sparita così, da un giorno all'altro.

E l'ultimo campanello d'allarme... nessuno, ma proprio nessuno, stava lavorando, anzi: tutti cazzeggiavano in giro, parlando con i loro amici, mangiando, giocando addirittura a carte o ai videogiochi...

Stava per succedere qualcosa e non potevo rimanere lì.

«Tutto a posto, Lux?» chiese Amy, guardandomi negli occhi.

Arrossii immediatamente, sperando che la ragazza non se ne accorgesse. «Sì... ehm, no, cioè... ascolta, Amy, non mi sento molto bene, quindi credo che dovrò tornarmene a casa. Vuoi venire con me?»

Non potevo lasciarla lì.

«No, tranquilla, non c'è bisogno. Non voglio disturbare i tuoi genitori» disse.

Sospirai, ma decisi che andava bene così: d'altro canto, non potevo obbligarla a fare qualcosa contro la sua volontà a causa di qualche stupida paranoia che mi aveva attaccata di colpo.

Mi diressi in bagno e raggiunsi con un paio di mosse la finestra, che utilizzai come via di fuga per arrivare al retro della fabbrica, dove nessuno sarebbe stato in grado di trovarmi.

Corsi più lontano che potei e dopo circa cinque minuti avvertii come un cambiamento nell'aria e capii cos'era successo solamente quando, girandomi, vidi la fabbrica esplodere e ridursi a un cumulo di macerie (e cadaveri).

Amy...!

No, non era il momento di pensare a quello.

L'ultima cosa che riuscii a sentire fu il mio urlo disperato contro il cielo, dove l'anima della ragazza che amavo si trovava in quel momento, e dove conduceva una vita migliore di quella che io ero destinata ad avere.

...

«Vedi di non combinare casini con i clienti anche oggi, Akari!»

La voce del proprietario che si ostinava a chiamarmi Akari e non Lux fu, come al solito, la suoneria che mi svegliò quella mattina. Fu anche il motivo per cui fui costretta a mettermi un ridicolo costume nero e bianco da cameriera e un paio di orecchie da gatto degli stessi colori, a truccarmi pesantemente e a consentire l'accesso a un maid café nel distretto Cyberpunk Tokyo di Lers.

"Come fanno le mie colleghe a lavorare in un posto del genere? Con un capo così e dei clienti ancora peggiori?"

Eccoli che arrivavano, quegli insopportabili ragazzetti stronzi.

Mi trattavano male e cercavano di picchiarmi o di scatenare risse contro di me a causa dei miei modi di fare tipicamente maschili e si divertivano a guardarmi reagire e fallire.

Poi ricordai che avrei potuto fare come qualche anno prima in fabbrica, se soltanto quel vecchio depravato non avesse avuto occhi e orecchie ovunque.

Makoto mi si avvicinò e mi tirò un calcio nello stomaco prima che uscissimo per iniziare definitivamente la nostra giornata la vorativa e vomitai sul pavimento.

Perfetto, ora mi toccava pulire.

Mi tirai su lentamente e iniziai a lavare il pavimento, che in poco tempo era di nuovo perfettamente pulito.

Uscii e vidi il solito spettacolo: i ragazzi con lo sguardo fisso su di me e le mie compagne che gli davano corda, cercando intanto di servirgli qualcosa da bere e da mangiare.

«Fatti sotto, razza di travestito» disse uno di loro. «Sappiamo che non sei realmente una donna.»

No, non ero una donna, anche se continuavo ad usare i pronomi femminili. Fisicamente potevo ricordarlo, certo, ma non per le mie azioni. Non mi sentivo né una donna né un uomo.

E allora, cos'ero?

E perché riuscivo a mettere gli occhi solo sulle ragazze, ma mai in vita mia sugli uomini?

Decisi che sarebbe stato meglio ignorare quei pensieri per il momento e di concentrarmi invece su come evitare di farmi ammazzare di botte da quel quartetto che aveva poco di buono.

Mi tirai su le maniche e tolsi sia il grembiule che la gonna, poi sfilai gli stivali e mi tirai su le maniche così da avere la più totale libertà di movimento.

Lo scontro iniziò: menavo calci e pugni ovunque e le mie colleghe non fecero chiaramente il tifo per me, bensì per gli altri quattro, in particolar modo per quello che picchiava più duramente degli altri.

A un certo punto, non appena ebbi guadagnato un occhio nero, un taglio sotto l'occhio e un dito del piede rotto, arrivò Keito, il nostro manager, che interruppe la lite mettendosi in mezzo a noi due e trascinandomi per il collo della maglietta fuori dal negozio.

Come se non bastasse, mi tirò dietro anche gli stivali che avevo tolto poco prima, colpendomi alla schiena.

Urlai dal dolore, ma del resto cos'altro potevo fare? Pregarlo di essere clemente e di avere pietà, forse?

«SEI LICENZIATA!» mi urlò, in giapponese. Mi era toccato impararlo tutto, prima di iniziare a lavorare qui, dal momento che Keito conosceva solo quella lingua. «たばね!» urlò, in seguito. Mi aveva appena mandata a quel paese.

«ありがとございます!» lo ringraziai, e poi corsi via da quel distretto che d'ora in poi avrei evitato per tutta la mia vita.

Lungo la strada, incontrai due uomini che chiacchieravano di una certa organizzazione segreta di nome "Void" che non era esattamente così fantastica come la dipingevano, anzi...

Fu quello che mi spinse ad entrare in politica.

...

Stavo tranquillamente bevendo del caffè nel nostro quartier generale, l'Avoid, quando due dei miei dipendenti di cui ricordo tuttora i nomi in codice si presentarono da me con una ragazzina... quanti anni poteva avere?

Quindici? Magari sedici?

«Bentornati, 3215 e 3216. Ah! Quindi questa è una nostra nuova alleata, da come mi pare di capire. Benvenuta cara! Da oggi il tuo nome sarà 4712, perché sei appunto la 4712esima persona che ha scoperto l'esistenza della Void e ha deciso di unirsi al gruppo di alleati ribelli che vogliono distruggerla.» Mi fermai e le sorrisi calorosamente. «Il mio nome in codice è 0001, ma se preferisci puoi chiamarmi Lux!»

La ragazza mi sorride e mi stringe la mano con fare amichevole e io ricambio per evitare di metterla a disagio più di quanto non lo sia già.

Mi sembra una cosa normale sentirsi così quando scopri dell'esistenza di una forza come la Void...

Però non lo sembra altrettanto essersi innamorata di una persona così giovane...perché mi piace?

...

La trovai in un bar lì vicino, davanti a un drink analcolico, intenta a fissare il marciapiede come se fosse la cosa più interessante presente nei dintorni.

Mi avvicinai a lei e andai a sedermi sullo sgabello collocato di fronte al suo, quindi alzai lo sguardo e incrociai il suo, che si abbassò immediatamente. Era impossibile che reagisse così per la timidezza, doveva essere successo qualcosa e avvertivo l'urgenza di scoprire cosa al più presto.

«Ehi, uhm... tutto a posto?» le chiesi, mangiandomi le parole.

«Non ne ho idea, non lo so» ribatté, perentoria. Chiuse gli occhi e si focalizzò sulla musica che stavano trasmettendo in quel momento, una canzone che diceva più o meno:

Now do you hate me?

Are you afraid of me?

Are you able to feel culpability?

E dopo qualche secondo, inziò cantare: «Now with a new start, broken and torn apart, nothing in me resembles a human heart...» stonando ovunque, ma dedussi che conosceva la canzone.

«Di chi è?» le domandai, anche se ero quasi sicura di conoscere la risposta, in quanto il pezzo appariva nelle mie playlist di canzoni consigliate molto spesso.

«Ghost and Pals, un genio incompreso terrestre. Da come ho capito, trovare i suoi ascoltatori era difficilissimo all'epoca, ma ora non così tanto...» rispose. «Nonostante il backstory - si parla di una relazione tossica - credo che sia la mia canzone preferita, assieme a "Aura" e "Housewife Radio".»

Andammo avanti a chiacchierare di artisti musicali e ne emersero nomi a me nuovi, come Vane Lily o Creep-P: del resto, cosa poteva saperne una comune ascoltatrice di dubstep e phonk di quei generi?

Scoprimmo di avere entrambe un'ossessione patologica per Jack Stauber e per le sue "Baby Hotline" e "Oh Klahoma", che cantammo assieme lungo la strada per il nostro ufficio.

Giunte davanti alla porta, però, successe qualcosa di inaspettato.

«Ormai è inutile che io ti nasconda i miei sentimenti, Lux. Se è da un po' di tempo che mi comporto in modo strano, è perché io ho capito che mi piaci» ammise, quasi vomitando le parole.

Senza rendermene conto, iniziai a balbettare e replicai: «Quanti anni hai, 4712?»

«Quest'anno ne compio 17, quindi se stessimo assieme non dovremmo dare fastidio a nessuno» spiegò.

Keiarn aveva assolutamente ragione: l'età secondo cui, per legge, era possibile avere una relazione romantica con qualcuno di almeno cinque anni più vecchix era proprio quella dei diciassette anni.

«E va bene» sospirai. «Ti ringrazio, Keiarn, perché mi hai aiutatx a trovare me stessx: da questo momento in poi, mi definirò come lesbica non-binary.»

Lei sorrise e non disse nulla: si limitò ad aprire la porta e a chiuderla alle sue spalle, lasciandomi con il classico sorriso triste dell'innamoratx che è appena statx rifiutatx.

Scoprii solo in seguito che i miei sentimenti erano ricambiati.

...

Un lutto.

Ecco che cosa rappresentava quella lettera scritta frettolosamente, con la grafia pessima che da poco avevo imparato a digitare.

La sua penna bianca per fogli olografici era ancora appoggiata lì sopra, e quando la notai la afferrai e la usai per non saltare nemmeno una riga di quello che aveva scritto.

Non ci volevo credere.

A chiunque stia leggendo questa lettera, il mio nome è Keiarn de'Vaash, ma mi avete sempre conosciuta come 4712 qui dentro. Scrivo per dirvi che mi dispiace, ma ho preso la decisione di andarmene via da qui. Il mio traguardo nella vita è sempre stato quello di diventare una criminale, la più potente, traguardo che fino ad ora avevo considerato infantile ed irraggiungibile, ma ora ho cambiato idea e ho deciso che cambierò strada.

Con questo volevo solo ringraziarvi per essermi stati vicino durante questi anni; senza alcuni di voi mi sentirò veramente sola e non so come riuscirò a tirare avanti nei momenti peggiori, però vi giuro che starò bene.

Lux, per quanto riguarda te... ti amo tantissimo e immagino già quanto piangerai non appena leggerai la mia lettera d'addio, e giuro sulla mia vita che mi dispiace e che non voglio farti soffrire. Però sono padrona della mia vita, esattamente come tu lo sei della tua, e come tutti gli altri lo sono della loro, quindi mi auguro che tu riesca a capire il motivo della mia decisione. In caso tu abbia voglia di sentirmi di nuovo, hai ancora il mio indirizzo e-mail, quindi scrivimi quando vuoi. Risponderò il prima possibile e questa è una promessa. Ti amo tanto e non smetterò mai, anche se dovessi fidanzarmi con qualcun altro dopo di te.

Grazie ancora, a tutti voi, siete importanti.

Keiarn de'Vaash

Non poteva aver scritto davvero delle cose, mi sembrava impossibile che una persona fedele come lei decidesse di punto in bianco di abbandonarmi al mio destino...

Eppure, era così che aveva fatto.

L'ennesima persona che mi aveva voltato le spalle per motivi in alcun modo riconducibili a me.

Mi si affollarono in bocca una miriade di insulti e di parolacce, alcune di troppo pesanti e altre di cui non conoscevo nemmeno il significato, ma che comunque volevo usare contro di lei.

Abbandonai l'Avoid il giorno stesso in cui ricevetti quella lettera, e presi anche una decisione importante: decisi di definirmi etero e femmina cisgender; ma, cosa più importante, omofoba.

Dopo che c'era stata Keiarn, non volevo più saperne di avere rapporti con persone appartenenti a quella comunità.

E tutto era capitato solo a causa sua.

...

Il quartier generale della Void...

Dopo ore di viaggio e di ricerca, ero finalmente riuscita a trovarlo: vi si accedeva semplicemente infilandosi sotto ad un tombino nel bel mezzo di una strada, si oltrepassavano le guardie dandogli una buona ragione per poter accedere e poi era finita.

C'era un receptionist, il cui aspetto ricordava quello di uno degli elfi del Signore degli Anelli, Legolas, che indossava una camicia nera con il logo della Void - un cuore spezzato metà bianco e metà nero - e che sin da quando mi aveva vista entrare

«Chi sei? Chi ti ha dato il permesso di entrare?» mi chiese, puntandomi contro una pistola ionica.

«Il tuo peggiore incubo. Dimmi dove si trova il Master of Puppets» ribattei, a denti stretti.

Non stavo cercando di fare una reference ai Metallica, ma quello era il nome con cui colui che muoveva i fili della Void si faceva identificare.

«Sali le scale e raggiungi l'ultimo piano. L'ultima porta in fondo a sinistra, signora» spiegò, esitando.

«Ti ringrazio» dissi, poi gli rubai la pistola, lo colpii e seguii le indicazioni che mi aveva dato.

I corridoi della Void erano tutti uguali: pareti nere a sinistra, pareti bianche a destra e il pavimento che ricordava una scacchiera. E le scale alternavano i due colori. Man mano che salivo, si trovava sempre meno gente e si sentivano meno rumori provenire dalle varie stanze: all'ultimo piano, infatti, non c'era nessuno.

Bussai alla porta ed entrai solo quando una voce maschile profonda mi disse che sarei potuta entrare.

«Tu chi saresti?» mi chiese l'uomo.

Non mi sarei mai aspettata di trovare un tipo così a capo di un'organizzazione corrotta: aveva i capelli neri, era alto sul metro e sessanta, i suoi occhi erano grigi e la pelle bianca. Ed era vestito e truccato come un vero metallaro, con tanto di poster di band appesi alle pareti.

Mi guardava, seduto alla scrivania grigia che si trovava esattamente al centro della stanza.

«Una persona che combatteva contro di voi, ma che ora conosce il tradimento ed è disposta a collaborare.»

Misi istintivamente la mano sulla pistola ionica che avevo sistemato nella cintura poco prima, quando l'avevo sottratta a Legolas.

Non volevo assolutamente collaborare, ma trovare il modo di vendicarmi di quello che aveva fatto Keiarn e assumere il controllo della Void: avrei usato contro di lei quello che odiava per avvicinarla di nuovo a me.

«Ho trovato una degna succeditrice, eh?» commentò. Poi sorrise, alzò gli occhi al cielo e sospirò, girandosi a guardare una foto di gruppo dei Kiss in versione manga.

Mi cadde la bocca.

«Io... posso...?»

«Be', non ti sto dicendo di procedere per niente» disse, sorridendo. «Il mio tempo di gestire la Void è finito, ed è giunto il momento che qualcuno prenda il mio posto. Forza, sparami e prenditi quello che ti spetta.»

Feci un respiro profondo, ma infine obbedii: gli puntai contro la pistola, premetti il grilletto con noncuranza e lo stesi.

Perfetto.

Ora avevo ereditato uno studio pieno di poster di rock band, dei dipendenti e un quartier generale tutto mio.

Mi mancava solo la vendetta.

...

«Quindi? Chi è costei, Loyath?» chiesi al mio dipendente, affiancato dal suo collega di cui attualmente non ricordo il nome.

«Lei è Aar Khyan, signora. Una idol, signora. Un soldato della Galassia Quattro ha ucciso la sua ragazza, Ashyx Raiyar, e Khyan ha reagito prontamente, rivelando prestazioni fisiche praticamente perfette, signora. Lei è lesbica e usa pronomi femminili, signora» spiegò lui, tutto d'un fiato.

Avevo trovato il soggetto perfetto.

Sembrava la persona perfetta che avrebbe potuto far cadere Keiarn ai suoi piedi, e non appena le due si fossero incontrate avrei distrutto quella coppietta.

Altro che "siete importanti", "ti amo tantissimo" e "sono padrona della mia vita".

No, non è così che andrà a finire questa storia.

Almeno, non adesso che io ho capito come muovere i fili e che sto agendo di conseguenza.

Lo chiamerò protocollo Two-Faced Lie: da un lato, attirare una cliente e illuderla di stare facendo del bene, ma dall'altro manovrarla per i miei scopi e per il mio personalissimo rancore.

Funzionerà.

...

«Serviva davvero parlare di quel metallaro, o era più importante il resto della storia?» commentò sarcastica Nabia, non appena ebbe finito di ascoltare il discorso di Lux.

«Nabia, non...» la ammonì Zolay, che sorprendentemente venne ascoltata dalla donna.

«E Kharana e Aar, come si sono incontrate?» chiese Jude.

La graentiana dai capelli lilla sospirò e iniziò a illustrare passo per passo come lei e la sua attuale rivale si fossero conosciute e fossero finite per avere quel rapporto tremendo.

«Oh, capisco... be', Kharana, mi sembra un ragionamento insensato» osservò il meccanico «però è solo una mia opinione, pensa quello che vuoi.»

In tutto quel tempo, Keiarn era rimasta con le spalle appoggiate al muro, con lo sguardo rivolto in direzione del pavimento, senza emettere una parola o un sussurro.

Ma parve che qualcosa - un istinto indomabile, un'ira repressa - dentro di lei si risvegliò di colpo e la spedì in direzione di Lux, cogliendola di sorpresa e facendola finire lunga distesa.

Impugnava uno degli stiletti di Aar e lo puntava contro il collo della sua ex ragazza, con uno sguardo assassino mai visto fino a quel momento.

Aveva le lacrime agli occhi e non sembrava sicura di quello che stava per fare.

Il suo «MUORI!» e il suono di metallo che si scontrava con un altro oggetto dello stesso materiale risuonò nella stanza.

E poi, più nulla.

Spazio autrice

Ehm... a quanto pare siamo arrivati già a uno degli ultimi capitoli... SCUSATE!!

Era da marzo che non aggiornavo, vi sono mancati questi sbandati intergalattici? Forse Jude non così tanto, eh? Chissà...

Comunque, avete impressioni o suggerimenti? Consigli? Qualunque cosa? Come state?

(CAPITOLO DI 3000 E PASSA PAROLE?! Mi sto stupendo di me stessx...)

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