8. Phoenix's little secret (4)
Arco I: Evolution
Capitolo 8: Phoenix's little secret (4)
Mentre parcheggiava davanti all'entrata del Naughty Sunday, Vincent corse ancora una volta col pensiero a Fanny e Marika, alle parole della signora Morgan, 'è meglio che Fanny per ora non veda nessun uomo'. Nonostante la vaghezza della frase, Vincent credé di capire dove voleva andare a parare, del resto vivevano a Phoenix, città dove da mesi non passava giorno senza che la notizia di uno stupro passasse al telegiornale.
Phoenix stava diventando invivibile.
Il pensiero che qualcuno avesse allungato le mani su Fanny gli faceva salire la bile in gola: era impensabile, assurdo, era troppo crudele. Avrebbe voluto avere chiunque l'aveva fatta soffrire tra le mani – gli prudevano così tanto, ed erano così strette che aveva le nocche bianche – per picchiarlo fino a sentirsi male.
Trasse un profondo sospiro prima di smontare di sella, l'erba umida e fredda di inizio settembre sotto i piedi; neanche lui sapeva bene perché si era recato al Naughty Sunday: non aveva da lavorare, non aveva appuntamento con nessun conoscente. Non gli sarebbe dispiaciuta la compagnia di Shaun.
Se fosse tornato a casa avrebbe però visto Thomas e Jonathan, opzione per lui decisamente poco attraente, e con casa Morgan off-limits le alternative rimanevano due: lo studio di Giles, sicuramente però in fase di chiusura, e il locale.
Avrebbe telefonato comunque all'amico per chiedere notizie di Fanny, Vincent era sinceramente preoccupato; Fanny era debole, non era forte come loro, aveva bisogno di essere protetta e di sentirsi amata, come un cucciolo di animale. Era da sempre al suo fianco in quasi tutto ciò che faceva: compagna di giochi, di classe, di serate a tema pizza e film horror, migliore amica, confidente, membro del party. Avevano creato da bambini una lingua segreta che Vincent ancora ricordava a memoria. Era forse l'unica ragazza così vicina a lui con cui non aveva mai flirtato, l'unica che non aveva tradito in nessun modo. La prima con cui aveva fatto un interminabile giro della città in moto poco dopo averla acquistata.
Non importava per quanto tempo lo avrebbe evitato, lui ci sarebbe stato appena avesse acconsentito a vederlo.
Scoccò un'occhiata all'orologio mezzo nascosto dalla manica del giubbotto, per scoprire che erano le ventuno e trenta; non sarebbe rimasto molto, giusto il tempo di bere qualcosa e magari scambiare quattro chiacchiere con il barista. Ignorare la realtà, insomma.
Ignorare che una persona che aveva estremo bisogno di lui non poteva vederlo e che lui non poteva farci niente. Fare di testa sua l'avrebbe solo portato a ferire Fanny.
Si affrettò a raggiungere la porta, evitando volutamente uno sguardo insistente che lo aveva incatenato subito dopo aver parcheggiato; con la coda dell'occhio riuscì a notare la solita auto che ben conosceva.
"Ancora quei poliziotti..." non si voltò a guardarli e proseguì oltre l'ingresso passo dopo passo sull'asfalto grigio striato di ombre nere, finché finalmente la fastidiosa sensazione di essere tenuto d'occhio gli scivolò dalle spalle.
Ogni legittima domanda sul perché i due si ostinassero a condurre indagini private venne spazzata via dall'onda di calore e chiacchiere misti a musica che lo investì una volta dentro; quella sera, probabilmente perché nel pieno della settimana, la confusione era assai limitata e i presenti erano per lo più ai tavoli, affogando in drink, discorsi frivoli e risate, mentre sulla pista da ballo al momento vuota si riflettevano luci colorate di rosso.
Vincent attraversò la sala velocemente e senza riconoscere nessuno in particolare, le sue conoscenze vivevano per lo più nella Central City ed era raro incontrarle a Tempe. E la sua clientela non era abitudinaria nei giorni lavorativi.
Si sedette al bancone, o meglio si lasciò cadere a peso morto sulla sedia, sollevò pigramente una mano e salutò il barista e Marylin, la prostituta bionda che era un po' il pagliaccio del locale. Non che Vincent avesse qualcosa contro di lei, il fatto era che la donna era... era... rinomatamente stupida.
«Hey, se non è il piccolo Hound!»
E anche irritante a volte, specialmente quando lo chiamava piccolo Hound.
Vincent ordinò con una specie di grugnito un cocktail e curvò il collo per trovarsi faccia a faccia con lei, seduta due sedie a destra, stretta nei suoi soliti completi succinti che evidenziavano il suo corpo perfetto; il suo sguardo procace la diceva lunga su quanto fosse ormai una veterana, ma ciò non toglieva che aveva dei bellissimi occhi blu mare.
Belli quanto quelli di Alicia Reed, pensò Vincent. A proposito, chissà che fine aveva fatto quella tizia...
«Che ci fai qui di mercoledì? L'appuntamento con quel bel modello che ha occhi solo per te non è il giovedì?» gli chiese, curiosa e decisa, coi gomiti e il petto appoggiati al bancone e lo sguardo di una pettegola «Lacey non c'è stasera, se la cerchi.»
Fatto curioso, quello. Non capitava spesso che Lacey uscisse la sera, Vincent immaginò velenosamente e con una punta di disgusto che avesse un appuntamento con Jonathan.
«Che delusione.» fece lui, ironico, con una mano sotto la guancia e gli occhi affilati «Credo che mi metterò a piangere.»
Marylin, Vincent non aveva mai compreso il senso di quel soprannome, scrollò le spalle e mise su una discussione a senso unico sugli ultimi pettegolezzi del bar; le labbra carnose erano incurvate in un sorriso, la pelle lattiginosa cosparsa di glitter rosa che gli ricordarono Red, gli occhi si illuminavano di cattiveria quando aveva materiale con cui sparlare dei suoi colleghi. Quel tipo di malizia era comune a tutti i lavoratori del Naughty Sunday, non ve n'era uno che non sapeva rivelarsi crudele; Vincent non faceva eccezione.
La ragazza lavorava lì da molto più tempo di lui, circa un paio di anni, era stata tra le prime prostitute ingaggiate da Lacey, si proclamava legata sentimentalmente a quel luogo, fortunata ad essere stata presa dalla strada e messa sotto l'ala protettrice della signorina Smith.
Spesso, sentendo Vincent lamentarsi di come lavoravano, gli dava un buffetto amichevole sulla guancia, ribadendo che lui non aveva la minima idea di quanto la vita di una prostituta fosse un inferno fuori da quelle mura.
Questo Vincent non lo metteva in dubbio, ciò che invece si chiedeva era perché lui lavorasse lì, quale strano sortilegio lo spingesse a vendersi in quel modo. A lui non piaceva prostituirsi, odiava essere toccato da altri, eppure non capiva perché non riusciva a ribellarsi ed accettava tacitamente di andare avanti.
«Marylin...» decise di provare, quando il cicaleggio della ragazza diminuì e il suo bicchiere ghiacciato di Campari fu servito «Tu stai qui da tanto tempo, giusto?»
«Due anni e mezzo!» dichiarò con orgoglio la bionda, che se da un lato non amava essere interrotta, dall'altro era fiera di poter ribadire il concetto.
Vincent accostò alle labbra il bicchiere ed ingoiò velocemente un sorso, quindi sorrise come un gatto che tende un agguato a un topo, con le dita le fece cenno di avvicinarsi.
A Marylin piacque quel gioco di complicità e ricambiò l'espressione felina, e cadde come un allocco in trappola: accorciò di netto la distanza e si appoggiò a lui spalla a spalla, sensualmente.
Non era quello il tipo di avvicinamento che Vincent cercava, ma ormai era in ballo e doveva ballare.
Il capo inclinato a sinistra verso di lei e il dito indice che volutamente picchiettava contro il vetro del bicchiere bagnato di ghiaccio, producendo un tintinnio con l'unghia, l'atmosfera creata da Vincent sembrava richiamare un film di spionaggio.
«Certo che non si è mai vista una cosa come questo posto.» le sussurrò, ignorando il barista Sam, che li guardava male con la coda dell'occhio mentre lavava i piattini qualche metro più in là, deluso di non essere stato coinvolto nella discussione «Intendo dire che nonostante i controlli e quei due poliziotti che cercano sempre di fregarci, nessuno ci ha mai scoperti o denunciati. Neanche il governo durante la Guerra Fredda era ben organizzato come noi, eh?»
La sottile risata orgogliosa di Marylin gli solleticò le orecchie; la ragazza appoggiò il mento su una mano, giocando con le sue ciocche ricce «Haha, credimi: potremmo anche uccidere qualcuno e non essere scoperti.»
"Woah, che scelta di parole pesante!" pensò Vincent, che tuttavia condivideva quell'affermazione. Rise sottovoce assieme a lei per reggerle il gioco «Parli come se avessi visto dei cadaveri in casa di Lacey!»
Qualcosa nell'espressione della ragazza cambiò radicalmente: il sorriso si fece bianco come un cencio e le guance pallide, la luce adesso non disegnava più contorni tondi e curvi sul suo volto, ma evidenziava le ossa contratte in uno spasmo, nei suoi occhi dilatati Vincent lesse un'indicibile paura.
Non sembrava più la biondina che starnazzava pettegolezzi ad ogni occasione, ma una bambina che ha appena visto il suo amato cane venir brutalmente picchiato dai bulli.
L'intero corpo di Marylin stava gridando al pericolo.
Vincent sentì i suoni della sala ammutolirsi e lo sciabordio dell'acqua del rubinetto fermarsi, avrebbe cercato di convincersi che Marylin lo stava egregiamente prendendo in giro, ma fu allora che la ragazza si fece così vicina che con un solo, movimento avrebbe potuto addirittura baciarlo, e gli sussurrò all'orecchio con una voce che non sembrava la sua.
«Forse dovresti fare un giro nel seminterrato...»
E scivolò via da lui, lasciandolo lì, con in mano un bicchiere mezzo vuoto che non avrebbe più toccato.
***
Trovare il coraggio di andare a verificare se Marylin diceva la verità o lo aveva solo preso in giro richiese a Vincent parecchio tempo. Si rifugiò al piano superiore, dove solitamente non sarebbe mai andato senza un cliente, ma che era anche l'unico luogo a cui pochi avevano il permesso di accedere e dove sarebbe riuscito a ragionare in pace sull'accaduto.
Era entrato nella stanza dove aveva condotto tempo prima Alicia Reed e, chiusa la porta, vi si era accasciato contro con un sospiro fino a sedersi sul pavimento.
Aveva bisogno di calmarsi e pensare, calmarsi e pensare...
"Andiamo... cadaveri! Adesso stiamo proprio esagerando!"
Ma che motivo avrebbe avuto Marylin di mentirgli? Proprio a lui, che mai le aveva arrecato un torto e che le reggeva sempre il gioco quando aveva voglia di spettegolare; in effetti, poi, immaginarsela ad infilare il naso un po' in tutto ed esplorare lo scantinato non gli riusciva così difficile.
Ma quando era accaduto? Ammesso che avesse veramente visto dei morti, Replica e Lacey se ne erano già disfatte? Era per quel motivo che non si trovavano al locale quella sera? E perché Marylin non era andata a denunciare l'accaduto? La risposta all'ultima domanda gli si parò chiaramente davanti agli occhi ancor prima di ragionarci seriamente: Marylin amava il Naughty Sunday, era la sua casa, Lacey l'aveva salvata dalla crudeltà della strada e lei non poteva ricambiarla denunciandola e mettendo a rischio tutto ciò che aveva. Per questo lo aveva detto a lui: per scaricare le proprie responsabilità su qualcun altro. Marylin riconosceva l'orrore che aveva visto, ma aveva deciso di non essere nella posizione adatta a giudicare e agire.
E adesso lui che cosa avrebbe fatto?
Perché diavolo si era immischiato in quella faccenda? Lui voleva solo capire se era l'unico a sentire il bisogno di quei rapporti sessuali o se era una specie di maledizione di tutti quelli che passavano per il Naughty Sunday.
"Qui sta succedendo qualcosa di strano... e inquietante."
Pur pensandolo da diverso tempo, solo allora riuscì ad ammetterlo; sollevò gli occhi sul buio intorno a sé, trovandolo spaventoso come sempre, ma affrontabile.
"E io devo scoprire cosa."
Abbandonò il supporto rassicurante della porta e si alzò, bilanciandosi sulle proprie gambe dopo un primo momento di smarrimento, il suo corpo sembrò pesare più di prima.
Decise che lo avrebbe fatto: sarebbe sceso nello scantinato.
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