6. Fall to pieces (2)

Arco I: Evolution

Capitolo 6: Fall to pieces (2)

Appena uscita dal supermercato, la prima cosa che Fanny fece fu calare sulla testa il cappuccio della felpa azzurra che indossava; si era vestita nel modo più anonimo possibile per non attirare l'attenzione, ma a poco serviva quando la gente si rendeva conto del suo albinismo. Questo succedeva in massima parte per colpa di Giles, il quale, al contrario della sorella, non esitava a mostrare liberamente la sua particolarità.

Non gliene faceva certo una colpa, anzi ammirava molto suo fratello, forse ne era addirittura invidiosa; Giles non si era mai curato del giudizio degli altri, era una persona estremamente riservata ma non fragile, al contrario era invece molto sicuro di sé, giudizioso, in grado di parlare con chiunque e partecipare a qualsiasi situazione senza mai risultare fuori luogo.

Era nato per essere un leader, ma aveva sempre preferito affidare la leadership ad altri, rimanendo dietro le quinte a studiare tutto ciò che si prospettava davanti ai suoi occhi con fermezza e, a volte, senza pietà.

Anche lui aveva subito denigrazioni, ma non si era mai lasciato abbattere.

Fianco a fianco, i due ragazzi camminavano per la strada con le mani piene di buste di carta marrone, il passo rallentato dal peso della spesa.

Fanny, sorridente, si complimentò con se stessa «Nessuno può battermi! Il potere dei miei cupon ci ha fatto risparmiare un sacco di soldi!»

Giles scosse la testa piano, emettendo un sospiro profondo «Sei proprio tirchia, Fanny...»

«Ti sbagli: sono lungimirante! Oggi non abbiamo problemi economici, ma col mercato in crisi non sappiamo se domani saremo poveri. Dobbiamo risparmiare!»

Il tentativo della ragazza di far valere le sue ragioni venne però miseramente distrutto dal fratello, che le scoccò uno sguardo di sbieco.

«Risparmiare per qualche videogioco, immagino.»

"Sgamata!" Fanny improvvisò un sorriso tirato «Beh, sai... tutti parlano bene di questo nuovo Tales of Xillia*...»

Uscirono dal parcheggio dopo aver atteso che una macchina facesse goffamente manovra, Giles guardò male la guidatrice ma Fanny gli sferrò una gomitata nel fianco; la ragazza conosceva fin troppo bene suo fratello per non sapere cosa stava per dire.

«Donne al volante...» la tanto odiata frase non tardò infatti ad arrivare.

«Non provarci.» lo ammonì lei.

Uno dei maggiori difetti di Giles era sicuramente la poca fiducia nel genere femminile, cosa che, si diceva spesso Fanny, non ci si aspetterebbe mai da una persona così intelligente.

La macchina bianca sgommò e, probabilmente a causa di una marcia mal inserita, le ruote fecero uno strano e poco piacevole suono prima di immettersi in strada.

Sul viso dello psicologo si disegnò un sogghigno soddisfatto, mentre la ragazza sospirava, chiedendosi perché lui dovesse sempre avere ragione alla fine.

Avevano lasciato l'auto in una traversa non molto lontana, ma come sua abitudine Giles le fece segno di aspettare lì: non ci sarebbe voluto molto, Fanny lo sapeva, ma ogni volta che restava da sola per strada aveva l'impressione che gli sguardi che le venivano lanciati di nascosto si moltiplicassero.

Odiava sentirsi osservata.

Cautamente, tirò un po' più giù il cappuccio sul viso, arrivando quasi ad ostruirsi la visuale; il debole e lontano urlare di una sirena di un'autoambulanza in arrivo le diede una spiacevole sensazione, istintivamente fece un passo indietro sul marciapiede, bagnato da quella che sperava fosse acqua piovana, e si chiese se l'ingorgo che avrebbe di certo creato il passaggio del veicolo speciale avrebbe fatto ritardare Giles.

La lunghissima Washington street in quel momento le sembrò più buia di quanto era in realtà, ma si disse che doveva essere solo un qualche strano effetto ottico o la stanchezza che si faceva sentire; in effetti non era abituata a star fuori casa e più volte durante l'uscita aveva avuto improvvisi mal di testa o leggera nausea, il tutto molto veloce e passeggero, ma suo fratello non si era lasciato scappare l'occasione per rimproverarla e spronarla ad uscire più spesso.

Un altro passo indietro, la sirena suonava ora più forte e violenta, molto più vicina di prima, quando le passò davanti, a neanche dieci metri di distanza, la ragazza fece per portare le mani alle orecchie ma gelò sul posto, immobile, quando la sirena le sembrò urlare con voce di donna.

La schiena fu attraversata da un brivido freddo, che le raggiunse le spalle e la fece tremare, gli occhi sbarrati e le guance pallide, il viso scattò d'istinto nella direzione da cui quel suono terrificante l'aveva investita: il vicolo alla sua destra.

Il suo cuore in tumulto lottò duramente contro il cervello, che le suggeriva mille opzioni diverse: aveva sentito male? Non era una cosa seria come sembrava?

Non aveva alcun dubbio in realtà: come il richiamo di un animale ferito, quella richiesta d'aiuto si era alzata verso il cielo forte e chiara. Qualcuno era in pericolo.

Ma Fanny aveva paura.

Se fosse stata in un videogioco si sarebbe gettata in pasto al pericolo, ma nella vita reale non esistevano time-loop, e neanche item in grado di resuscitare: il game over era uno e per sempre.

"Che cosa faccio?" si domandò, innervosendosi "Dov'è Giles?"

Non era il caso di telefonare al 911 solo per un urlo, non l'avrebbero presa sul serio, né forse sarebbero arrivati in tempo per salvare qualcuno che poteva essere in pericolo.

Gli occhi spaventati cercarono delle risposte nel buio della stretta stradina del mistero, e dopo qualche altro secondo di lotta interna, Fanny vi si avventurò con le labbra strette e il cuore in tumulto.

***

"Dov'è finita?"

Il primo pensiero formulato da Giles fu il più banale di tutti, ma anche l'unico che gli veniva in mente mentre cercava con lo sguardo sua sorella.

Erano bastati cinque minuti d'attesa a farla volatilizzare? Era tornata dentro il supermercato per prendere qualcos'altro? O forse gli stava facendo uno scherzo?

Parcheggiò la macchina una seconda volta, in doppia fila e senza preoccuparsene: se avesse ricevuto una multa se ne sarebbe fatto una ragione e avrebbe costretto Fanny a pagarla. La mano sinistra corse alla tasca della giacca nera, alla ricerca del cellulare.

Le telefonò due volte ma non ottenne risposta, alla terza fu la robotica voce della segreteria telefonica a fargli capire che qualcosa non andava.

Scese dalla macchina e raggiunse il punto in cui l'aveva vista per l'ultima volta, col cappuccio calato sui capelli chiari e lo sguardo arrabbiato.

Fanny non voleva uscire quella sera, l'aveva costretta lui a mettere il naso fuori di casa.

E ora era sparita.

«Fanny!» la chiamò una, due, tre volte, alzando sempre più la voce fino a quando tutti quelli che passavano di lì, persino gli automobilisti, non si girarono a guardarlo con curiosità. Chiese informazioni, ma nessuno seppe aiutarlo.

Quante cose negative potevano accadere ad una ragazzina sola? Quante ad una ragazzina con tratti somatici rari? Giles si costrinse a calmarsi, il suo respiro era irregolare, e dopo aver tentato ancora inutilmente di raggiungerla al telefono, gettò lo sguardo in direzione del vicolo alle sue spalle: per un attimo, nel momento in cui la segreteria aveva tradito le sue aspettative, gli era sembrato di sentire la voce di sua sorella giungere da lì.

Non era molto largo, avrebbe potuto contenere ad occhio e croce due uomini adulti in piedi l'uno accanto all'altro, non vi era illuminazione e dopo un paio di metri la poca luce della Washington street si esauriva.

Era pur sempre un punto da cui cominciare le ricerche.

A grandi falcate, tanto che al primo passo una scarica di adrenalina quasi gli paralizzò una gamba, si lasciò avvolgere dall'oscurità crescente e dall'odore della spazzatura abbandonata agli angoli, dalla quale ogni tanto uno squittio avvertiva che quello o quell'altro cumulo maleodorante era proprietà privata.

Non vi era tempo per il disgusto, per quanto Giles trovasse assurdo che in una delle città più grandi e tecnologiche del mondo si potessero ancora trovare scenari simili.

I suoi timpani vennero trapanati da un urlo che lo scosse come un terremoto; stavolta non c'erano dubbi: era sua sorella ad urlare.

«Fanny!» gridò per farsi sentire, per farle capire che a breve non sarebbe più stata sola, e si gettò in una corsa a perdifiato attraverso quella lunghissima, interminabile falange dove neanche la luce delle stelle arrivava e gli occhi erano costretti ad abituarsi al buio.

Fu in prossimità della fine della strada, quando delle figure cominciarono a delinearsi nelle tenebre, che il fiato gli si spezzò in gola e sbarrò gli occhi.

Senza curarsi di comprendere la situazione si gettò addosso all'uomo che agguantava con forza Fanny per i capelli e cercava di buttarla a terra.

«Lascia stare mia sorella, figlio di puttana maledetto!» gridò con tutto il fiato che aveva nei polmoni mentre lo colpiva in piena faccia con un pugno.

L'aggressore perse l'equilibrio e cadde per terra.

Fanny venne finalmente lasciata e si rannicchiò di corsa vicino al muro, piangendo il nome del fratello.

«Ammazzalo, Giles, quel bastardo!» gli intimò tra le lacrime, anche lei fuori di testa.

Non c'era bisogno che fosse Fanny a dirglielo, Giles non lasciò tempo di respirare allo sconosciuto – un uomo con una faccia anonima e una barba nera incolta, dai tratti europei. Pugni, calci, sberle, se non fosse stato assolutamente contro la sua natura Giles gli avrebbe persino sputato addosso per essersi permesso di far del male a sua sorella.

Pur non avendo visto tutto, la situazione in sé parlava chiarissimo, così come la voce dello speaker del telegiornale nella mente del giovane psicologo, quando, nelle ultime settimane, ridondava sempre la stessa notizia: il tasso di stupri di Phoenix saliva, saliva, saliva, rendendola una delle città statunitensi più pericolose.

Lo sbatté a terra e gli piantò brutalmente un ginocchio in mezzo al petto, mentre l'uomo tossiva e... piangeva. Nonostante la reazione inaspettata, Giles non fu attraversato da nessun moto di pietà né rimorso, solo da confusione.

Sollevò gli occhi a Fanny, che nel frattempo riprendeva fiato col volto di chi ha appena vissuto la più orribile esperienza della sua vita. Aveva una spallina della felpa abbassata, ma non sembrava aver subito nessuna violenza: nemmeno un livido o un graffio, si era solo presa un grande spavento per fortuna.

Ma questo non fu abbastanza per suscitare compassione nell'albino «Pezzo di merda, che cosa volevi fare a mia sorella? Ah?»

Neanche Fanny lo riconosceva più, non aveva mai visto suo fratello arrabbiato, ma non volle fermarlo per paura di avvicinarsi di nuovo a quel mostro. Piuttosto si ricordò di qualcosa che la spinse a chiamarlo, con voce tremante e ancora rotta da lacrime e singhiozzi.

«Giles... lì c'è una donna... s-svenuta...» alzò un dito tremolante, che non riusciva ad indicare per più di un secondo la stessa direzione; là, in mezzo all'oscurità, dove Giles riuscì a scorgere con difficoltà una scarpa, un piede, una gamba e poi un corpo prono, una massa di capelli biondi ed una mano abbandonata in mezzo allo sporco.

E vestiti, vestiti che a prima vista potevano sembrare rimasugli di barboni e che invece erano colorati, femminili, alla moda.

Si sentì inorridire: dovevano fare qualcosa, quella donna poteva essere ferita. Anche Fanny aveva bisogno d'aiuto.

Ma prima sentì il suo sguardo calamitato dall'altro, che ancora teneva bloccato a terra, e che come se non fosse lì con la mente – droga? Alcool? A cosa era da addebitarsi quell'espressione inconsapevole e spaventata? –, vagava con gli occhi chiari sul cielo buio, la bocca deformata in una smorfia di disperazione.

Sembrava essere lui il primo a chiamare aiuto, e ciò non poté che suscitare l'insaziabile curiosità della mente contorta di Giles, che per un attimo arrivò pericolosamente a dimenticarsi della situazione in cui erano.

«Perché l'hai fatto?» chiese a voce chiara ma bassa.

La risposta tardò ad arrivare, come un climax che conclude un'opera che ha tenuto col fiato sospeso il pubblico.

Confusa nell'afa estiva, la frase che rese la stretta di Giles sul colletto dell'altro più debole fu «Non lo so... ne avevo bisogno...»

Fanny scoppiò di nuovo a piangere, chiusa a riccio su se stessa e in lite con il mondo orribile che la circondava, ma il suo crudele fratello la costrinse a vivere ancora qualche altro minuto di quella situazione, ordinandole un gelido «Fanny, chiama il 911.»    

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