22. Piece M (4)

Arco II: rEvolution

Capitolo 22: Piece M (4)

- Due anni dopo -

Faceva freddo in quella stanza d'ospedale, molto freddo; i riscaldamenti erano sicuramente in funzione, ma ad avere la meglio era l'aria fredda della sera che entrava dalla finestra mezza aperta.

«Sei sicura di volere aperta la finestra?»

«Hm-mm. Ho caldo...» sorrise debolmente Marika dal letto su cui era distesa.

Benché si sforzasse di sembrare in forze, il suo fisico era chiaramente distrutto. Aveva una flebo al braccio sinistro ed un aspetto spaventoso, di chi non tocca cibo da tempo: il viso scavato, le braccia secche, le ossa delle mani e delle gambe visibili, gli occhi grandi e vacui.

Era stata una fortuna che si fosse trovata in una libreria, un luogo pubblico, nel momento in cui era svenuta, perciò era subito stata portata in ospedale.

Non era in pericolo di vita, ma le sue condizioni preoccupavano i dottori: la aspettava un lungo periodo di riabilitazione se voleva liberarsi della piaga dell'anoressia.

Le prime persone che la paziente aveva chiesto di chiamare erano suo padre e Vincent, il suo ragazzo, che all'epoca viveva ancora di giorno.

«Credo che... questa sia la volta buona che papà mantiene la sua parola...» considerò debolmente, sorridendo in direzione del ragazzo appoggiato alla finestra.

«Cioè?» con finto disinteresse, egli mise le braccia conserte e le scoccò un'occhiata torva.

«Che molla l'esercito... e apre una clinica qui per stare sempre con me.» nel prospettarsi una simile eventualità le salirono le lacrime agli occhi, era combattuta tra il desiderio di poter finalmente vivere una vita normale con suo padre e non con gli zii e il senso di colpa verso il povero Jack Starson, che era pronto a rinunciare al suo amato lavoro per lei.

«Smetti di parlare.» la interruppe lui, nervoso «Fa' silenzio e riposati.»

«L'orario delle visite finirà presto, però...» obiettò la giovane «Se non parlo ora... non parlerò più fino a domani.»

Parlare? Un verbo che fece accigliare bruscamente il ragazzo, che sbottò sollevando la voce «Avresti dovuto parlare quando era il momento, non su un letto d'ospedale, ora che è troppo tardi!»

Rimasero senza parole, entrambi sbigottiti da quell'affermazione. Era qualcosa che Vincent si portava dentro da molto tempo e che non credeva di avere il coraggio di pronunciare; Marika lo sapeva e ne nutriva grande paura.

Calò un pesante silenzio, la ragazza allontanò gli occhi dalla figura dell'altro, ma all'interno di quella fredda e bianca stanza non c'era niente che potesse darle pace oltre lui, che invece aveva deciso di essere il suo colpo di grazia.

Farle male non era ciò che Vincent desiderava in quel momento, perciò stringeva i pugni con rabbia crescente, la sua bocca aveva però intenzione di tradirlo e dar voce a pensieri sopiti, per dire tutto quello che aveva taciuto fino ad ora.

«Marika, io lo so che cosa si prova ad essere presi di mira dai bulli. Non te l'ho mai raccontato, ma alle elementari mi fecero credere che era colpa mia se i miei genitori si erano separati; adesso so la verità, ma a quel tempo per me fu una tragedia. E sto parlando di veri errori come il tradimento, e, credimi, essere un po' in carne non è un errore.» parlò velocemente, con la voce intrisa di rancore «Tu non hai commesso alcun peccato se non quello di dar retta a quelle stronze. Tu non sei grassa, è ora che la smetti con questa puttanata, ti guardi allo specchio e ti accorgi di essere la bellissima ragazza che sei.»

Marika rimase frastornata da quel fiume di parole, impiegò qualche attimo in più del necessario per comprenderlo, assimilarlo, piangerlo; pur essendo molto debole, infatti, stavolta le lacrime sgorgarono con prepotenza, così salate e amare da farle bruciare gli occhi. Dischiuse le labbra per dire qualcosa che non riuscì a superare il nodo che aveva in gola, furono infatti solo singhiozzi e gemiti quelli che emise, mentre accanto a lei Vincent si accasciava sulle ginocchia, coi gomiti sul letto.

«Tu dici sempre che conta come siamo dentro, no? Mi rimproveri perché mi fermo alle apparenze, no?» sospirò tristemente il ragazzo, senza guardarla negli occhi «Sei ipocrita.»

Ogni parola pronunciata sembrava un coltello che le trapassava il cuore, Marika sentiva tutte le sue sicurezze traballare e cadere: erano ipocrisie dalla prima all'ultima? Lei ci credeva, ci credeva fermamente: avere fiducia nel prossimo e non fermarsi alla prima impressione erano preziosi insegnamenti di suo padre, eppure da quando quelle ragazze a scuola l'avevano presa di mira aveva cominciato a guardarsi con occhio diverso, più critico e negativo, scoprendo in sé difetti a cui non aveva fatto caso prima.

Poi, quando le era stato detto che una persona banale e grassa come lei non poteva stare con Vincent, quando le avevano riso in faccia e l'avevano fatta sentire improvvisamente stupida, piccola e inferiore rispetto al suo ragazzo, al quale aveva sempre rimproverato una visione in bianco e nero della vita, si era sentita cadere il mondo addosso.

Ciò per cui aveva spesso ripreso Vincent le si era rivoltato contro, dimostrandole non solo la sua esistenza, ma anche la sua forza distruttiva: era il pregiudizio, la cattiveria, l'insensibilità.

Vincent era stato tenuto all'oscuro di tutto, per paura del ripetersi dell'evento da cui tutto aveva iniziato a crollare e che gli era costato una sospensione di una settimana e una minaccia di espulsione. Tutto per colpa sua.

E così, giorno dopo giorno, sgarbo dopo sgarbo, nell'arco di due anni si era convinta che quelle ragazze dai volti prepotenti avessero ragione: era lei quella sbagliata, doveva fare qualcosa per cambiare.

Si era pertanto posta un obbiettivo: far scendere l'ago della bilancia dal sessanta al trentotto, e ci era quasi riuscita in relativamente poco tempo. La dieta miracolosa? Mangiare una volta al giorno.

A quel punto il suo corpo, reso sempre più debole di giorno in giorno dal digiuno forzato, era collassato.

«Io non volevo... sfigurare accanto a te.» sussurrò tra le lacrime, incerta che quella fosse la cosa giusta da dire.

"Sfigurare accanto a me?" Vincent non si perse in inutili ripetizioni, il messaggio gli era arrivato chiaro, brutale e crudo in tutta la sua crudeltà "Quelle bastarde hanno usato anche questa scusa pur di prendersela con lei?"

Lui non aveva mai reputato Marika grassa, era la verità, era semplicemente più in carne delle altre ragazze, ma non pensava che essere grassi fosse una scusa per prendersela con qualcuno; neanche lui, che si prendeva gioco delle persone in vari modi, arrivava ad insultare una persona per il suo peso, gli sembrava sbagliato e stupido, infantile.

Vincent era sicuro che Marika avrebbe capito meglio di lui un ragionamento così elementare, specialmente perché figlia di un dottore.

«Eh...» abbassò il capo, emettendo una breve risata soffocata e priva di allegria «Sei proprio stupida...»

«Sì...» piagnucolava intanto lei.

La ragazza si issò sui gomiti per riuscire con un po' di fatica a distendersi di lato, di fianco a lui, con i lunghi capelli sparsi un po' ovunque su quel letto, quindi gli strinse affettuosamente una delle mani.

A quel punto notò qualcosa che la sorprese parecchio.

Curiosamente e sottovoce, domandò «Stai piangendo?»

«No.»

A poco servì il secco cenno di diniego di Vincent, dal momento che i suoi occhi gialli erano lucidi. Marika usò la mano libera per accarezzargli lentamente la testa ancora bassa.

«Smettila!» ringhiò dopo poco il bruno, liberandosi malamente di lei e dei suoi gesti troppo gentili.

Lo sguardo impaurito di Marika lo fece sentire ancora peggio di come stava già, ma Vincent sapeva di essere nel giusto, doveva continuare finché la ragazza non avrebbe finalmente capito il suo errore.

«Hai idea di quanto mi sia spaventato quando mi hanno chiamato dall'ospedale? Sai che per poco non mi hanno investito mentre correvo qui?» la aggredì di nuovo «E tuo padre? A lui ci hai pensato? Quell'uomo è in Iraq, Dio santo, secondo te come si sentirà quando lo scoprirà? E quanto dovrà aspettare e patire prima di poterti abbracciare?»

Doveva aver toccato il tasto giusto, perché quelli che vide per la prima volta sul volto di Marika furono turbamento e pentimento sincero, non più l'espressione di chi cerca compassione e comprensione che tanto lo aveva irritato.

Se per farle capire la sua colpa e convincerla a porvi rimedio doveva interpretare lui la parte del mostro, era pronto ad essere il più abominevole dei mostri.

«Se hai deciso di non portare rispetto a te stessa non mi intrometto, fatti tuoi, ma almeno rispetta chi ti vuole bene, Marika! Sapevi a cosa ti avrebbe portata questa strada e l'hai percorsa comunque, nascondendo la verità a lui e ignorando me ogni volta che cercavo di aiutarti! Era davvero così importante fronteggiare quelle puttane?»

«Sì che lo era!» gli urlò contro la ragazza, animata dalla fiamma della rabbia che le si leggeva negli occhi blu, ma al contempo rossa in volto per la vergogna delle sue azioni e della sua cocciutaggine nel perseguire tutt'ora una perorazione a proprio favore.

«Al punto di finire in ospedale e deludermi?»

Silenzio.

Marika scoppiò in lacrime, Vincent invece le represse.

"Hai capito ora, Mary?" avrebbe voluto chiederle con ritrovata gentilezza, allungando una mano per pulire via tutte quelle lacrime, infine chiederle scusa per essere stato così duro e spiegarle che lo aveva fatto per farle realizzare la gravità della situazione.

Invece, commise uno degli errori che in futuro avrebbe più rimpianto.

Con passo spedito, si allontanò dal letto e raggiunse la porta della stanza, quando afferrò la maniglia questa gli sembrò assolutamente gelida, forse perché nel frattempo lo aveva raggiunto un mugolio sommesso e penoso della ragazza.

«L'orario delle visite... non è ancora finito!» esclamò con la poca forza rimastale in corpo, aggrappata al tenue filo di speranza che andava assottigliandosi sempre più, di secondo in secondo, mentre Vincent rimaneva silente, a testa bassa; quando il messaggio dietro quelle parole non pronunciate divenne realtà limpida ai suoi occhi, Marika pianse amaramente e tra i singhiozzi tentò con difficoltà di dire «Non lasciarmi sola!»

Se Vincent non fosse stato attento, se non fosse stato un cinico manipolatore di emozioni, non sarebbe riuscito a correggere e zittire il singulto che spontaneamente gli risalì la gola; curvò le spalle ed infilò la mano vuota nella tasca del cappotto nero, ma solo dopo qualche secondo riuscì ad avere abbastanza controllo di sé per rispondere «Se il tuo problema è sfigurare affianco a me, mi toglierò di mezzo per un po'. Marika, cresci, diventa indipendente. Dimostrami la tua forza, solo allora continueremo questa conversazione.»

Con queste parole lasciò per sempre quella stanza d'ospedale e la ragazza al suo interno, distrutta fisicamente e moralmente, incredula e confusa.

Lui, dopo essersi chiuso la porta alle spalle, un po' come un cane da guardia si sedette per terra, appoggiato al muro con la schiena, telefonò alle amiche di lei ed attese l'arrivo di qualcuno in silenzio, combattendo con se stesso per non cedere al bisogno di rientrare e scusarsi, o in alternativa arrendersi a quello che per lui era un tabù: piangere.

Da quel momento in poi erano entrambi soli.

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top