25. The night is about to end (3)

Arco III: Redemption
Capitolo 25: The night is about to end (3)

Erano stati tutti dotati di una Smith & Wesson, tranne Vincent, che portava sotto la giacca la magnum di Thomas, quella che aveva messo tanta paura a Marika nel momento in cui l'aveva estratta da un cassetto.

Guardando Giles spiegare ad Alicia come usare una pistola, Vincent si sentì catapultato in un film d'azione in cui lui non era il protagonista; il peso di ciò che stavano per fare gli gravava sulle spalle come il mondo su Atlante, trascinandolo a terra.

Accortosi del suo disagio, Shaun gli si avvicinò a passi sicuri, gli mise le mani sulle spalle e lo costrinse a guardarlo negli occhi neri «Hey, sangue freddo. Non resterai qui dentro un minuto più del necessario: prendiamo ciò che ci serve e andiamo via. Non metterai mai più piede qui dentro dopo stanotte, capito?»

Al ragazzo però non sembrò di aver recepito bene quelle parole, la stessa voce di Shaun gli giungeva come un'eco lontana. Annuì, com'era abituato a fare quando voleva dar l'illusione di seguire il discorso «Sì. Sì, ho capito.»

Ma la pressione sulle sue spalle non diminuì, anzi aumentò: l'uomo doveva aver intuito la sua strategia. Stavolta lo sentì più vicino e lo vide sorridere in modo rassicurante «Abbi fiducia, ti proteggerò io.»

Dopo un'iniziale incertezza, Vincent annuì di nuovo. Voleva fidarsi di lui. Doveva ricordarsi di essere solo un ragazzino di diciannove anni e pertanto di non poter far tutto da solo.

«E dire che pensavo di doverti spiegare persino come mettere la sicura.»

«Si chiama dote nascosta. Sparo sin da quando ero un'adolescente che seguiva il padre a caccia. Ho anche vinto qualche premio, perciò non preoccuparti: probabilmente neanche tutti e tre insieme potreste buttarmi giù se ho una pistola in mano.»

Giles scrollò le spalle, persino lui sembrava agitato, ma il fatto che Alicia ci sapeva fare con le pistole era confortante. Si rivolse a Shaun e Vincent ancora vicini, accorciando le distanze con pochi passi «Siamo pronti, ma c'è bisogno che qualcuno resti qui a fare da palo.»

«Resto io.» si fece avanti Alicia, sollevando una piccola nuvola di polvere coi piedi «Mi nasconderò dietro la scala, così se qualcuno dovesse arrivare avrò un effetto sorpresa.»

"Un effetto sorpresa... per sparargli?" Vincent formulò quel pensiero sentendo un groppo alla gola: ora capiva l'apprensione di Marika, ora capiva quanto era stato superficiale.

Lo scantinato gli sembrò perdere quel poco colore che aveva.

Alicia sogghignò nervosamente a Shaun «Qui ci dividiamo, ma se scopro che non hai protetto Vincent come hai promesso...» e sollevò la pistola, facendo l'occhiolino al gruppo maschile.

Era seria, dannatamente seria. Shaun deglutì, assicurando che avrebbe fatto del suo meglio.

Ora veniva una delle parti difficili ma essenziali per la riuscita del piano, poiché se non fossero riusciti ad attraversare la porta il loro viaggio nelle viscere del Naughty Sunday sarebbe finito ancor prima di cominciare. L'attenzione fu catalizzata da un movimento rigido di Vincent, che scavò nella tasca della giacca rossa fino a trovare l'oggetto cercato: una piccola bustina di stoffa chiusa alla sommità da un nastro nero.

La aprì, vi affondò la mano con un'espressione schifata e si avvicinò al sistema di riconoscimento biometrico, nel frattempo azionato da Giles.

Gli ordini che comparvero sul display erano chiari e concisi, in lettere digitali blu su sfondo bianco, proprio come nei film di spionaggio: accostare l'occhio destro al dispositivo.

E allora Vincent sfoderò il loro passepartout segreto: una riproduzione dell'occhio di Lacey, tenuta tra indice e pollice come se fosse un occhio vero, che ad ogni movimento minacciava di scivolargli tra le dita.

«È così inquietante...» Shaun arricciò il naso «Come se lo saranno creato?»

L'unica spiegazione possibile era in realtà tutto e niente, ma Alicia la espresse comunque «Sono la sezione speciale dell'FBI, possono fare tutto. Tranne infiltrarsi in un locale e compiere una rapina.»

Fu richiesto anche di girare leggermente l'occhio, un controllo supplementare che li avrebbe messi in trappola se invece della riproduzione 3D avessero avuto solo una fotografia della retina di Lacey.

«Quando tutto questo sarà finito, pretenderemo un po' di spiegazioni.» disse Giles, e tutti tranne Vincent furono d'accordo.

Vincent voleva solo andarsene di lì al più presto, assicurarsi che Jonathan fosse salvo e barricarsi in casa con la sua famiglia e i suoi amici fino alla fine di quell'incubo.

Accesso accordato.

Sorrise nervosamente, sentendo il cuore iniziare a battere più veloce «È fatta.»

La porta si aprì, rivelando un lungo corridoio illuminato da neon piazzati dove pareti e soffitto si incontravano; un vento fresco, segno che l'impianto di refrigeramento era azionato, accolse i quattro sulla soglia.

Il primo ad avanzare fu Giles, con uno strano bagliore negli occhi di scienziato, seguito da Shaun, che suggerì a Vincent di restare dietro di lui. Il ragazzo invece cercò Alicia con lo sguardo, quest'ultima si era fatta indietro e teneva stretta tra le mani la Smith & Wesson.

«Non preoccuparti per me, ho il cellulare. Posso mandare un SOS se sono nei guai. Buona fortuna. Torna presto.» lo incoraggiò coi suoi occhi bellissimi, apparendo sicura di sé. Vincent poté solo annuire.

Infine si divisero. Un brutto presentimento collettivo li pervadeva, ma si salutarono comunque con un cenno serio del capo, intenzionati a far presto ritorno e tornare a casa tutti insieme.

***

Seduto sulle scale che conducevano al terzo piano del Naughty Sunday, un uomo rideva silenziosamente, parlando al Galaxy che teneva vicino all'orecchio.

«Indovina? Ti hanno fregata.»

Un lungo silenzio indicò chiaramente lo sgomento di Lacey «Sono riusciti a entrare?»

«A quanto pare non avevano nessun USB, hanno usato qualcos'altro che non sono riuscito a vedere. Sembra che, dopotutto, Hound sia veramente tuo nemico, cara Madre.»

La rabbia montò veloce, l'uomo non aveva bisogno di averla davanti per immaginare il viso di Lacey farsi livido di rabbia, di delusione verso il ragazzo a cui aveva deciso di dare fiducia.

«Sto tornando, tu non perderli d'occhio.» ordinò la donna.

«Mi dispiace, non posso!» lui scrollò le spalle «Hanno lasciato a guardia una campionessa di tiro al piattello, io non so nemmeno impugnare in modo vagamente convincente una pistola!»

Lacey cominciava a rivalutare l'utilità di quella persona «Non importa, mando Replica. Io vi raggiungerò dopo. Voglio trovare il cadavere di quella puttana steso a farmi da tappeto appena arrivo, sei avvertito! Ah, e aziona il blocco automatico delle porte del laboratorio: lasciamo che i topi si mettano in gabbia da soli.»

C'era ancora una cosa che però andava chiarita «E riguardo a Jonathan Black?»

O meglio "e riguardo il tuo punto debole?".

Un altro lungo silenzio.

L'uomo sospirò: Lacey Smith non aveva scrupoli per niente e nessuno, nemmeno per se stessa, ma quel dannato quattrocchi era sempre stato l'unica cosa che la frenava da essere un capo privo di esitazioni.

«A lui ci penserò io. Peccato, speravo di potermi godere una serata tranquilla, ma sembra che persino lui mi abbia tradita...»

Quella nota di disperazione nella sua voce fu ciò che convinse l'uomo a tagliar corto «Ho del lavoro da fare. Sbrigati.»

Chiuse la chiamata, premendo con troppa forza il polpastrello dell'indice sullo schermo touch del cellulare, dove finalmente, al posto della schermata di chiamata, comparve il volto sorridente di una bambina bionda davanti alla sua torta di compleanno, che recitava Happy Birthday, Megan.

***

Il corridoio che dal Naughty Sunday scendeva nelle fauci della terra somigliava a un tubo, o meglio ancora a uno di quegli scenari fantascientifici che Vincent e Giles avevano spesso visto nei videogiochi di Fanny o nei film di Alien.

Superata una prima zona squadrata e priva di qualsiasi segno caratteristico, i muri neri avevano iniziato a ricoprirsi di fili e tubature man a mano più grandi.

«Penso che servano ad alimentare qualche grande macchinario.» ipotizzò Shaun, senza che nessuno si facesse venir in mente di toccarli.

La strada era una sola e scendeva, avvicendando scale e tratti rettilinei sempre più bui e illuminati sporadicamente, ora da neon rossi. Davvero una grande scenografia, abbastanza cupa da trasmettere ai tre brividi su tutto il corpo.

«Come procede, Black?» Violet Alraven ricordò a Vincent la sua invisibile presenza.

«Bene.» rispose spontaneo Vincent, studiando con gli occhi il passaggio intorno a sé, senza riflettere su quanto fosse stupido e fuori luogo un semplice bene.

Violet però non era propensa a giustificarlo per il suo stato d'animo «Descrivimi attentamente cosa vedi.»

Mentre il ragazzo si dilungava in esposizioni confuse, Shaun si avvicinò a Giles, fin quando i loro cappotti non si sfiorarono.

«Perché questa strada è così lunga? Saranno cinque minuti che continuiamo a scendere.» domandò, come se lo psicologo avesse avuto le risposte.

Ma Giles non le aveva, anzi la domanda lo infastidì leggermente, poté solo ipotizzare la cosa più ovvia «Immagino che il laboratorio necessiti di uno spazio parecchio ampio.»

«Tutto questo non è normale...» borbottò a denti stretti l'altro, mostrando per la prima volta la sua agitazione, ora che Vincent non prestava attenzione a loro due.

«Abbandona ogni preconcetto di normale.» gli angoli della bocca dell'albino allora si sollevarono in un sorriso a mezzaluna, che tradiva un'eccitazione molto simile a quella degli scienziati dei racconti gotici ottocenteschi «La normalità in cui siamo entrati è troppo interessante per guardarla con disprezzo, come fai tu, o con paura, come fa il ragazzino.»

"No, è meglio guardarla come se fosse la cosa più sexy mai vista sul pianeta Terra, come fai tu" pensò ironicamente Shaun, che reputava Giles abbastanza inquietante.

Invece di perdere tempo a cercare di comprendere quello strizzacervelli schizzato avrebbe fatto meglio a preoccuparsi di trovare il dannato laboratorio e tenere d'occhio Vincent, che arrancava dietro di loro inciampando nei cavi.

«Proseguite.» ordinava nel frattempo Violet.

Vincent iniziava a temere che presto si sarebbe abituato a prendere ordini; dopo qualche altro metro notò che la temperatura iniziava a diminuire sensibilmente, pertanto cercò di riscaldarsi le braccia strofinandovi contro le mani, mentre affondava il viso nella sciarpa.

Anche Giles si chiuse il giubbotto nero, percorso da brividi che lo facevano tremare leggermente. Shaun sembrava invece l'unico per qualche strano motivo abituato alle temperature basse, e teneva la giacca bianca aperta senza avere alcuna reazione.

«Ho freddo...» si lamentò il ragazzo, allungò il passo e raggiunse i due uomini «Sono io o c'è qualcosa di strano?»

«Che cosa?» fece Shaun.

Vincent si fermò e così fecero anche gli altri due, quindi aprì bene le orecchie per sentire quello che non capiva se essere un prodotto della sua mente stanca o realtà: un rumore continuo, una sorta di sibilo, come quello prodotto da un computer o da un frigorifero.

«Hai ragione. Lo sento anch'io.» il secondo ad accorgersene fu Giles, che sondò lo spazio intorno a loro «Siamo vicini.»

***

L'orologio appeso alla parete segnò le ventuno e quindici.

Marika buttò fuori in un sospiro l'angoscia che le pervadeva il petto e si massaggiò le tempie con le punte delle dita; era seduta sul divano del salotto da venti minuti, con gli occhi che correvano prima alle lancette, poi alla città fuori dal finestrone – non aveva mai pensato che la vista da casa Black potesse essere così incantevole di notte -, infine alla televisione, sintonizzata sul canale delle notizie.

Terremoti, guerre, sfollati, politica, elezioni, nuove geniali invenzioni, ma niente su Phoenix. Il mondo sembrava essersi dimenticato che la sesta città più grande degli Stati Uniti era in quarantena per una malattia sconosciuta, o forse era il governo stesso a insabbiare tutto, sperando che il lavoro sporco che stavano conducendo non venisse notato.

E intanto in città continuava ad impazzare la violenza, la gente spariva senza lasciare traccia – Marika era però certa che fosse l'FBI a far piazza pulita di coloro che perdevano la testa a causa del virus -, gli ospedali erano pieni, l'assalto ai supermercati era stato inevitabile, la popolazione non usciva di casa se non per andare a lavorare. Quasi tutte le scuole avevano chiuso.

In realtà avrebbe voluto partecipare all'operazione, ma il solo pensiero la spaventava fino a farle tremare le gambe. Amaramente pensò di non essere affatto così forte come aveva voluto dimostrare a Vincent.

"E dire che ho riallacciato i rapporti con lui solo per ostentare una inesistente superiorità" incurvò le spalle ed inclinò la testa, appoggiandola sul morbido schienale del sofà "Ma quello che sta rischiando la vita ora è lui, mentre io sto qui, ad aspettare."

«... l'ordigno è esploso nella zona di Scottsdale. La conta dei feriti è ancora in corso, mentre il numero delle vittime è-...»

Come quando ci si rende conto che la canzone che si stava ascoltando è terminata da cinque minuti, Marika strabuzzò gli occhi alla parola Scottsdale, correndo come una disperata alla ricerca del telecomando. Lo trovò sotto un cuscino, alzò il volume e la voce stridula della giornalista invase la stanza.

La telecamera stava zoomando freneticamente su un varco aperto nella barricata, dal quale si alzavano fumo e grida, mentre la folla, accalcandosi in maniera brutale, cercava di riversarsi fuori, di fuggire.

Qualcuno aveva fatto esplodere una bomba per aprire un buco nel perimetro della quarantena, la gente stava veramente riuscendo a scappare!

Marika sentì un senso d'oppressione "Grazie al cielo Fanny è con l'FBI... ma i suoi genitori staranno bene?"

«L'attentato non sembrerebbe di natura terroristica, piuttosto un gesto estremo per scappare dalla città. Ecco, potete vedere le forze dell'FBI usare la forza per catturare i fuggitivi! Lì, inquadra lì, un uomo che spara contro gli agenti!»

Erano immagini shockanti, ma nessuno aveva il coraggio di interrompere la diretta: quella scena avrebbe fatto il giro del mondo, scatenato la popolazione statunitense e alzato chissà quale polverone, per non parlare delle conseguenze.

La successiva mezz'ora passò sull'onda di continui aggiornamenti sul numero delle vittime, per fortuna basso, e su quello dei feriti, che andava alzandosi velocemente. L'uomo armato fu fermato e portato via, mentre le botte tra agenti e fuggitivi continuavano.

Verso le dieci però qualcosa spezzò la quiete della casa, facendo sobbalzare per lo spavento Marika: il citofono. Che fossero Vincent e gli altri?

Col cuore in gola si precipitò giù dal divano, inciampando sul tappeto e rischiando di cadere. Si aggrappò alla cornetta, pregando che fossero in arrivo buone notizie.

«Chi è?» esclamò, pregando con tutta se stessa che fosse Vincent.

«Casa Black? Vincent è in casa?»

Non era Vincent. Anzi, era una voce del tutto conosciuta, maschile, dall'accento del sud.

E se fosse stata una trappola? Per tutti, comunque, Vincent era al Naughty Sunday per fare un favore a Lacey «Sì, è casa Black, ma Vincent non c'è. Scusa, chi sei?»

La risposta arrivò quasi diretta, e la spiazzò al punto che non poté far altro che credere di aver sentito male, malissimo.

«Neville Lance? L'amico del Tennessee di Vincent? ... Che diavolo ci fai qui?! Sali, diciassettesimo piano!»

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