Capitolo 16 - Trauma

Nel Laboratorio di Ricerca Scientifica della Galassia Quattordici si poteva assistere ad ogni genere di spettacolo dietro al quale c'erano calcoli complessi, formule matematiche incomprensibili, studi durati anni ed esperimenti, di quelli se ne vedevano in continuazione. 

E mi ricordo che quando ci entravo, per me, era la sensazione più bella che si potesse provare.

Diventavo immediatamente la bambina di sei anni più felice del mondo, convinta che la vita fosse una cosa bellissima. 

Soprattutto stare lì, con i miei genitori, a guardare tutte quelle esplosioni e quella gente che continuava a provare, fallire, non arrendersi e ritentare fino a quando non raggiungevano i loro obiettivi.

I miei genitori lavoravano lì, e ogni volta che ne avevano l'occasione mi portavano con loro. Sapevano che mi piaceva, anzi, che lo adoravo, e facevano sempre di tutto per soddisfare il mio desiderio di conoscenza.

Poi, la cosa migliore era che lì dentro mi conoscevano tutti quanti, e io vedevo tutti quegli scienziati come i miei migliori amici, dal momento che non avevo nessuno a parte loro.

 I bambini della mia età non si interessavano a cose come la scoperta scientifica, il progresso, le conoscenze e giù di lì: ai ragazzi interessava solo di entrare a fare parte dell'esercito e "combattere per la giustizia e la libertà", mentre le ragazze sarebbero volute diventare tutte un'idol come Y'Ther, che aveva debuttato da pochi anni ma aveva già una discreta fama in giro per le Galassie.

"La luce dell'universo", la chiamavano. 

Mi chiedo se lo facciano tuttora... e perché.

Non so neanche se quella lì sia ancora in giro a cantare allegramente, oppure a svolgere il ruolo di antidepressivo per le persone senza speranza. Le Guerre stanno devastando l'Universo, prevalentemente per colpa di quei guerrafondai che sono i soldati della Galassia Quattro, ma finché sarei stata lì nel mio piccolo mondo mi sarei sentita tranquilla.

A differenza dei miei compagni di classe ignoranti e stupidi come non so cosa, preoccupati solo di sapere quale canzone canterà quella idol galattica al suo prossimo concerto o di quale squadra vincerà l'incontro di Mortal Rings di sabato sera.

A volte non capisco perché ci stiamo riducendo così, quando ci sono cose molto più importanti di quelle.

Io e la massa non siamo mai state amiche, né lo saremo mai.

Intanto gli anni passarono, più veloci del previsto, e raggiunsi senza alcun tipo di problema mentale i miei dieci anni. Be', perché sto dicendo questo? Perché a dieci anni successe una cosa che mi cambiò completamente.

Successe tutto troppo in fretta.

Non riuscii a prevederlo.

Ci trovavamo, come al solito, nella nostra "cabina", termine con cui  vengono comunemente chiamate quelle astronavi molto piccole che si possono permettere tutti. Sono su un piano solo, e dentro hanno tutto il necessario: un bagno, un paio di letti, una cucina, un tavolo, delle sedie, un frigo e una televisione, il tutto chiuso in uno spazio molto stretto in cui diventare claustrofobici è immediato. 

Stavo guardando il concerto di Y'Ther su quel televisore microscopico ma con una qualità audio impeccabile, quando la nostra astronave iniziò a tremare violentemente. Si fermò un secondo, e dopodiché ripartì. Solo quando da fuori iniziai a sentire i rumori degli spari e delle imprecazioni dette da un gruppo di persone con un marcato accento della Galassia Quattro, riuscii a capire che cosa stava effettivamente succedendo: eravamo sotto attacco.

Imprecai mentalmente, perché se l'avessi fatto verbalmente sarebbe finita... peggio.

Dovevo fare qualcosa, ma cosa? Ero una bambina di dieci anni, non è che avrei potuto salvarci da sola.

I miei genitori si misero subito ad armeggiare con il pannello di controllo dell'astronave, e io mi avvicinai a loro come per implorare conforto e rassicurazione, anche se sapevo che c'erano alte probabilità che non mi avrebbero dato nessuno dei due. 

«Tranquilla, Zolay, non devi avere paura di nulla. Come sono arrivati, adesso se ne andranno» provò a calmarmi mia madre, continuando a premere tasti - ai miei occhi da bambina in maniera del tutto casuale - sul pannello di controllo olografico, che intanto continuava ad emettere suoni.

Avrei voluto provare a dirglielo, ai miei genitori, che quelli della Galassia Quattro erano da sempre stati la potenza militare per eccellenza nell'Universo, avrei voluto spiegargli che sarebbe stato quasi impossibile uscirne vivi quando c'erano di mezzo loro, avrei voluto informarli del fatto che la possibilità di morire se attaccati da loro è pari al 99,9% ma ero troppo spaventata per parlare in quel momento.

Però se non avessi parlato le opportunità di morire sarebbero aumentate, e tutto il mondo che conoscevo sarebbe stato distrutto.

Morire... quella parola non l'avevo mai capita, e in un certo senso mi spaventava.

«Mamma, sono troppo forti per noi, anche se proviamo a difenderci alla fine moriremo ammazzati...» dissi infine.

«Tesoro.» Mia madre continuava a digitare comandi anche senza guardare lo schermo olografico, ed incrociò il mio sguardo con i suoi occhi di vetro che avrei tanto voluto avere.  «Nella vita bisogna essere forti, se si vuole sopravvivere. Anche se un obiettivo - come in questo caso - ti sembra qualcosa di irraggiungibile, è importante continuare a combattere, resistere fino all'ultimo, fino a quando ce la si farà. E anche se infine non ci si riesce, almeno si rimane con la soddisfazione di averci provato.»

La guardai con le lacrime agli occhi, immaginando che quella sarebbe rimasta l'ultima volta che l'avrei vista. Dentro di me, per qualche strana ragione, avevo un presentimento che questo pensiero sarebbe diventato la realtà dei fatti.

«Guerrieri non si nasce, Zolay, ci si diventa. E si è sempre in tempo.»

Poi, uno degli oblò dell'astronave si spalancò di colpo, facendomi prendere un colpo di quelli che non si dimenticano facilmente. Da lì entrarono un braccio e una pistola, quindi non si riusciva a capire a chi effettivamente appartenevano, e spararono sia a mio madre che a mio padre sulla tempia, nello stesso momento, con una velocità che mi stupì.

Capii immediatamente cosa avrei dovuto fare e agii di conseguenza: mi nascosi nel primo luogo strategico in cui sicuramente non avrebbero guardato: il frigorifero che, come al solito, era vuoto. Era grande abbastanza perché potessi starci dentro rannicchiata, e dal momento che tutti i nascondigli possibili nell'astronave sarebbero stati luoghi ovvi dove trovarmi... be', dovevo farmelo andare bene.

Sentii i rumori dei passi che entravano, e mi sembrarono quelli di un uomo, a giudicare da quanto chiasso facevano, talmente tanto che a momenti penso che avrebbe fatto perdere quota all'astronave in modalità pilota automatico. A giudicare da quello che udii dopo, avrei potuto dire con certezza che stava mettendo a soqquadro il luogo in cui vivevo, probabilmente perché aveva notato che mancava un corpo alla sua collezione. Sentii addirittura il rumore di vetro che si distruggeva.

Qualche parolaccia, forse un'eresia che non posso riportare - se ho sentito bene - e poi i passi che si facevano via via più lontani.

Rimasi sola col silenzio della nave.

Spazio autrice

Ciao a tutti, come va? Spero tutto ok! Mi auguro che questo capitolo concentrato su quello che ha causato il disturbo da stress post-traumatico di Zolay vi sia piaciuto :3 Ovvio che i capitoli sul suo backstory non sono finiti, difatti ce ne sarà ancora un altro. Poi ce ne sarà un altro su Keiarn, uno o due su Jude O'Brien... insomma, mi pare chiaro che secondo me è d'obbligo che conosciate i personaggi e cosa li ha fatti diventare quello che sono ora. Adesso io vi saluto, ci si legge al prossimo capitolo :3 

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