26. The night is about to end (2)

Arco III: Redemption

Capitolo 26: The night is about to end (2)

Vincent pensò di aver visto e sentito male, o forse di essere morto e star affondando nel mare dei suoi desideri irrealizzati: Jonathan era venuto a salvarlo. A mettersi contro la donna che amava... per lui, il suo imperdonabile fratello.

Lo aveva fatto davvero.

«Jonathan!» esclamarono entrambi, l'una di sorpresa e l'altro di sollievo.

La vista di Vincent stava lentamente tornando normale.

«Vincent, allontanati!» ordinò Jonathan; il ragazzo annuì e, con un violento capogiro che lo fece barcollare, si mise in piedi e tornò al corpo di Shaun. Prese la propria pistola e quella dell'amico morto, ritrovandosi a maneggiarne due: non ne sapeva usare una, figurarsi due. Ma l'apparenza era ciò che contava davvero in quel caso, come avrebbe detto Thomas.

Jonathan iniziò ad avvicinarsi con cautela.

«Il tuo arrivo è stato davvero provvidenziale, Jonathan.» commentò Giles, la cui calma ed alienazione da quella critica situazione erano davvero stupefacenti «Com'è la situazione fuori?»

«Che hai fatto alla gamba?» si intromise Vincent però, notando che il fratello zoppicava.

«... Non è stato facile scappare.» si giustificò l'altro, senza accennare a come a metà percorso era miseramente scivolato dal tubo della grondaia «Fuori è l'inferno. I militari sono ovunque, la gente è impazzita: distruggono ogni cosa, urlano, credo stessero cercando di sfondare le barricate.»

Il più giovane dei Black deglutì: il potere di Lacey era spaventoso. Il suo uso improprio era uno dei principali motivi per cui avrebbero dovuto mettere fine a quella storia il prima possibile. Una volta per tutte.

«Sei stata tu, vero?» le chiese Jonathan, intransigente come era stato con suo fratello per un anno, quando fu a pochi passi di distanza da lei.

Ma Lacey ancora stringeva la mano ferita in quella sana, piangendo di dolore e rabbia, e non sembrava volergli dare risposta.

«Vincent, la provetta.» Giles fece cenno al ragazzo e quest'ultimo annuì.

Era il momento perfetto per impossessarsi del sangue della Madre.

Vincent recuperò un contenitore e poi, aiutato da Jonathan che tenne ferma la donna, raccolse tanto sangue quanto poteva essere contenuto. Lone sospirò: vedeva il fallimento ormai, ed il fallimento significava solo una cosa per lui.

Ma prima di tutto sentiva il bisogno di rivelare una cosa.

«Hound.» chiamò il suo vecchio collega, ricevendo in cambio un'occhiata selvaggia da parte di Jonathan, che non sopportava che qualcuno chiamasse Vincent in quel modo.

Vincent alzò la testa verso di lui, ma non prima di aver spedito con un calcio il revolver di Lacey più lontano possibile.

Non sapeva perché Lone lo avesse tradito, da quanto tempo stava dalla parte di Lacey e perché, ma non era in condizione di chiederglielo, si sentiva ancora distrutto per la perdita di Alicia e Shaun, sebbene l'arrivo di Jonathan lo avesse rincuorato non poco.

Lone non gli era mai parso legato a Lacey, la evitava il più possibile, un po' come lui, ma fu lo stesso biondo a dargli una risposta, accompagnata da un sorriso amaro «Una volta mi hai chiesto perché le persone tradiscono.»

Vincent annuì: ricordava bene quell'episodio, Lone aveva liquidato l'argomento come se fosse stata una frivolezza non degna d'attenzione. Era stata Alicia a chiedergli d'investigare su quali potessero essere le ragioni di una tradimento, la notte in cui aveva cominciato ad avvicinarsi a Shaun. E finalmente avrebbe avuto la risposta che Lone non aveva voluto dargli all'epoca.

Egli mise una mano sul fianco e lanciò un'occhiata di sbieco a Lacey «Non ho una risposta assoluta, ma posso dirti che... alcune persone tradiscono perché non hanno scelta.»

Ma non diede a Vincent il tempo di ribattere, si puntò la pistola alla testa e si sparò. Crollò a terra, in un lago di sangue. Nessuno ebbe il tempo di fare niente, neanche di muovere un dito.

Persino Lacey si sforzò di distogliere lo sguardo dalla mano dolorante, le guance rigate di lacrime, rosse di dolore e nere di ematomi, per trovare il suo unico alleato steso a terra. Niente più che un altro cadavere. Non voleva credere ai suoi occhi, era troppo anche per lei! Perché doveva vedere tutto quello?

"Cos'è questa fretta di morire che tutti hanno?" il pensiero del tutto fuori luogo e impassibile di Giles fu surclassato dalla voce stridula e rotta della Madre.

«Perché? Perché non lo capite?» pianse, anche per Lone che era morto «Non siamo noi i cattivi, qui!»

Ma se sperava che almeno Jonathan le mostrasse un po' di commiserazione, anche questa speranza venne frantumata quando lo vide superarla e affiancare Vincent, che ancora fissava con sguardo vacuo il corpo morto di Lone.

«Ah, non lo metto in dubbio.» affermò Giles, prese l'automatica di Lone e raggiunse poi gli altri due, tenendo sotto tiro la Madre «Bene e male non esistono, Lacey Smith. Il tuo obiettivo potrà fondamentalmente mirare ad un miglioramento della società, ma ricattando i tuoi sottoposti e uccidendo i ribelli non sarai mai una regina, solo una despota. E i despoti non sono mai amati dal popolo.»

Senza lasciarle il tempo di replicare, parlò anche Jonathan, che teneva stretto per le spalle a sé il fratello, ancora in stato di shock «I tuoi metodi sono sbagliati, Lacey. Guarda a cosa ci hanno condotto: delle persone sono morte e altre ancora ne moriranno. Dove sono i tuoi alleati ora? E... nemmeno io posso perdonarti, non dopo quel che è successo a mio padre e a mio fratello.»

«Che cosa avrei dovuto fare allora?!» Lacey provò a mettersi in piedi, ma dovette fare diversi tentativi prima di riuscirci.

Si vedeva ormai come una regina – o una despota – caduta dal trono: il suo errore era stato quello di voler combattere in prima linea per il progetto E o quello di aver coinvolto i fratelli Black? O forse di aver risparmiato la vita di Jonathan, il suo vero punto debole? Lo aveva fatto per amore – ed era sicura che anche lui l'amasse ancora, glielo leggeva negli occhi -, e ora quell'atto di misericordia era diventato la goccia che avrebbe fatto traboccare il vaso. Lui l'avrebbe condotta alla rovina?

E tutto sempre per lo stesso motivo, quello che era stato alla base del loro difficile rapporto sin dall'inizio. Fissò acidamente Vincent, al sicuro nella stretta protettiva di Jonathan. Avrebbe dovuto esserci lei, là.

Non ricordava più l'ultima volta in cui qualcuno l'aveva stretta con tanto affetto. L'invidia che provava era così forte da far passare in secondo piano che Vincent era un ragazzino di neanche vent'anni coinvolto in faccende da adulti.

«Io non ho mai avuto scelta, mai! Da prima ancora che nascessi il mio destino era già stato deciso. Ho eseguito ordini tutta la vita, e quando ho deciso di fare qualcosa di testa mia...» ah, che errore aveva commesso! Sarebbe stato decisamente meglio se lei e Jonathan Black non si fossero mai incrociati, anzi sarebbe stato ancora meglio se Vincent non fosse mai esistito «Se lui non fosse mai nato, a quest'ora saresti dalla mia parte.»

Lo sguardo di Jonathan si tinse di severità «Non pensarci neanche.»

Il giovane si sentì apostrofato, alzò con fatica lo sguardo e si costrinse a seguire il discorso, a reagire; quelle parole gli erano sembrate più rivolte a lui, come se Jonathan temesse che Vincent stesso si convincesse di essere l'unico motivo per cui Lacey era nemica di entrambi. Vincent in realtà lo pensava già, i sentimenti di suo fratello verso la Madre erano palesi, proprio questo era egoisticamente felice di essere vivo.

«Proprio perché hai eseguito ordini per tutta la vita dovresti capire quanto è sbagliato il tuo modo di fare.» tentò ancora di farla ragionare Jonathan; nei suoi modi, fermi ma disperati, era chiaro quanto gli costasse rinnegarla «Ma sei ancora in tempo: abbandona la LIFE, vieni con noi. Risponderai alla giustizia dei tuoi errori, ma non sarai più sfruttata.»

«Voi non avete capito niente!» Lacey li fulminò con lo sguardo, la voce arrochita «Quelli in errore siete voi! L'FBI non sta inseguendo nessuna presupposta giustizia, vogliono solo il potere di sottomettere chiunque alla volontà di un individuo: esattamente ciò che sto facendo io in questo momento. Li sto solo portando a confrontare il potere che tanto desiderano.»

«Concordo con lei su questo punto.»

A parlare fu Giles, lasciando tutti sgomenti. Jonathan gli scoccò un'occhiata ammonitrice: attento a ciò che fai, sembrava dire.

«Se sviluppato nella maniera giusta, il potere del Genitore avrebbe potenzialità incredibili. Pensate se i grandi nemici degli Stati Uniti si rivelassero infetti, o se si potesse addirittura arrivare a controllare spie, soldati, terroristi...»

«La LIFE non vuole questo.» lo interruppe la donna, annuendo alle sue parole ma tremando ancora per il dolore alla mano sanguinante «Potrete non essere d'accordo col progetto E, ma al di esso la LIFE è solo un'associazione di scienziati, atta a scoprire il più possibile sul virus H.»

"Le hanno fatto il lavaggio del cervello" pensava nel frattempo Jonathan, stupito da tanta caparbietà. Davanti a quell'argomento Lacey non era diversa da un cane addestrato.

Istintivamente strinse più a sé Vincent e domandò «E chi ha dato loro il permesso di usare mio fratello come cavia? Di studiare gli effetti su una popolazione inconsapevole? Lacey, tutto ciò è malato! Perché non riesci a vederlo?»

«Una volta uscito dalla famiglia Smith, era inevitabile che il virus si diffondesse.» rispose lei, aggrappandosi a una sedia nel tentativo di mantenere l'equilibrio, ma soprattutto i nervi saldi. Il suo viso era una maschera di sudore ed ematomi.

Giles però scosse la testa «No. Non è questo il vero punto. Poco fa hai parlato di superuomo: la LIFE persegue il proseguo delle ricerche dei nazisti, Lacey Smith. Non stanno solo studiando un virus: lo stanno studiando per diffonderlo, secondo il progetto E, e creare una razza di superuomini. È nettamente diverso da ciò che hai appena sostenuto. Il loro obiettivo è l'evoluzione, non la ricerca.»

Jonathan lo fissò, sbigottito: si era perso più roba del previsto. Superuomo? Effettivamente la tizia dalle braccia robotiche che aveva trovato morta nello scantinato del locale sembrava tutt'altro che umana...

Non c'era niente da fare, Lacey non avrebbe mai capito.

Vincent era stanco di restare lì, col rischio che qualcun altro arrivasse a farli fuori; voleva andarsene il prima possibile, perciò strattonò Jonathan e Giles, e attirata la loro attenzione disse «Abbiamo quel che ci serviva. Andiamocene.»

Voleva portare Shaun e Alicia via da lì; L'FBI avrebbe fatto il resto, lui non ne voleva sapere più niente di virus H, Genitori, LIFE e tutto. Si sottrasse alla stretta protettiva di Jonathan e tornò presso il corpo di Shaun, ma quando vi si chinò accanto per sollevarlo sentì la rabbia montargli di nuovo dentro «Non mi interessa niente della LIFE e di tutto quello schifo, ma non ti perdonerò mai per aver ucciso lui e Alicia.»

Dopo un breve silenzio, la Madre ordinò «Andatevene.»

Sentiva tuttavia di condividere quella colpa con Lacey: se non fosse stato per lui, tutti i suoi amici in quel momento sarebbero stati al sicuro nelle proprie case, in attesa della fine del caos.

Giles giunse ad aiutarlo, Vincent gli passò il sangue di Lacey, metaforicamente ribadendo quanto non volesse più avere a che fare con lei; con qualche difficoltà – erano entrambi abbastanza gracili – riuscirono a sollevare il corpo dell'amico morto.

«Ah, un'ultima cosa.» disse Giles, la voce assolutamente piatta «Come si chiama la cura?»

Riluttante, la bionda confermò quel che già sapevano «HEINE91.»

Quindi la fiala che avevano preso era quella giusta. I due si scambiarono un'occhiata d'intesa, ma Vincent distolse presto lo sguardo.

Mentre lo psicologo, facendosi carico del corpo di Shaun, si allontanava verso il grande portone d'ingresso, Vincent mise una mano sulla spalla del fratello, che ancora non demordeva dal tenere l'automatica puntata contro Lacey.

«Andiamo.» provò a spronarlo.

Jonathan annuì, ma prima volle chiedere a Lacey, ritirando l'arma «Che cosa farai adesso?»

Quasi sdraiata in mezzo ai cavi alla base dell'involucro e con la mano ferita stretta al petto, la donna mostrò il piccolo telecomando che aveva con sé all'ingresso e che le era caduto poco prima, quando Vincent l'aveva aggredita.

Vincent si sentì agguantare da un paura fredda. Un telecomando era sempre qualcosa di negativo, specie se aveva un unico pulsante rosso e un display.

«Non permetterò a nessuno di usarmi o studiarmi.» farfugliò in un solo fiato la Madre, stanca e affaticata, appoggiando le spalle contro l'involucro. Fece scorrere gli occhi sul display, leggendo lentamente «Quindici minuti.»

«Quindici minuti?» Jonathan si fermò davanti a lei, ripetendo quelle parole dal significato misterioso «Quindici minuti a cosa?»

Senza dar loro il tempo di reagire, Lacey premette il bottone rosso del telecomando, che reagì con un beep che riecheggiò per le pareti bianche dello stabile.

Lapidaria, Lacey sollevò lo sguardo su di lui e rispose «All'esplosione di questo posto.»

Persino Giles, che era ormai fuori dal laboratorio, al sentire quelle parole sudò freddo: voleva farli saltare tutti in aria? Vincent venne attraversato da una scarica d'adrenalina da capo a piedi. Persino la mano di Jonathan che teneva la pistola tremò.

«Vuoi ammazzarci tutti?» fece il ragazzo, la sua mente ripercorse il lunghissimo corridoio che congiungeva il sotterraneo del Naughty Sunday a quella struttura: servivano almeno cinque minuti per percorrerlo, forse un po' di meno correndo.

La sua paura provocò un sorriso divertito in Lacey, che si spense però in fretta «Idiota. In quindici minuti potete tornare al Naughty Sunday tre volte. Andatevene e lasciatemi qui.»

Nessuno ebbe il coraggio di replicare a quella che era una chiara dichiarazione di volersi lasciare morire. Aveva scelto il suicidio, come molte tra le figure più enigmatiche della storia. Piuttosto che abbassare la testa ed ammettere la sconfitta, Lacey avrebbe affermato ancora una volta la sua libertà attraverso quel gesto estremo.

Ma Jonathan non aveva intenzione di andarsene senza aver ottenuto delle risposte, anche se ogni secondo che passava lo sentiva sulla pelle «Perché, Lacey? Il tuo ideale è davvero degno del tuo sacrificio?»

La Madre negò senza remore, decisa «Non si tratta del progetto E o di impedire all'FBI di usare il mio sangue... è la mia decisione. Ho vissuto tutta la mia vita come una pedina, non sono stata in grado di essere una buona condottiera, oltre che Madre, quando ho provato ad esserlo. Ho sacrificato molte vite e non potrò mai liberarmi di queste colpe, ma non sacrificherò anche la mia per il mio ideale. Io non esisto solo per il progetto E. Questo è il mio modo di far capire al mondo che sono libera.»

Stava, in parole povere, mandando al diavolo tutto ciò per cui aveva vissuto fino a quel giorno: il progetto E, il sogno di vedere la nuova razza umana, la speranza di poter finalmente vivere felice al fianco di Jonathan. Tutto perché nella sua mente si era definita finalmente la verità: aveva vissuto ogni giorno dei suoi ventisette anni come la Madre, ma neanche uno come Lacey.

Non era però il momento di discorsi filosofici e profondi. Vincent voleva che suo fratello lo capisse: potevano morire tutti da un momento all'altro. E se Lacey avesse mentito e il timer non fosse impostato su quindici minuti, ma solo cinque, giusto per illuderli di potersi salvare?

«Andiamocene...» Vincent stava praticamente tirando per il braccio il fratello.

«Andatevene. Le porte sono programmate per non aprirsi più se chiuse dopo l'attivazione del timer.» fece allora eco la donna, lasciandosi scivolare contro l'involucro, ma senza distogliere gli occhi – ora velati di lacrime – da quelli verdi di Jonathan. Abbozzò un sorriso malinconico «Andate via, per favore, prima che cambi idea.»

E allora Jonathan finalmente si mosse, rapido e preciso. Prese il polso di Vincent con la mano destra, abbassando la pistola, sapeva che Lacey non li avrebbe colpiti a tradimento alle spalle. Corsero insieme verso l'ingresso, dove Giles era rimasto immobile, ancora reggendo il corpo di Shaun in spalla.

«Dobbiamo muoverci. Abbiamo tredici minuti.» avvertì i fratelli, prima di incamminarsi.

«Va' avanti tu.» Jonathan spinse Vincent davanti a sé e lo fece uscire. Poi, quando il fratello varcò la soglia, bisbigliò «Scusami, Vì.»

E chiuse la porta tra sé e Vincent. Uno scatto secco la bloccò in maniera definitiva: non si sarebbe più aperta.

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