26. The night is about to end (5)

Arco III: Redemption

Capitolo 26: The night is about to end (5)

Neville aveva corso come un pazzo, consapevole che probabilmente sette minuti non sarebbero bastati a fare avanti e indietro per tutto il tunnel, ma chiunque conosceva Neville Lance sapeva che era un ragazzo capace di fare pazzie. Come lanciarsi in un'impresa disperata a meno di cinque minuti da un'esplosione che lo avrebbe probabilmente ucciso.

Il fatto era che purtroppo, tra tutte le persone possibili, in quel postaccio c'era proprio Vincent.

Fece poco caso lo scenario da film fantascientifico, pur rimanendone certo colpito, non era infatti il momento di perdersi ad ammirare l'ambiente e il tempo scorreva inesorabile.

Non aveva mai sentito il suo cuore battere così.

La corsa, che gli stava mozzando il fiato più di quella precedente da casa Black al Naughty Sunday, durò molto meno del previsto; presto, nel buio, si delineò la figura di una persona ammantata di rosso. Sforzò i suoi occhi per riconoscerlo: una zazzera ramata, un cappotto scarlatto, un ragazzo che avrebbe perfettamente potuto combaciare con quello che aveva visto innumerevoli volte attraverso la webcam.

«Vincent?» accelerò e per poco non scivolò malamente quando gli fu vicino. Le gambe cedettero e Neville cadde sulle ginocchia facendosi male, un po' sporto in avanti per la brusca frenata.

Quello fu il suo momento di crisi: Vincent lo avrebbe riconosciuto? O lo avrebbe scacciato infastidito? Non sapeva niente di ciò che avevano passato in quell'inferno sotterraneo e la paura che fosse in stato di shock lo attanagliava.

Gli toccò la spalla destra con la mano, e finalmente il bruno sollevò lo sguardo. Quegli occhi gialli... era davvero lui!

«Menomale, sei ancora vivo!» gli venne spontaneo dire.

Vincent pensò di avere di nuovo le allucinazioni: non era Neville, quella persona? L'ultimo ricordo che aveva di lui era un messaggio stringato sul cellulare, "sto arrivando". Vincent però non aveva mai pensato che sarebbe arrivato davvero. Colto alla sprovvista, rimase talmente spiazzato da non riuscire a fargli notare quanto fosse fuori luogo quel commento sull'essere ancora vivo.

Venne costretto a tirarsi su, in piedi, ma quando Neville, dopo aver controllato se fosse ferito – la vista del sangue sul cappotto doveva averlo spaventato -, lo strattonò dicendo «Avanti, dobbiamo scappare!» Vincent non si lasciò muovere di un centimetro.

Scosse la testa, rammaricato che Neville avesse fatto tutta quella strada solo per lui, e lasciò la sua mano, tornando seduto «No... non voglio. Perdonami, Neville. Lasciami qui.»

A dirla tutta, Vincent era abbastanza convinto che quel Neville fosse solo un'allucinazione parecchio veritiera, prodotta dal suo istinto di sopravvivenza con una buona dose d'aiuto del virus H.

L'allucinazione però provò a costringerlo ancora una volta ad alzarsi, con il viso oscurato da un sorriso nervoso «Avanti, mister, non puoi farmi questo. Ho attraversato l'Arizona, non voglio che tu muoia! E...» un'idea lo sfiorò «E poi abbiamo fatto la lista delle cose da fare insieme! Chi ballerà con l'asse da stiro insieme a me? E chi mi cucinerà il cheescake?»

Quella lista... Vincent la ricordava. La ricordava così bene che faceva male al cuore: il cinema, la lavanderia, la spesa per la torta... era tutto troppo luminoso per lui, non si meritava quell'estremo gesto di amicizia.

Sgranò gli occhi, come vedendolo per la prima volta: dunque quello era davvero Neville? Era lì... per lui? Scosse la testa, incapace di controllare le proprie espressioni, che erano un susseguirsi di angoscia e rammarico.

Neville ebbe l'impressione che stesse per piangere, e in effetti proprio questo accadde.

«Shaun e Alicia sono morti per colpa mia... e ora anche mio fratello morirà.» provò a dire Vincent con voce rotta e bassa, incapace di controllarsi «Non voglio vivere in un mondo dove i miei amici muoiono per me... perciò vattene, o anche tu morirai per colpa mia...»

Neville invece si sedette davanti a lui.

"Non sono stato abbastanza chiaro?" avrebbe voluto commentare, ma il sarcasmo era l'ultima cosa necessaria in quella situazione. Prima di avere il tempo di chiedere cosa stesse facendo, Neville si guardò intorno: osservò finalmente la soffusa illuminazione proveniente dagli angoli in alto, gli scuri e spessi cavi ammassati alle pareti, probabilmente collegati a qualche macchinario in stile fantascientifico. Come accidenti aveva fatto Vincent a cacciarsi in quella situazione? Ricordava del virus H, ma non di scenari apocalittici o spaziali.

«Uhm... sì, moriremo sicuramente se restiamo qui.» constatò con grande spirito d'osservazione, tamburellando con le dita sulle gambe incrociate «E va bene, resto qui.»

Vincent era esterrefatto. No, irritato. E lo dimostrò lanciandogli un'occhiataccia che risultò abbastanza ridicola in mezzo alle lacrime. Erano lì, l'uno voleva vivere e l'altro morire: Neville riusciva a vedere ancora qualcosa di positivo per cui valeva la pena salvarsi, Vincent, invece, vedeva solo nero.

Il tempo stava per scadere, lo sentiva.

«Per quale motivo fai tutto questo?» Vincent usò, in un modo un po' infantile, la manica per asciugarsi il viso.

Trovò risposta nei suoi occhi azzurri limpidi «Chi salverà te altrimenti?»

Vincent sbatté le palpebre un paio di volte: non voleva essere salvato, questo era il punto. Ma la vita di Neville era in gioco lì, assieme alla sua. Non poteva permettersi di far rischiare tanto a una persona che aveva già sfidato la sorte per essere lì, al suo fianco.

Che razza di amico... pazzo e stupido. Vincent si sentì onorato di tanta preoccupazione.

"Giusto..." abbassò leggermente la testa, soffocando un piccolo sorriso triste "Mi sono di nuovo concentrato su me stesso. Che razza di egocentrico."

Anche Shaun glielo aveva chiesto, anzi ordinato: vivi, era stata la sua ultima parola.

Non si faceva false speranze: vivere era qualcosa di troppo difficile per lui, avrebbe dovuto percorrere il resto dei suoi giorni fianco a fianco col rimorso, ma forse all'altro fianco c'era ancora spazio per qualcuno di importante.

Ignorando la curiosità che si era formata sul volto di Neville davanti al suo sottile sorriso, chiese titubante e quasi timido «È okay se non mi porto tutto sulle spalle?»

E l'altro, quasi con aria scandalizzata, fece «Certo che è okay! Puoi lasciare un po' di peso a me, se vuoi.» sollevò gli angoli della bocca in un'espressione vagamente somigliante all'abituale faccia da schiaffi di Vincent, aggiungendo con tono parodico «Perché il potere dell'amicizia sconfigge ogni impero del male!»

Ma come erano finiti in quella situazione? Il bruno non poté evitare di mettersi a ridere come un idiota, sebbene il momento di allegria durò giusto pochi secondi: ne avevano già sprecati fin troppi di preziosi.

Si mise in piedi lentamente, con fatica ma sollievo, come se buona parte della sua disperazione gli fosse stata strappata di dosso. Faceva male, davvero male, ma in mezzo a tanto dolore gli sembrava di vederci più chiaramente. Senza dubbio sarebbe stato difficile ritrovare la voglia di vivere, di combattere, ma non poteva deludere Neville, Shaun, Alicia e Jonathan. Per adesso sarebbe andato avanti per loro, in attesa di trovare le risposte che cercava.

Porse la mano a Neville per aiutarlo a rialzarsi. L'amico sembrava quasi aspettarsi quel gesto e reagì in modo pronto, senza nascondere l'enorme sollievo.

«Portami via da qui.» chiese Vincent, debolmente «Prima che cambi di nuovo idea.»

Neville non se lo fece ripetere due volte.  

***

Marika era sul punto di mettersi a strillare.

Rimasta fuori dal Naughty Sunday con Giles, aveva appreso dei sacrifici di Shaun e Alicia e versato molte lacrime: non li conosceva bene, ma era assolutamente sbalordita da come avevano affrontato la sfida fino alla fine. Erano morti con onore, Shaun in particolare, mantenendo la promessa di aiutare Vincent in caso di pericolo. Lei non avrebbe mai avuto un coraggio simile.

E Vincent, pensava, non avrebbe avuto il coraggio di andare avanti. Da quel che le aveva raccontato lo psicologo, che da qualche minuto era al telefono con Violet Alraven per fare rapporto, Vincent si era rifiutato di andarsene senza Jonathan. Era prevedibile, logico. Illogico era invece Jonathan: Marika non riusciva a credere che di lì a breve sarebbe morto e che loro non potevano fare niente.

Era tutto assolutamente sbagliato, non sarebbe dovuta andare in quel modo.

Gli infetti si stavano gradualmente calmando e la polizia poteva finalmente tirare un sospiro di sollievo; la situazione era ancora critica, ma più stabile. Forse era parte di un preciso piano di Lacey Smith, che intendeva andare fino in fondo.

In brevissimo tempo, questione di due o tre minuti, alcuni agenti dell'FBI raggiunsero il Naughty Sunday, ma Marika scaricò a Giles il compito di avere a che fare con loro. Per qualche assurdo motivo, lui riusciva a mantenere sempre la calma.

Lei invece aveva voglia di mettersi a urlare i nomi di Vincent, Neville e Jonathan finché non sarebbero usciti dalle porte del locale pur di farla stare zitta. Nonostante le avessero ripetuto di star il più lontana possibile, la ragazza sostava all'ingresso del parcheggio del locale, con le braccia conserte, gli occhi fissi sulle porte scorrevoli e il fiato pesante.

Era così ansiosa da non riuscire a ragionare o concentrarsi su niente che non fossero quelle dannate porte; non sentì le lacrime attraversarle il volto mentre continuava a ripetere inconsapevolmente «Avanti... avanti!»

«Quattro minuti all'esplosione!»

«Non abbiamo il tempo di entrare...»

«Preparate l'attrezzatura!»

Niente, solo le luci artificiali del salone principale che illuminavano una pista vuota. E il tempo continuava a scorrere.

«Due minuti!»

«Signorina, venga via!» qualcuno la strattonò e trascinò via con la forza. Dovettero combattere per smuoverla, perché per quanto il coraggio le mancasse, nel petto aveva un fuoco che ardeva di rabbia e desiderio di fare qualcosa.

«Un minuto!»

Qualcuno la strattonò senza curarsi di farle male, lasciandole dei lividi sulle spalle, e finalmente riuscirono ad allontanarla. Quando ormai stava per cedere al disincanto, Marika vide un'ombra, una figura... anzi due figure dentro il locale, che correvano come se avessero avuto il diavolo alle calcagna.

D'improvviso piantò i piedi per terra, e col cuore in gola strepitò «Sono loro!»

Una voce maschile sovrastò la sua «Quindici secondi!»

«Soccorreteli!» urlò qualcuno, scatenando una reazione a catena. In molti si affrettarono verso i ragazzi, precludendo la loro vista alla giovane.

Marika si divincolò dalla stretta dell'agente e si lanciò in una corsa nella notte fredda verso i due «Correte!»

«Dieci secondi!»

Vincent diede uno strattone a Neville, facendolo balzare davanti a lui. Neville per poco non inciampò, ma l'altro lo afferrò per la collottola e se lo trascinò dietro. Superarono l'ingresso mentre Giles finalmente li notava e abbandonava la postazione sicura dell'autoambulanza per gridare di fare in fretta.

«Cinque!»

Marika ora li vedeva bene, erano così vicini che con pochi passi avrebbe potuto abbracciarli. Aprì le braccia per accoglierli, gridando qualcosa che però si perse nella tempesta di suoni che si scatenava intorno a loro.

Metri e metri sotto di loro, Lacey sentì Jonathan stringerla a sé nel momento in cui il laboratorio si illuminò a giorno. Una violenta onda d'urto scosse le fondamenta del Naughty Sunday, spingendo in avanti Neville e Vincent come se la mano di dio avesse voluto dar loro una spinta verso la salvezza. In un solo attimo, tutto ciò che per un anno era stato culla di una storia di perversione e malvagità venne sbranato dall'esplosione della bomba, poi fu solo fuoco e cenere.


Tutte le vetrate dello stabile erano esplose in una pioggia mortale. In pochi secondi il parcheggio divenne un inferno di fuoco, fumo, schegge impazzite e pompieri già pronti a combattere contro l'incendio.

Quando il bruciore agli occhi terminò e Marika riprese a respirare, tossì forte e con gli occhi cercò Vincent e Neville.

Erano stati sbalzati via dall'onda d'urto, a metri di distanza.

Sentì qualcuno dar l'ordine di accertarsi delle loro condizioni, ma lei fu la prima a raggiungerli e chinarsi su di loro; erano entrambi sporchi di terra e bruciati in maniera per fortuna lieve, ma doloranti per il volo e scossi.

«Siete vivi!» esclamò la ragazza al colmo della gioia, piangendo di felicità, e si abbassò per abbracciarli entrambi.

Neville fu il primo a tirarsi su, sedendosi sulle ginocchia con molta fatica, mentre tossiva e annaspava alla ricerca di ossigeno; Vincent lo seguì subito dopo, un po' barcollante e rimbambito.

Due agenti e Giles si avvicinarono per aiutarli ad allontanarsi, mentre in quel momento qualcosa, di nuovo, andò storto, senza dar tempo a nessuno di tirare un sospiro di sollievo.

Un coro senza precedenti di voci e strepiti fece tremare Phoenix e scattare con il naso all'insù tutti: non c'era dubbio che quelle fossero urla umane. Si prolungarono per diversi secondi, facendo tremare come foglie Marika e Neville.

«Che sta succedendo?!» la ragazza si aggrappò ai due sopravvissuti, spaventata come mai in vita sua.

Il silenzio si ristabilì più in fretta del previsto. Un paio di soldati si accasciarono al suolo, svenuti, mentre in strada decine e decine di persone riprendevano a correre febbrilmente. Una cosa li accomunava tutti: piangevano e gridavano "Madre!".

L'uomo dell'FBI più vicino al gruppo di ragazzi esclamò, incapace di credere alle sue stesse parole «Gli infetti sono impazziti?!»

Marika, Giles e Neville corsero istintivamente con lo sguardo a Vincent, che in quel momento, con gli occhi sbarrati e pallidissimo, svenne addosso all'amico che lo aveva salvato.

L'ultima cosa che Vincent sentì fu Neville chiamare il suo nome.

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