24. ... and those who aim to become gods (1)
Arco III: Redemption
Capitolo 24: ... and those who aim to become gods (1)
Convincere i fratelli Black a lasciare l'ospedale fu facile quanto persuadere un tossicodipendente a rifiutare una dose, ma era comprensibile e prevedibile.
Dopo un'intera mattina passata al loro fianco, spinti da Marika decisero di alternarsi per rimanere il più vicini possibile a loro padre. Il primo a far ritorno a casa fu Vincent, visibilmente più stanco.
Marika lo accompagnò fino alla porta ed insistette per rimanere qualche altro minuto per aiutarlo a rimettersi in sesto e fargli compagnia. Aveva seriamente paura di ciò che avrebbe potuto fare: in momenti come quelli, Vincent le sembrava capace di tutto, anche delle azioni più disperate ed estreme.
«La gente è... impazzita.»
La voce cupa del ragazzo spezzò il flusso di parole della televisione. Marika aveva chiesto il permesso di vedere il notiziario, ma subito dopo gli ultimi aggiornamenti sull'esplosione di cui anche Thomas era rimasto vittima, Vincent si era avvicinato ad uno dei finestroni, aveva poggiato sul vetro una mano e, da quel momento, non faceva altro che guardar fuori, verso l'abisso di cento e passa metri che li separavano dalla strada.
La ragazza annuì «Hanno paura. Tutti ne abbiamo.»
Non abbastanza da piazzare una bomba in una metropolitana, era la frase che aleggiava nell'aria, ma a cui nessuno dei due diede voce. Marika si avvicinò a lui, gli mise una mano sulla spalla con affetto, poi guardò fuori: il cielo iniziava a striarsi dei colori del pomeriggio, un elicottero militare sorvolava la zona nord della città, nei pressi di Scottsdale. Pensò immediatamente a Fanny e Giles, bloccati lì.
Fece scivolare la mano fino all'altra spalla del giovane, così da appoggiarsi a lui; era stanca, voleva che quella dannata quarantena finisse e tutto tornasse alla normalità. Voleva rivedere suo padre.
Vincent non si mosse, ma comprese lo stato d'animo di Marika.
«Lacey Smith non ti ha detto proprio niente, vero?»
«No. Niente. Non si fida.» rispose lui con voce piatta, priva di emozioni «Avrei dovuto lasciar andare Jonathan sin dall'inizio. Se lo avessi fatto, forse mio padre...»
Non riuscì a terminare la frase. Fu scosso da un tremito e si morse violentemente le labbra, facendole sanguinare; si chiese se Fanny aveva ragione e davvero aveva perso la capacità di piangere, perché sfogare il dolore era tutto quello che voleva ora, ma le lacrime non volevano saperne di annebbiargli gli occhi.
Marika gli diede una scrollata, impegnando tutta la sua forza finché il ragazzo non fu costretto a distogliere gli occhi dal paesaggio e guardarla, quasi infastidito.
«Hey, basta biasimarti. Si riprenderà, si riprenderà sicuramente, hai capito?» Marika specchiò i suoi occhi blu in quelli gialli di lui con intensità «Per allora, però, tu dovrai fargli trovare un mondo migliore. Perciò non devi lasciarti andare.»
Il viso del ragazzo, la cui espressività era stata fino ad allora direttamente proporzionale a un elettrocardiogramma piatto, si animò e riprese vita e colore, sebbene ancora fosse piegata dalla malinconia; dopo un paio di tentativi Vincent riuscì ad annuire, ricominciò a vedere il mondo intorno a sé e si stupì di come, per l'ennesima volta, si era lasciato avvolgere dalla negatività senza rendersene conto. Era davvero una fortuna che Marika fosse lì con lui.
L'urgenza di cambiare discorso si fece sentire, così chiese «Hai deciso se ti trasferirai qui?»
Come un ladro colto con le mani nel sacco, Marika sgranò gli occhi ed arrossì, evitò il suo sguardo e infine si allontanò col passo svelto di una lepre.
«Beh, insomma... credo che avrete bisogno di aiuto, per farvi almeno trovare la casa in ordine e un pasto caldo in tavola quando tornate dall'ospedale.» mugugnò con voce incerta, fermandosi davanti alla tv ancora accesa.
La voce rachitica dello speaker era ancora alta e accorata mentre il cielo si oscurava. Uno strato plumbeo di nubi fece da sfondo all'elicottero di poco prima, che si era avvicinato al grattacielo. Entrambi i giovani si voltarono a guardarlo, Vincent per un attimo ebbe paura di vedere Violet Alraven sorridergli diabolicamente da uno dei sedili.
«Il tempo stringe... dobbiamo muoverci.» sussurrò a denti stretti il ragazzo, stringendo i pugni.
Avrebbe ottenuto risposte da Lacey, a qualsiasi costo.
***
- Il giorno dopo –
Era venerdì sera. Questo avrebbe normalmente fatto pensare alle folle di giovani che si riversavano per strade e locali, abbellendo la città di colori e sorrisi, un caleidoscopio di occhi diversi con un unico obiettivo: divertirsi.
Da quando la quarantena era cominciata, tutto ciò era un mero ricordo del passato; nessuno osava più a uscire di casa senza un motivo valido, soprattutto ora che il pericolo i cittadini lo avevano visto coi propri occhi e sentito nelle vibrazioni del terreno nel momento in cui la bomba era esplosa.
L'area metropolitana di Tempe era circondata di nastro adesivo giallo che vietava l'accesso, la polizia sorvegliava la zona come cani da guardia feroci. Si scambiavano occhiate conniventi e nervose, consci del pericolo in agguato.
Vincent li aggirò a cavallo della sua moto: non avrebbe più avuto bisogno di mentire a Thomas per uscire di notte e lo rimpiangeva. Per qualche fortunata coincidenza aveva il casco e rispettava i limiti di velocità, dunque gli agenti non ebbero nulla da ridire quando lo videro sfrecciare lungo la strada attigua.
Il vento lo ostacolò fin quando non entrò nel parcheggio del Naughty Sunday, vuoto come non lo aveva mai visto: persino i lampioni emanavano una luce più tetra del solito. In lontananza un allarme suonava, i malavitosi si stavano dando alla pazza gioia approfittando del clima di paura collettiva.
Smontò dalla sella e mise le catene alla ninja, per poi avviarsi lungo il viale che conosceva come le sue tasche, accompagnato dal suono dei suoi passi sull'asfalto bagnato di recente pioggia; pioveva spesso negli ultimi tempi, l'aria era così umida che sembrava di nuotarci attraverso. Sentiva la pelle appiccicosa e i capelli incresparsi, l'odiava.
Dentro il locale suonavano un remix di Young and Beautiful di Lana del Rey, una canzone che gli era inaspettatamente piaciuta parecchio; aveva visto il film di cui era colonna sonora, The great Gatsby, assieme a Fanny tempo addietro, e da allora gli era rimasta impressa nella mente. Le luci erano basse e spaziavano dal celeste al violetto, tingendo delle stesse tonalità la pelle rosea di Sam, il barista, che lo salutò alzando una mano senza allegria. Vincent ricambiò il saluto, poi attraversò la pista, in direzione delle scale.
Non incrociò nessuno di quelli che normalmente bazzicavano lì, i clienti e il personale avevano delle facce da funerale che incupivano la serata.
«Hound!»
Una voce che conosceva ma non riconosceva fece l'altro suo nome.
Vincent cercò con lo sguardo chi lo aveva chiamato e lo individuò ad uno dei tavoli in penombra, col viso mezzo immerso nel buio e un Negroni ancora da consumare abbandonato a se stesso.
Era più normale del solito, se non si guardava alla cravatta a fiori slacciata e i capelli tinti di blu, ma niente occhiali da sole e niente sogghigno famelico. Vincent lo raggiunse e si appoggiò al tavolo.
«Hey, Red.» gli doveva ancora un servizio gratis, che naturalmente non aveva la minima intenzione di fare: non avrebbe più permesso a nessuno di toccarlo con intenzioni lascive. Era ormai diventato un pensiero disgustoso e ripugnante da quando assumeva con regolarità la HR24.
L'uomo fece sparire le spalle nella comoda poltrona, mentre una chitarra in sottofondo scandiva alcune note di una canzone che Vincent non riconobbe.
«Non sei in forma.» sorrise il presentatore, senza mettere un minimo d'impegno nel sembrare gioviale.
Vincent scosse la testa «Neanche tu.»
«Oh, l'hai notato?» una risata amara, Red buttò giù un sorso come se il Negroni se fosse stato acqua fresca «Siamo nella merda, Hound!»
«Non chiamarmi Hound.»
Red lo fissò come se avesse avuto le trabecole, ma il ragazzo era mortalmente serio.
«Non sono più quel tipo di persona.» ribadì.
La cosa sembrò stupirlo: che opinione s'era fatto di lui? Un'altra risata sovrastò il silenzio, ma per la prima volta l'espressione di quell'uomo strano sembrò avere un che di comprensibile e umano «Sei cambiato, ragazzo. Te lo si legge in faccia. Non so se in meglio, in realtà. Non ti dirò "sei diventato un uomo", sarebbe banale, ma hai uno sguardo intrigante, come quello di un bellissimo mostro.»
Cambiò ancora canzone: i Fall Out Boys, My songs know what you did in the dark.
«Un mostro, huh?» ripeté Vincent, la sua voce era coperta dai cori.
Red gli lesse le labbra e ribadì «Un mostro, sì. Ma bellissimo.» con un altro sorso svuotò il bicchiere, infine alzò gli occhi al ragazzo, come un vecchio relitto in attesa di un nuovo dio «Vai, e cambia questo mondo marcio.»
E Vincent se ne andò, lasciando per sempre Hound dietro di sé: che ci pensasse la sua ombra fatiscente a far un servizio gratis a cani e porci.
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