26. The night is about to end (1)

Arco III: Redemption

Capitolo 26: The night is about to end (1)

Jonathan aprì gli occhi in un moto di terrore, come quando ci si risveglia da un incubo particolarmente realistico.

Scattò a sedere, ritrovandosi sul divano della casa di Lacey; rapidamente scandagliò tutta la stanza, mentre i ricordi degli ultimi minuti di lucidità prima dello svenimento riaffioravano alla mente.

Era tutto limpido, ora: l'appuntamento con Lacey, la telefonata ricevuta mentre erano dal bar, il sorriso sul suo volto mentre gli porgeva il cocktail che subito, al secondo sorso per la precisione, lo aveva fatto sentire un po' intontito. Aveva avuto giusto il tempo di salire in auto prima che il buio lo assalisse. Non pensava davvero che la sua ex fosse una tale maestra delle droghe; era lo stesso metodo con cui aveva fregato e condannato Vincent?

"Vincent!" balzò in piedi, il cuore in gola.

Se erano al Naughty Sunday significava suo fratello era in pericolo!

Jonathan si sentì invadere da una profonda vergogna: aveva dubitato delle parole di Vincent fino alla fine, non si era voluto arrendere all'evidenza che Lacey aveva voltato loro le spalle, e ora...

Ora la porta d'ingresso era chiusa a chiave. Afferrò la maniglia con rabbia, strattonandola e poi tentando di buttarla giù a spallate e calci.

«Dannazione, apriti!» urlò, quando capì di non avere speranze di farcela.

Strinse i denti – così forte da temere di romperseli -, incapace di ragionare freddamente. Al diavolo la calma, Vincent era in pericolo! La sua mente gli ripropose l'immagine folgorante del fratello che gli dava le spalle prima di partire per quella missione. Non era nemmeno sicuro che avesse sentito le sue parole, quel "fa' attenzione" sussurrato a denti stretti, che era stato tutto ciò che era riuscito a dire.

Non voleva perderlo. Non voleva che quello fosse l'ultimo ricordo di Vincent. Lacey non avrebbe avuto pietà di un traditore, senza alcun dubbio.

In un impeto di disperazione afferrò una sedia e, con foga, la scagliò contro la porta, riuscendo però solo a scalfirla e rompere la sedia stessa. La scaraventò di lato, producendo un rumore infernale, che però venne coperto dalla musica che proveniva dal locale.

Prese a guardarsi intorno freneticamente, con l'ansia che gli percorreva le ossa come una scossa elettrica; i suoi occhi furono attirati come una calamita dalla finestra chiusa, forse sarebbe potuto scappare attraverso quella! Doveva solo trovare qualcosa da usare come corda per calarsi il più possibile giù...

Rapidamente attraversò l'appartamento e aprì la finestra; l'aria fredda lo investì, rinvigorendolo e restituendogli un po' di lucidità. Ispezionando le tenebre, scoprì che a sinistra un tubo della grondaia non distava troppo: avrebbe potuto usare quello, pensò.

"Non è il momento di esitare."

No, non poteva più permettersi di indugiare oltre, si ripeté mentre stringeva le mani sul bordo della finestra, calcolando la distanza che lo separava dal suolo. A causa della sua incapacità di accettare la realtà si trovava in quella situazione, mentre il suo unico fratello rischiava la vita. Sperò che almeno Giles e Shaun lo proteggessero fino al suo arrivo.

Perché lui sarebbe arrivato. Su questo non c'era dubbio. Nonostante tutto quel che aveva scoperto, nonostante a lungo avesse provato rancore e addirittura repulsione verso di lui, non avrebbe abbandonato suo fratello.

Si sollevò facendo leva sulle braccia, spaventato dall'altezza che avrebbe potuto rompergli l'osso del collo al primo errore, ma lui non avrebbe commesso errori. Non più.

Sapeva esattamente cosa doveva fare.

***

L'odore della polvere da sparo e del sangue formava un mix nauseante.

Vincent si sentiva tremare come una foglia, il terrore era così forte che persino quello provato nella cella frigorifera del Naughty Sunday impallidiva in confronto. Le dita si stringevano in preda a spasmi, alla ricerca di qualcosa da stringere, il sudore gli solcava la fronte e ogni tentativo di formulare un pensiero moriva sul nascere, abbagliato dalla consapevolezza di essere ancora vivo e di non provare alcun dolore.

Questo poteva solo significare due cose: il colpo era stato deviato... oppure era morto. Il silenzio circostante propendeva per la seconda ipotesi.

Infine qualcosa gli crollò addosso, le gambe cedettero e Vincent si accasciò per terra, incapace di mantenersi stabile. La puzza del sangue era ora più vicina, un respiro affannato gli accarezzava l'incavo della spalla.

Solo allora trovò finalmente il coraggio di aprire gli occhi. E ciò che vide gli spezzò il fiato in gola.

La pistola con cui Lacey lo stava costringendo a suicidarsi era stata abbandonata poco lontano, alla sua destra, ancora in attesa di fare fuoco. Adesso ricordava come se l'era sentita strappare di mano un secondo prima che il colpo esplodesse. Poi il suono di due spari era rimbombato per le pareti del laboratorio e Vincent si era dato per morto.

A sparare era stata Lacey, con l'intenzione di ucciderlo, e a salvargli la vita era stato Shaun. Ora egli gli giaceva addosso, pallido, con la schiena coperta da una macchia rossa in rapida espansione. Per colpa sua.

Vincent sgranò gli occhi d'orrore.

«Qualcuno aveva fretta d'andarsene.» commentò Lacey, sforzandosi di non sembrare impressionata.

Giles e Lone erano ugualmente pietrificati. Nessuno di loro aveva pensato che un innocente si sarebbe messo in mezzo per sacrificarsi al posto dell'unica persona che avrebbe dovuto morire.

«Shaun! Dio mio, che hai fatto, Lacey!?»

Vincent perse la testa davanti a quella vista: cosa poteva fare? Come poteva salvarlo? Non voleva che morisse, Shaun non poteva morire! Lo prese per le spalle e delicatamente lo girò sulla schiena, sentendo lo stomaco chiudersi quando incontrò il suo sguardo carico di sofferenza.

«Hey, non provare a morire, capito? Resisti!» lo spronò, rimanendo però sorpreso da come la sua stessa voce sembrasse improvvisamente debole.

I fori delle due pallottole tuttavia parlavano chiaramente, tanto chiaramente che neanche tentare di convincersi che c'era ancora speranza funzionava.

Vincent non aveva mai visto così tanto dolore sul viso di qualcuno; la pelle di Shaun era pallida, la fronte corrugata e madida di sudore, gli spasmi lo percorrevano e niente sembrava in grado di fermare il fuoriuscire del sangue, che ormai imbrattava il pavimento, i vestiti dell'uomo e le mani di Vincent.

In preda ad una crisi di nervi, il ragazzo urlò a pieni polmoni contro i tre presenti «Fate qualcosa, maledizione! Era con me che ce l'avevi, non con lui!»

Ma nessuno sembrava avere una risposta o volerla trovare; nemmeno Giles, l'unico alleato, li avrebbe aiutati, così il ragazzo tornò a chinarsi sul Shaun, i pugni chiusi sul suo petto e gli occhi lucidi «Non morire, non morire, per favore!»

La peggior cosa da dire in quel momento, come avrebbe potuto Shaun esaudire quella richiesta disperata? Ma la realtà era che Vincent non aveva idea di che cosa dire a una persona morente. Nessuno avrebbe fatto niente per Shaun, lui per primo non aveva idea di come trattare una ferita simile.

Non gli importava di sembrare patetico, voleva solo che Shaun smettesse di soffrire e si salvasse, che tornasse a sorridergli in quel modo irritante e perfetto.

Doveva essere un incubo: prima Alicia, ora lui. Perché non aveva portato Marika con loro? Perché li aveva coinvolti, in primo luogo?

"È tutta colpa tua" continuava a ripetergli la sua mente, come un mantra.

«... Mi dispiace...» biascicò a denti stretti, con un groppo in gola ed un insistente singhiozzo che gli rendeva difficile parlare chiaramente.

Un lamento lo avvertì che l'uomo aveva ancora un minimo di coscienza. Si sentì sfiorare il viso ed aprì gli occhi, riflettendosi in quelli neri dell'altro. Non si era mai accorto di quanto fosse suggestivo quel particolare colore: impediva di distinguere l'iride dalla pupilla, rendeva l'occhio più grande e gentile.

«Cos'è quella faccia?» sussurrò con difficoltà Shaun, sforzando un sorriso «Avevo promesso che ti avrei protetto... ricordi? Altrimenti ad ammazzarmi sarebbe stato tuo fratello.»

Vincent annuì: lo avevano promesso sia lui che Alicia «È colpa mia... non avrei dovuto coinvolgervi in tutto questo...»

La cosa dilaniante era che Shaun sembrava comunque intenzionato a non farglielo pesare: avrebbe voluto continuare a sorridere, ma le forze gli venivano meno di minuto in minuto.

La scena in sé era così pietosa da spingere persino Lacey e Lone al silenzio, la donna ritrasse l'arma e chinò il capo, scossa da un disgusto verso se stessa che cercò di estinguere velocemente. Anni ed anni di studi, sacrifici e progetti non potevano essere messi da parte per tre sovversivi. La sua missione era più importante.

Intanto, Vincent aveva l'impressione che una parte di Shaun gli stesse scivolando tra le dita; non la parte fisica, ma quella che lo rendeva la persona a cui aveva imparato a voler bene, nonostante tra loro non vi fosse alcun rapporto preciso.

«Avrei voluto sistemare le cose con Ian... è l'unica faccenda che ho lasciato in sospeso...» gli sentì dir piano, con fatica.

«Gli dirò tutto io!» si offrì, quasi delirando «Penserò a tutto... io...»

L'uomo annuì, la perdita di sangue nel frattempo non si attenuava, il suo corpo andava perdendo le forze, ma, con un ultimo sforzo, aggiunse «Hai un motivo... per uscire da qui. Non deludermi-...»

Cosa stava dicendo? La voce si abbassò troppo a quel punto, Vincent dovette abbassarsi finché le labbra dell'altro non furono vicine al suo orecchio.

Ascoltò le sue ultime parole, che fluirono via come se non fossero mai state pronunciate . Poi fu il silenzio, un silenzio lungo, ostinato e crudele, mentre gli occhi di tutti rimanevano puntati su Vincent, in attesa di una sua reazione.

Sgomento, rabbia, rancore, pietà: sentimenti contrastanti si scontravano violentemente, generando conflitti interiori leggibili negli occhi di Lacey, mentre Vincent continuava a fissare il corpo ora immobile di Shaun, paralizzato. Giles invece sembrava quello con più presa sulla situazione: non aspettava altro che la buona occasione per liberarsi di Lone.

"Dammi un'occasione... dammela, Vincent! È probabilmente la nostra unica chance! Possiamo ancora farcela!"

E Vincent gliela diede, quell'occasione. Nel momento in cui Lacey, sprovveduta, mosse un passo e sollevò di nuovo la pistola, stavolta dritta contro la testa del ragazzo, quest'ultimo scattò con un veloce movimento delle gambe, spostandosi immediatamente sulla destra e con tutta la forza di cui era capace si avventò addosso alla Madre, gettandola a terra e strappandole dalla mano il revolver.

Lacey fu colta alla sprovvista e fallì nell'opporre resistenza. Giles approfittò del momento di distrazione per piantare una gomitata nello stomaco di Lone, poi un pugno al mento; contro ogni previsione, riuscì a fargli perdere per qualche attimo l'equilibrio, quanto bastò per recuperare la propria pistola e puntargliela addosso. Non era riuscito a disarmarlo, ma per lo meno ora avevano una chance di sopravvivenza.

Vincent, come un disperato che ha perso la ragione, continuava a picchiare senza sosta Lacey, mirando principalmente al viso con pugni che avrebbe riservato a un uomo della sua età.

La bionda era incapace di difendersi, troppo intontita dalla violenza dell'aggressore. Lanciava schiaffi a destra e a manca, senza riuscire a colpirlo.

«Beh? Il tuo fottuto virus H non ti cura da questo, vero?!» le urlò il ragazzo, fuori di sé: aveva sempre detto di non avere problemi a picchiare allo stesso modo donne e uomini, ma questa era la prima volta che lo faceva veramente, tanto da lasciare Giles senza parole «Fa male? Consolati: non è niente rispetto a quello che ha sentito lui, puttana!»

«Vincent, basta! Ci serve viva!» lo ammonì Giles, che aveva Lone ancora nel mirino.

Ma Vincent non ne voleva sentire parlare e continuava a percuoterla «Non ci serve viva, ci serve solo una goccia del suo fottutissimo sangue di troia!»

«Vincent, smettila!»

Lacey non fu sollevata dal sapere che l'albino la voleva viva non per pietà ma per poterla sfruttare meglio, ma lei non era ancora pronta ad arrendersi; cacciò la mano in tasca e ne uscì quello spray al peperoncino che aveva preso proprio sotto gli occhi del portatore sano ribelle prima di uscire di casa.

Fece appello a tutta la sua forza di volontà, mentre i muscoli facciali urlavano di dolore fino a farla piangere, serrò gli occhi e spruzzò lo spray contro il ragazzo, cercando di avvicinarsi il più possibile al suo volto.

Vincent, accecato già com'era dalla rabbia, non si accorse del gesto inconsulto e fu colpito in pieno dal getto. Un roco lamento gli scappò dalla gola e fu costretto ad allontanarsi da Lacey, le mani premute sugli occhi rossi e lacrimanti. Sembrava un cane preso a bastonate dal padrone.

«Ferma o sparo!» provò a minacciarla Giles, ma la Madre non gli diede nemmeno ascolto.

Lacey si fiondò di nuovo sulla sua pistola, la prese tra le mani tremanti e mirò a Vincent. Il sapore del sangue in bocca era un incentivo a premere il grilletto, ma prima di farlo volle parlargli con disgusto e disprezzo «Picchiare una donna, non mi aspettavo di meglio da un traditore come te. Ho provato ad addolcirti la morte, Vincent Black! Racconta ai tuoi amici di come il loro sacrificio è stato van-...!»

Il suono di un colpo esploso, poi Lacey lanciò un grido e si accasciò a terra, il revolver cadde e sparò, ma il proiettile andò a vuoto. Tra le lacrime, Vincent riuscì a distinguere la sua mano sinistra coperta di sangue, mentre lei piangeva e strillava, completamente indifesa.

Giles? No, non era possibile per Giles colpirla da quell'angolazione. L'unica spiegazione era...

Sebbene il mondo fosse ancora sfocato e annacquato, riuscì a distinguere la figura di una persona all'ingresso del laboratorio. Jonathan. La fonte delle sue disgrazie, quella persona da cui non si era mai aspettato alcun aiuto in quella battaglia. Jonathan era lì.

Trafelato e sudato, col fiato corto ma le mani saldamente strette attorno alla Smith & Wesson, Jonathan Black non aveva esitato a sparare quando aveva visto Lacey minacciare suo fratello. Mirando ancora alla Madre, le intimò, quasi ringhiando «Sta' lontana da mio fratello, Lacey.»

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