3. Race of regrets (1)
Arco I: Evolution
Capitolo 3: Race of regrets (1)
Attraversare Phoenix in moto era a detta di molti un grande spreco di tempo, gasolio e soldi. Vincent sapeva che sarebbe stato più conveniente utilizzare i mezzi pubblici, ma da quando aveva ottenuto la sua adorata Ninja non poteva fare a meno di utilizzarla in ogni occasione, anche col più stupido dei pretesti. Secondo i suoi colleghi del Naughty Sunday metteva le corna a tutti i suoi clienti con la moto.
Sfiorava il limite di velocità, prestando attenzione ad ogni cosa attorno a sé. Era da poco uscito dalla Loop 101, più caotica del solito per via del weekend appena iniziato, portava sulle spalle uno zaino nero con dentro ciò che portava normalmente con sé più un'aggiunta: il pigiama. Aveva infatti in programma di passare il weekend a casa di Fanny Morgan, un'amica d'infanzia che lo aveva contattato la sera prima invitandolo a passare due giorni in casa sua con un pretesto a dir poco terribile: sento la tua mancanza. Chiunque conoscesse Vincent sapeva quanto poco lo toccassero frasi di questo genere. Ma l'insistenza di Fanny era diventata stranamente pressante, fin quando non aveva ceduto raccontandogli parte della verità.
"Giles mi deve dire qualcosa, eh? Che diavolo vorrà suo fratello da me?" si domandò il ragazzo mentre sterzava, attraversando ad alta velocità un incrocio.
Una macchina proveniente dalla corsia opposta sfoderò gli abbaglianti per segnalargli che era quasi in mezzo alla strada. Vincent non vi diede peso e continuò a risalire lungo la via, mentre il vento caldo gli si infilava sotto i vestiti leggeri, trasmettendogli un brivido lungo la schiena.
Gli era sempre piaciuto Scottsdale, il sobborgo regno della nightlife di Phoenix, vi si recava molto volentieri quando poteva, spesso con la scusa di andare a trovare Fanny. Mentre avanzava serenamente, ricordando quanto di notte quella zona gli apparisse del tutto diversa - non erano i palazzi a spostarsi o le strade ad allargarsi, era la gente che passeggiava, gli sguardi felini e la generale frenesia -, sollevò gli occhi dalla strada e notò che il cielo mattutino cominciava ad annuvolarsi.
«Non vorrà mettersi a piovere proprio ora? Dannazione, devo volare!» sbuffò, chiedendosi perché con un intero anno a disposizione i nuvoloni si stessero preparando a rovinargli proprio la giornata in cui finalmente staccava la spina.
Doveva imprimersi nella mente che per i prossimi due giorni Lacey, Jonathan e tutte le altre sue abituali ossessioni sarebbero dovute rimanere solo un'ombra della sua vita. Finché era a Scottsdale c'erano solo due cose degne di importanza: l'immancabile uscita di quella sera e le doti culinarie di Fanny.
Casa Morgan si trovava in una zona tranquilla del sobborgo, al confine con la Paradise Valley, fatta da villette a schiera che si estendevano a perdita d'occhio, omologate ma non per questo noiose. Era uno di quei quartieri che Vincent vedeva sempre nei film ma quasi mai dal vivo, abitando in una zona di condomini.
Erano le undici e trentacinque quando il ragazzo, all'ombra degli alberi che si susseguivano lungo il viale, giunse finalmente a destinazione. Scese dalla sella e si sentì rinato, il troppo tempo passato in una posizione rigida gli aveva irrigidito ed infreddolito i muscoli. Nell'abbassarsi per mettere le catene alla moto notò poco lontano sul vialetto una Ford nera con un discutibile adesivo con una papera cartoon sul retro.
Uno spontaneo sorriso obliquo si allungò sulle sue labbra: avrebbe riconosciuto ovunque quell'adesivo, una piccola vendetta di Fanny al fratello maggiore.
Mise in spalla lo zaino e si diresse con passo sicuro verso la vettura ferma davanti alla saracinesca del garage. Proprio in quel momento lo sportello si aprì, lasciando che a scendere fosse un uomo in giacca e cravatta affetto da albinismo.
«Hey, Giles!» lo salutò alzando una mano.
Un'espressione di sorpresa alterò l'impassibilità di Giles, ma fu subito sostituita da uno di quei sorrisi arcuati che Vincent e Fanny definivano da cattivo dei videogiochi.
«Chi non muore si rivede, Vincent. E in effetti cominciavo a chiedermi che fine avessi fatto.» disse a voce moderatamente alta, in modo da essere sentito distintamente «Bella giornata, non trovi?»
«Una bella giornata che avrai sicuramente passato chiuso in ufficio.» rise il ragazzo quando gli fu vicino.
Notò che Giles sembrava dimagrido, forse aveva poco tempo da dedicare a se stesso da quando aveva aperto il suo studio di psicoterapia.
«Ammetto la mia colpevolezza.» confermò l'uomo, che nel frattempo aveva chiuso la macchina e inserito l'antifurto. Un familiare beep attraversò l'aria mentre infilava una mano nella tasca della giacca, per poi affiancarsi a Vincent «Hai avuto fortuna a incrociarmi. In casa c'è solo Fanny, avresti potuto passare le prossime tre ore a bussare invano.»
Scherzando come due vecchi amici, entrarono in casa. Vincent era sinceramente contento di rivedere Giles dopo mesi, era così raro trovarlo a fare vita sociale non con studiosi morti da anni o la cui voce era veicolata dai libri. Tanto duro lavoro aveva però fruttato parecchio, facendo di Giles una giovane promessa della psicologia.
«Pulce!» chiamò a gran voce Giles, senza però aspettarsi una risposta.
«Arrivo! ... e non chiamarmi pulce!» fu invece lo sbraitare che giunse dal secondo piano.
Giles gli fece cenno di mettersi comodo e lasciare la borsa sul tavolo, per poi perlustrare il frigorifero alla ricerca di qualcosa che evidentemente non trovò.
«Tanto per cambiare mia sorella è così efficiente da non lasciare neanche le briciole. Mi dovrò accontentare di uno snack al volo.»
«Vai via di già?»
Ma soprattutto: andava via senza neanche dirgli quello per cui era stato chiamato?
Lo psicologo annuì, stringendo una mano sul bordo della spalliera di una delle sedie «Sono passato solo a prendere alcuni documenti, questo lavoro non lascia un attimo di respiro. La tua vita invece come procede?»
Vincent fece spallucce «Lenta e noiosa. Ormai vedo mio padre una volta o due al giorno, mio fratello e mia madre... lasciamo perdere. Non chiedermi di salutarti nessuno, non lo farei o loro non mi ascolterebbero. Troppo impegnati. Non diventare come loro, Giles.»
L'altro annuì, inusualmente comprensivo nell'espressione. I fratelli Morgan erano le uniche persone a conoscere la verità sul perché Vincent avesse di punto in bianco troncato ogni rapporto con Jonathan.
«Quando vuoi, sai che il lettino del mio studio è comodo. Scientificamente provato, non hai idea di quante volte ho fatto tanto tardi da rimanere a dormirci.»
«Non c'è quella regola per cui gli psicologi non possono visitare le persone che conoscono?»
Gli angoli della bocca di Giles si incurvarono in un sorriso sardonico «Bravo, sono colpito. Ma niente mi vieta di dispensare perle di saggezza a un amico.»
«Allora ne approfitterò un giorno o l'altro.» rise Vincent, e in quel momento il rumore di passi dal piano di sopra sovrastò le loro voci.
Dalla scala a chiocciola in fondo alla stanza scese a grande velocità una snella ed alta Fanny coi capelli albini raccolti in due codini. Saltò gli ultimi due gradini e, esclamando «Vince!» con un gran sorriso, gli si gettò addosso in un abbraccio affettuoso.
«Hey, Fanny! Vacci piano, sono allergico alle dimostrazioni d'affetto melense!» brontolò il ragazzo, pur ricambiando con una fraterna pacca sulla nuca della giovane. Sebbene avesse un'immagine da mantenere, non poteva fare a meno di sciogliersi almeno un po' davanti a Fanny «Ti trovo in forma, eh?»
«E anche accaldata.» puntualizzò Giles, fulminando con lo sguardo la sorella in pantaloncini e canotta.
In risposta, una mano chiarissima fu sventolata per aria come se lo psicologo fosse stato un insetto dal ronzio particolarmente fastidioso «Non è colpa mia se fa caldo. Semmai quello fuori stagione qui sei tu, non so come fai a non essere uno slime sotto quella giacca! Ah, e vedi di fare la spesa prima di tornare a casa.»
Giles doveva sentirsi particolarmente umano quel giorno, a giudicare da quanto spesso cambiava espressione. Peccato alternasse la sua abituale serietà a sempre più frequenti sorrisi beffardi «Non preoccuparti, non lo dimenticherò. Non ora che stai finalmente mettendo su qualche chilo o, come diceva Vincent, sei in forma.»
Vincent odiava essere messo in mezzo ai due: non importava a quale dava ragione, l'altro gliela faceva sempre pagare amaramente. Scosse il capo, nascondendo le mani nelle tasche dei jeans «Vengo in pace, mister.»
Fanny, dopo aver opportunamente ricordato a suo fratello quanto fosse disumano da parte sua inferire sui suoi inesistenti problemi di linea, prese gentilmente per un braccio Vincent facendo per trascinarlo al piano di sopra.
Il ragazzo annaspò per qualche passo «Aspetta! Non avevi detto che Giles doveva parlarmi?»
«Hm?» Giles sollevò gli occhi dal bicchiere che stava riempiendo di succo d'arancia, evidentemente confuso «Mi hai di nuovo usato come capro espiatorio per giustificare la tua scarseggiante intelligenza sociale, Fanny?»
"Ah. Adesso si spiegano tante cose..." realizzò Vincent levando gli occhi al soffitto; fosse stato chiunque altro avrebbe realizzato con largo anticipo l'inganno, ma in quel caso si trattava di quella faccia tosta della sua migliore amica.
Quest'ultima esplose in una grande risata e strattonò più forte l'amico, facendogli capire che era il momento giusto per mordersi la lingua e assecondarla «Non ascoltarlo, il lavoro gli ha bruciato il cervello!»
Ma il vero problema era che il cervello di Giles Morgan aveva sempre funzionato fin troppo bene.
***
La stanza di Fanny era fatta di essenza di femminilità, questo pensava Vincent ogni volta che vi metteva piede. Era già ampia di suo, ma lo spazio vuoto al centro la faceva sembrare ancora più vasta; le pareti erano tinte di un chiarissimo rosa molto piacevole, le finestre avevano tende dai lineamenti gentili ma erano sempre chiuse, per evitare che la luce entrasse. La mobilia era bianca e moderna, con una grande libreria piena di libri e fumetti, accanto all'armadio dalle ante sempre socchiuse, prova di quanto fosse pieno.
Vincent e Fanny avevano legato all'asilo, erano praticamente cresciuti insieme, frequentando le stesse scuole elementari, almeno fino a quando i genitori del ragazzo non si erano separati e lui era partito con Liza per Seattle, quando era poi tornato si erano ritrovati nello stesso liceo, seppure, come sempre, lui un anno avanti e lei uno indietro.
Il giovane era entrato per la prima volta nella stanza di Fanny una settimana dopo il trasferimento e da allora l'aveva vista crescere e cambiare assieme alla sua proprietaria: i peluche sparivano gradualmente, le bambole venivano riposte nelle cassepanche in fondo alla stanza, sostituite da computer, console e fumetti giapponesi, le tre grandi passioni di Fanny.
«Non mi dirai che One Piece è ancora in corso.» disse Vincent quando notò una decina di nuovi volumi sulla libreria, per poi sedersi accanto al sacro reparto dei manga di Fanny.
Quest'ultima, che stava nel frattempo spegnendo la Play Station 3, rise come se Vincent avesse detto una cosa molto buffa «One Piece non finirà mai, Vince! Come si vede che non sei un otaku!»
Vincent scrollò le spalle, sorridendo arrendevolmente «Non ho mai capito se quella parola ha un significato negativo o no. In ogni caso mi piaceva guardare quel cartone animato quando ero piccol-...»
«Anime! Anime!» lo corresse la ragazza, con una punta d'irritazione «Te l'ho detto mille volte!»
«Quell'anime.» si corresse il ragazzo, per poi scoccare uno sguardo divertito alla collezione, ricca di titoli strani e coloratissimi che non conosceva affatto «Chiedo perdono, padrona.»
Fanny sembrò soddisfatta e Vincent non poté far altro che sorridere vedendola così appagata, come un gatto che ha appena catturato un topolino. Gli piaceva molto stuzzicarla, ma essendo anche lui un patito di videogiochi era più facile far l'ingenuo sull'argomento manga, dove non mancava mai di fare qualche gaffe, volente o nolente.
Attese pazientemente che l'amica spegnesse la televisione, ma allora lei lo colse di sorpresa, lanciandogli letteralmente la scatola di un videogame.
Il ragazzo la prese al volo e ne scrutò la copertina, rimanendo per un attimo senza parole.
«Un porno?» chiese, sollevando le sopracciglia.
Fanny rise «Tutto il contrario! Lo definirei più un horror o un thriller. Lo devi assolutamente provare, visto che ti piacciono gli RPG. Parla di un tizio che tradisce la sua ragazza con una zoccola di prima categoria, quindi è costretto a dividersi tra vita diurna, dove fa finta di essere un bravo ragazzo, e vita notturna, quando mostra il suo lato peggiore. E indovina un po' come si chiama? Vincent!*»
«Oh, la storia della mia vita! Ci hanno fatto un videogame!» esclamò il giovane ridendo assieme all'altra. Tra sé e sé, non poté però fare a meno di considerare quanto quel gioco fosse veramente il ritratto della sua vita, anche se Fanny non lo immaginava nemmeno.
Lo appoggiò sulla mensola dietro di sé, per poi notare con la coda dell'occhio che Fanny lo guardava intensamente, neanche avesse catalizzato la sua attenzione.
"Oh, giusto, devo dirgliene quattro per la bugia!"
«Adesso posso sapere perché mi hai mentito?» incrociò le braccia al petto, imitando un'espressione contrariata.
La ragazza sospirò mentre trascinava una sedia vicino a lui, vi si accomodò e con voce penosa disse «Perché se ti avessi detto la verità chissà quando ti saresti fatto vivo. Tu mi metti sempre in secondo piano, se invece è Giles a chiederti qualcosa la fai... beh, non subito, ma prima.»
Era davvero così? Vincent non ci aveva mai fatto caso, gli era sempre sembrato di esserci egualmente per Fanny e per Giles, ma la ragazza sembrava di tutt'altro avviso. Appariva scocciata, forse ferita, Vincent non sapeva dirlo.
«Davvero? Beh, se mi avessi detto che era urgente mi sarei precipitato comunque.» cercò di difendersi, ma Fanny era un ottimo avversario a parole.
«Per me deve essere urgente e per Giles basta dire "ti vuole parlare"?» brontolò ancora lei «Beh, quel che conta è che sei qui. Nonostante tu sia abbastanza inutile come amico c'è qualcosa che devo chiederti.»
«Hey, questo non era carino da dire!» fece notare lui, ma sapeva bene di essere in una posizione poco favorevole, trovandosi nel torto più marcio; strinse le labbra in una linea retta, quindi a voce bassa, con sottile interesse, finalmente chiese «Di che si tratta?»
Il silenzio piombò su Fanny all'improvviso e durò diversi secondi, prima che Vincent si piegasse in avanti, appoggiando i gomiti sulle ginocchia, per osservarla più da vicino con sguardo indagatore; la ragazza lo sostenne con fierezza, ma senza poter evitare di arrossire, in evidente imbarazzo. Quando mai era accaduto che Fanny si imbarazzasse proprio davanti a lui?
«Beh?» provò ancora a spronarla.
«La faccenda in realtà è semplice...» inspirata una bella dose d'aria, la ragazza prese parola, sembrava star affrontando l'esplosione del Big Bang armata solo di uno spadino di carta «Ho conosciuto una persona. È una ragazza che ho sempre ammirato profondamente, che reputo molto più intelligente di me, con cui vorrei davvero fare amicizia. Il fatto è che... è completamente diversa da me, diciamo che è il tipo di persona che si troverebbe bene con uno come te.»
... E quindi?
Un sospetto orribile passò per la mente di Vincent: che Fanny volesse portare anche lui all'appuntamento, mettergli uno spadino di legno in mano e fargli combattere il Big Boss Big Bang? Conosceva la sua amica, sapeva che avrebbe avuto problemi a fare amicizia persino con una persona estroversa, dunque aveva rifuggito il problema per anni, rifugiandosi nel suo mondo di videogiochi e amicizie virtuali. In pratica l'unico amico che aveva dal vivo era lui. Fanny rientrava a tutti gli effetti nella perfetta definizione di NEET, o hikkikomori come le piaceva di più. Aveva finalmente deciso di uscire dalla sua stanza rosa e affrontare il mondo? L'idea a Vincent non piaceva: il mondo era sporco, putrido e viscido, non voleva che Fanny venisse insozzata come lui.
«Quindi volevo chiederti qualche consiglio su come comportarmi.» concluse la giovane con un mezzo sorriso.
Vincent invece si morse un labbro, confuso dalla strana richiesta «Non so che consigli darti, però. Non la conosco nemmeno, questa tizia...»
Fanny scosse il capo, con una tensione di cui il ragazzo non si era accorto fino a quel momento «In realtà sì, la conosci. Um... la conosci intimamente, credo.»
«Intimamente?»
Di tutti gli avverbi che potevano essere usati, perché proprio quello? Come un fulmine a ciel sereno, un ricordo davvero spiacevole gli attraversò la mente: una ragazza particolarmente intelligente, che si sarebbe trovata bene con uno come lui... poteva trattarsi di...?
Strinse i denti e si costrinse a sorridere «Di chi stiamo parlando, Fanny?»
«Hai capito benissimo di chi stiamo parlando.» fu l'immediata risposta di Fanny, che sembrava quasi irritata da quella reazione «Marika Starson.»
«Quella Marika Starson?»
«Quella Marika Starson.»
Vincent tirò un lungo sospiro: ecco, doveva esserci la fregatura, c'era sempre la fregatura!
Per un attimo sentì rabbia e amarezza montare: dei miliardi di esseri umani presenti sulla Terra, di un milione di abitanti che circolavano ogni giorno per Phoenix, perché proprio Marika Starson? Perché proprio la sua ex? E non una ex qualunque, di quelle ne aveva almeno tre, ma proprio colei che aveva più lasciato il segno, l'unica ragazza a cui aveva voluto davvero un bene profondo e da cui era letteralmente scappato, una delle pochissime persone che erano riuscite a conoscere il vero Vincent Black.
L'aveva cancellata dalla sua vita tre anni prima, uscendo dalla porta della camera 302 del St. Joseph's Hospital. Era stata una delle separazioni più sofferte della sua vita, seconda solo a quando aveva detto "ci vediamo presto" a padre e fratello, prima di andarsene con Liza.
Per diversi mesi Marika era stata il centro dei suoi pensieri e delle sue preoccupazioni, che però aveva pian piano rimosso e abbandonato nel dimenticatoio; non aveva più saputo niente di lei, l'ultimo ricordo che ne conservava era quello di una penosa ragazza ridotta pelle e ossa sdraiata sul letto di un ospedale, che lo guardava come se lui fosse stato l'ultima ancora che le rimaneva.
L'immagine sbiadì velocemente e Vincent si ritrovò nella stanza rosa di Fanny, con la sua amica seduta di fianco a lui; le scoccò un'occhiata torva, alla quale la giovane chinò il capo.
«Non ho contatti con quella persona da tre anni. Sarà completamente diversa da all-...»
«No, non lo è.» lo interruppe Fanny «Ricordo com'era quando stavate insieme, non è cambiata.»
«Tre anni, Fanny, tre anni! Non siamo più dei ragazzini!»
«Non ti sto chiedendo di accompagnarmi sotto casa sua, Vince! Vorrei solo che mi spiegassi come ci si comporta con una persona che non ha mai preso in mano un controller e che sa a memoria la capitale di ogni Stato americano!»
Non sembrava che Fanny avesse la minima intenzione di mollare e quel comportamento piaceva poco a Vincent, che non comprendeva questo improvviso interessamento a una ragazza che aveva sempre visto di striscio, con cui in passato non aveva mai parlato e a cui non si era mai interessata.
Si mise in piedi, buttando fuori in un'espirazione esasperata tutta l'aria che aveva nei polmoni, mosse qualche passo verso il centro della stanza e mise le mani sui fianchi, dando le spalle a Fanny.
«È una ragazza semplice.» cominciò, arrendevole «Non parlarle di moda o andrà in confusione, invitala al cinema e la conquisterai. Ha un forte senso della giustizia e un grande senso civile, vive nell'utopia di una società priva di discriminazione. Sogna di trasferirsi a New York e aprire una clinica... o almeno, lo sognava tre anni fa.»
Chissà se era cambiata o se era ancora la ragazza tranquilla e studiosa che era un tempo, si era spesso chiesto Vincent, che aveva visto mutare radicalmente molte sue conoscenze nel corso degli anni.
«È sempre la stessa.»
Fanny stirò le labbra in un sorriso, si alzò con un movimento fluente e raggiunse l'amico, senza però superarlo o affiancarlo.
«Io penso che dovreste darvi un'altra possibilità.» suggerì sottovoce.
«No.»
Il secco rifiuto di Vincent non la sorprese, ma la fece sentire un po' in colpa per aver infilato il naso negli affari altrui; tuttavia sapeva quanto egli fosse stato male a seguito della relazione andata male e non si sentisse a posto con la coscienza per il modo in cui si erano lasciati.
«Come amici.» rettificò dunque «Ci sono troppe cose che penso vi portiate dentro.»
«Questi non sono affari tuoi, Fanny!» scattò Vincent, quasi aggressivo, voltandosi improvvisamente e puntandole gli occhi addosso.
La ragazza sostenne il suo sguardo con durezza «Lo dico per te. A me non ne viene niente.»
L'altruismo era qualcosa di inutile, qualcosa che doveva essere guardato con sospetto perché spesso nascondeva un doppio fine, questo era stato insegnato a Vincent; tuttavia, il ragazzo conosceva Fanny, il suo era altruismo nella forma più pura, proprio per questo gli dava ancor più fastidio.
«Tu... non lo sai che cosa abbiamo passato. Lei ha... fatto una delle cose più stupide che abbia mai visto, e io non sono riuscito a fare niente per fermarla! Quando ormai era troppo tardi ho pensato di punirla, di insegnarle la lezione, ho pensato di farla soffrire e le ho tolto l'unica cosa che potevo toglierle: me.» continuò lui, pugni chiusi e un passo verso l'amica, poi però abbassò gli occhi «... Che cosa ho concluso però? Lei stava così male e io sono stato un buono a nulla, incapace persino di aiutarla quando aveva davvero bisogno di me. L'ho lasciata sola.»
«Sei scappato da lei.» lo anticipò Fanny, dando forma alla verità nuda e cruda che faceva troppo male per essere pronunciata.
Vincent non trovò il coraggio di replicare, odiando il modo in cui stava mettendo ridicolmente in mostra una sua debolezza, sebbene il pensiero che fosse Fanny a vederlo in quel momento lo rassicurasse non poco. Fanny e Giles erano ormai gli unici davanti cui sarebbe stato sincero, gli unici che lo avrebbero capito senza giudicare, al contrario di tutte le persone che vedeva ogni giorno.
«Sono scappato come un codardo da lei... mi guardava come se l'avessi pugnalata...» sussurrò a denti stretti «Perché ha fatto quella stronzata? Proprio lei, che voleva dimostrarmi che conta ciò che c'è dentro e non come siamo fuori... tsk, tutte balle.»
«Io credo che avesse ragione nel pensarlo, ma che fosse troppo spaventata. Del resto tu non sei l'unico a pensare che l'importante è come ci mostriamo e non come siamo.»
Vincent la guardò: aveva gli occhi tristi. Egli sapeva che cosa stava ricordando mentre pronunciava quella frase.
La ragazza, che fino a quel momento aveva soppesato cautamente le parole, provò a spiegarsi meglio «Non aveva fiducia in se stessa e qualche troia se n'è approfittata. Io non credo che tu l'abbia mollata solo per paura o egoismo, ma perché credevi davvero di insegnarle il valore delle persone: pochi sanno cosa significa perdere quasi tutte le persone che ami, e tu sei tra questi. E poi aveva solo sedici anni, dai! Tu ne hai diciannove e sei ancora un idiota!»
Vincent sorrise a quella battuta ed annuì, per illudere Fanny di avere ragione: non aveva voglia di tirare troppo per le lunghe la discussione, ma soprattutto non voleva farsi scappare la verità sulla faccenda Marika Starson, su come non ci fosse stato davvero nessun altruismo in quel gesto, solo debolezza da parte sua.
Fanny sembrò abboccare all'amo facilmente, segno che era diventato talmente bravo a nascondere i suoi pensieri da imbrogliare persino chi lo conosceva da una vita.
Vincent si chiese se fosse o no un bene.
«Chiudiamola qui.» decretò con tono più calmo.
La ragazza annuì e portò una mano sulla spalla di lui «Scusa se ti ho ferito.»
«Ferito? Me? Ci vuole ben altro anche solo per scalfirmi.»
La battuta si perse in un leggero silenzio che aleggiò per alcuni secondi, mentre Fanny si spostava ad una delle finestre ed aprirla quanto bastava per favorire il ricambio d'aria.
«Comunque... tornando al discorso principale, siamo rimaste che ci vedremo domani sera alla gara.»
Vincent inclinò il capo, confuso «Che gara?»
«Come sarebbe a dire "che gara"?» l'albina tornò a guardarlo, mise le mani sui fianchi e sollevò un sopracciglio «Giles non te ne ha parlato? La gara motociclistica organizzata dal Sunshine, clandestina ovviamente.»
Quella, pensò Vincent, era la notizia perfetta per farsi perdonare il discorso su Marika.
Note:
#1: Il videogame menzionato da Fanny esiste veramente: è Catherine, della Atlus.
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