25. The night is about to end (4)

Arco III: Redemption

Capitolo 25: The night is about to end (4)

«Avete sentito il terremoto?»

Allora non era stata una sua impressione! Vincent annuì: una piccola scossa l'aveva sentita, sebbene, appunto, leggera. Sperò con tutto il cuore che non si trattasse di un'altra bomba, ma considerata la situazione della città le sue speranze erano poche, lesse gli stessi pensieri sui volti di Shaun e Giles.

Ripresero la marcia, che ormai era quasi giunta al termine.

Si trovarono presto davanti ad una grande porta bianca con sopra una targhetta che riportavano le lettere LAB-7B, i cavi che li avevano accompagnati fino a quel momento si ritiravano nei muri neri, mentre la spettrale atmosfera veniva arricchita da un forte rumore di diversi motori in azione e dall'illuminazione soffusa, di un intenso rosso, proveniente dal neon sopra le loro teste.

Nel freddo, ormai insopportabile, Vincent si fece sfuggire un gemito a quella vista: era terribilmente affascinante ed agghiacciante. Così fantascientifico da non sembrare possibile nella realtà quotidiana.

Il primo a trovare il coraggio di avvicinarsi fu, come prevedibile, Giles; mentre lo psicologo ispezionava tutto con occhio scientifico, Shaun si accostò a Vincent e gli mise una mano sulla spalla.

«Va tutto bene, ci siamo quasi.» lo rassicurò.

Vincent gli scoccò un'occhiata che voleva essere forte, ma fu sorpreso di vedere che anche l'uomo sembrava spossato e irrequieto quanto lui. Annuì, mentre i suoi piedi si muovevano da soli, attratti dal mistero che in silenzio li attendeva pazientemente.

«Sembra tutto pulito.» stava intanto dicendo l'albino, inforcando poi gli occhiali per sistemarseli sul naso, adesso persino i suoi gesti sembravano tradire una certa ansia «Vince, avverti Violet Alraven.»

Vincent fece come gli era stato ordinato, descrivendo di nuovo ciò che si trovava davanti, infine ricevette l'ordine di entrare.

Con nel petto una strana mescolanza di fretta, timore ed eccitazione, il ragazzo prese la maniglia e la tirò giù, spingendo.

***

Più il tempo passava, più Alicia si preoccupava.

Appostata dietro la scala, era seduta per terra con le mani strette ermeticamente intorno alla Smith & Wesson, un dito pronto a premere il grilletto in caso di emergenza; ormai le faceva male la schiena, voleva alzarsi e fare due passi, ma aveva la sgradevole sensazione che se si fosse rilassata proprio in quel momento se ne sarebbe pentita.

Con i sensi allerta, cercava di captare ogni minimo rumore sospetto, ma per fortuna fin ora non si era verificato nulla degno di nota: al piano di sopra la serata si svolgeva secondo programma, senza che nessuno immaginasse cosa stava intanto accadendo nel buio dei sotterranei.

Quando il terreno tremò, piuttosto che imputarlo ad un fattore esterno pensò che fossero le casse del locale, che vomitavano musica incessantemente; non le piaceva quel genere di posti, preferiva di gran lunga il silenzio e la tranquillità. Strano a dirsi, ma le mancava il suo tetro appartamento in periferia.

Qualcosa attirò allora la sua attenzione, facendole venire la pelle d'oca: passi. Si concentrò, cercando di isolare i rumori – era molto difficile senza le cuffie che indossava al poligono -, fin quando non fu sicura che sì, stava arrivando qualcuno, una donna per la precisione: avrebbe riconosciuto il rumore di un paio di tacchi ovunque, abituata com'era a portarli quando lavorava.

Si ritirò nell'ombra del sottoscala, appiattendosi contro il muro senza produrre alcun suono, e alla fine l'ospite calpestò il cemento sulla sua testa, scendendo le scale. Una piccola nuvola di polvere piovve su Alicia. La nuova arrivata aveva un passo sicuro e diretto, sembrava quasi una marcia.

Alicia uscì piano dal suo nascondiglio per sporgersi lievemente ed analizzare la situazione. In piedi davanti alla porta ancora aperta, avvolta in un lungo cappotto invernale, stava la donna bionda che aveva scorto distrattamente una volta nel Naughty Sunday, quando era andata a cercare Vincent. Si chiamava Replica, e Vincent non aveva esagerato quando l'aveva dipinta come una persona inquietante, durante le riunioni su Skype. Era il braccio destro di Lacey, qualcuno di molto pericoloso.

Le avrebbe sparato alla gamba, decise, a entrambe se necessario a metterla fuori gioco: un lavoro pulito e veloce. Il silenziatore era già attivo.

Si appoggiò al muro, sentendone la freddezza contro la spalla e il fianco, riducendo al minimo indispensabile persino il respiro. Alzò la pistola, puntò. Deglutì.

"Non stai sparando a una persona. È solo un bersaglio mobile."

Non era tempo per moralismi e insicurezze: se Replica l'avesse vista l'avrebbe sicuramente uccisa. Violet Alraven era stata chiara nel raccomandare a tutti di non aver scrupoli con i nemici.

Replica era ancora ferma, la mano destra digitava qualcosa sul display che poco prima avevano usato anche loro. Troppo semplice.

"Uccidere o essere uccisi. Non costringermi ad ucciderti, bellezza."

Bang.

Il proiettile divenne un poco elegante ornamento per il muro accanto alla porta. I riflessi di Replica erano stati a dir poco sbalorditivi, o forse sapeva sin dall'inizio della presenza di Alicia e aveva solo voluto tirarla allo scoperto.

La donna estrasse da sotto il cappotto un revolver e sparò due colpi che andarono a vuoto: Alicia si era già ritratta nel suo angolo buio.

«Sei brava.» si complimentò la mora, il fiato corto per lo spavento.

Vincent le aveva detto che Replica comunicava tramite un palmare, dunque la loro conversazione sarebbe stata a senso unico.

O almeno, così pensava.

«Solo i migliori possono diventare la mano destra della Madre.»

Aveva parlato. Alicia sollevò un sopracciglio, evidentemente la bionda aveva di nuovo il dono della parola, nonché una voce raschiante, davvero irritante.

Tenne l'arma stretta nella mano sinistra, mentre con la destra inviava velocemente un SOS all'FBI col cellulare, sperando che sarebbero corsi a salvarla il prima possibile. Doveva temporeggiare.

«Mi avevano detto che il gatto ti ha mangiato la lingua.» la provocò Alicia, ma la sua voce tradiva l'ansia.

Udì il rumore di qualcosa di leggero e piccolo che cadeva a terra, rimbalzando un paio di volte, sporgendosi un po' poté notare che si trattata di un paio di occhiali da sole.

«Il gatto non è in casa in questo momento.» replicò l'altra, senza che Alicia capisse che il gatto in questione non era altri che Lacey.

«Parlami un po' di te, allora. Sono curiosa. Sei il personaggio più misterioso di questa storia.»

Temporeggiare, temporeggiare.

Replica fece un passo in avanti «Io non sono un personaggio, sono solo un'ombra. Il mio nome...» o forse sarebbe più appropriato dire il nome che aveva ereditato «... è Replica. La mia vita è consacrata alla protezione della Madre. E ora esci fuori. Mi hanno detto che sei brava con le armi da fuoco, perciò ti propongo una sfida. Non sparerò. Lo giuro sulla Madre.»

Quel discorso era servito a confonderle di più le idee, ma anche a darle il tempo di inviare un altro SOS e chiedersi perché nessuno fosse ancora giunto: gli agenti dell'FBI erano appostati fuori, avrebbero potuto far irruzione in qualsiasi momento. Avrebbero dovuto farlo, questi erano i patti.

«Nessuno verrà a salvarti.» come se avesse captato i suoi pensieri, Replica aggiunse quel piccolo particolare «Non possono nulla contro la Madre. Sanno che rivolterebbe la gente di Phoenix contro di loro.»

Alicia non voleva arrendersi a quella verità: era arrivato il momento in cui tutta la sua vita le sarebbe passata davanti come un film? Nessuno dunque sarebbe giunto a salvarli, neanche se avessero inviato un SOS, perché Lacey con le sue minacce implicite li teneva in pugno?

Se era davvero quella la verità, allora Vincent e gli altri erano in estremo pericolo.

Aveva la gola secca e il respiro insicuro: doveva fare qualcosa, per lo meno togliere di mezzo Replica, il nemico più pericoloso.

Uscì dal sottoscala, il passo era lento, il volto accigliato e concentrato, gli occhi azzurri incontrarono quelli per la prima volta scoperti di Replica, e rimasero attoniti.

Alicia era ammutolita, inorridita.

Il giaccone prima indossato dalla mano destra della Madre era abbandonato per terra, poco lontano dagli occhiali, gettati come spazzatura. La donna sostava sotto la luce artificiale, il corpo coperto da un abito scollato che la copriva fino alle cosce, mentre gambe e braccia, scoperte, erano meccaniche, fatte di acciaio e cavi.

Che cosa diavolo era, un robot?

La risposta arrivò prima del previsto «Io sono molto diversa da te. Sono stata strappata alla morte e trasformata in un oggetto. Un'ombra.»

Tutta quella spiegazione le sembrava riassumibile in una semplice domanda, o forse una supplica: sei in grado di uccidermi? Non doveva essere facile vivere in quel modo. Anzi, doveva essere orribile e doloroso.

Nella sua prospettiva, Replica non era più un essere umano: l'umanità le era venuta meno quando era stata donata a Lacey Smith e privata di volontà, libertà e coscienza. La sua nuova vita non era stata una seconda opportunità, solo una condanna.

Alicia capì che solo un miracolo avrebbe potuto salvarla dalla precisione letale della sua avversaria, ma non se ne sarebbe andata senza trascinare qualcuno all'inferno con sé.

Con arroganza, lanciò un sorriso di sfida a Replica e sollevò la pistola.

"Guardami, Jason. Guardami, papà. Questa buona a nulla salverà il mondo stasera."

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