22. Piece M (3)
Arco II: rEvolution
Capitolo 22: Piece M (3)
Vincent spalancò la porta dell'aula di musica con così tanta forza che la mandò a sbattere contro il muro; sul viso aveva un'espressione talmente furiosa che Marika pensò che l'avrebbe picchiata. Era tardo pomeriggio, erano rimasti a scuola per le attività pomeridiane, il sole tramontava, dipingendo di ombre allungate l'aula, rendendo felini, quasi selvaggi, i lineamenti del viso di Vincent.
Marika si portò istintivamente una mano alla guancia destra, per quanto fosse inutile: non aveva modo di nascondere il grande cerotto e la pelle annerita e gonfia.
Nel vederla così indifesa e leggermente tremante, Vincent inspirò profondamente per calmarsi. I suoi occhi ora sembravano meno spiritati.
«Fanny mi ha detto che ha visto Ronda colpirti.» disse, scandendo parola per parola, rimanendo sulla porta con la sua figura che troneggiava sul resto della classe.
Marika strabuzzò gli occhi, nella sua mente il ricordo dello schiaffo si fece vivido. Era accaduto il giorno prima, nei bagni delle ragazze: Ronda Collins era il capo indiscusso delle Princess e Marika non le era mai andata a genio. Ma non aveva mai alzato un dito su di lei, si limitava a definirla "l'amica sfigata di Amy". Da qualche tempo però Marika, la ragazzina sfigata dalla vertiginosa media, se ne andava in giro con un ragazzo dalla certa fama, aveva fatto un restyle generale e cominciava a diventare un po' troppo popolare.
Insomma, sentirsi addirittura dire quello sfacciato «Non ho bisogno di essere come voi per essere migliore di voi» doveva aver fatto andare su tutte le furie Ronda, che aveva seguito Marika in bagno proprio per farle la rara proposta di unirsi alle Princess.
Marika pensava di aver esagerato, forse i discorsi con Vincent l'avevano inorgoglita un po' troppo, perciò non si era lamentata dello schiaffo e lo aveva giustificato come una caduta dalle scale all'infermiera della scuola. Quando usi la scusa della caduta dalle scale nessuno fa storie, perché sanno che non è mai vero e che non puoi parlarne senza ulteriori ripercussioni.
Qualcuno però lo aveva detto a Vincent, quindi ulteriori ripercussioni ci sarebbero state eccome.
«Sono stata un po' maleducata, ecco tutto.» sorrise Marika nella penombra, avvicinandosi al ragazzo «Me lo sono meritato. Comunque io vado, devo fare la spesa se vogliamo mangiare il curry domeni-...»
Vincent sbatté un pugno sulla porta così forte che questa tremò violentemente; Marika sobbalzò spaventata, il fiato le si ruppe in gola. Vincent aveva gli occhi scuri, così stretti che un gioco di luce li faceva apparire nocciola, la mascella tanto stretta da sembrare un cane che si trattiene dall'azzannare qualcuno alla gola.
«Questa... la pagherà molto cara.» ringhiò, prima di lasciare l'aula.
***
Ronda Collins la pagò molto cara il giorno dopo, nel momento in cui i corridoi del liceo erano più affollati: la pausa pranzo.
A Marika bastò sentire l'esclamazione collettiva che si era levata dal fondo del corridoio dell'aula d'informatica per sapere che Vincent aveva fatto qualcosa; facendosi largo a tentoni e spinte tra la folla che si ammassava e parlava sommessamente, riuscì a fatica a raggiungere il punto in cui Vincent stava in piedi, con uno sguardo di fuoco e la mano ancora in aria: il palmo era rosso.
Ronda invece, coi suoi bellissimi capelli rossi e il viso tanto curato quanto stravolto, era stata scaraventata per terra, gambe all'aria, dallo schiaffo di cui ora recava il ricordo sulla guancia, quasi viola e solcata da un taglio colorato di sangue.
Aveva un'espressione a dir poco allibita, spaventata come se temesse di essere massacrata di botte da un momento all'altro.
«Vincent!» esclamò con voce strozzata Marika, coprendosi la bocca con le mani per lo shock: si rifiutava di credere che quella scena fosse reale.
Vincent le aveva detto diverse volte di non avere problemi ad alzare le mani allo stesso modo su maschi e femmine, ma era sempre così mansueto e controllato che Marika aveva seriamente creduto si trattasse dell'ennesimo modo di mostrarsi la belva che non era. Adesso invece ne aveva la prova, e per la prima volta fu terrorizzata da lui.
Vincent strinse la mano in un pugno, indicando con l'indice Ronda per terra «Beh, fa male? Spero di sì, perché a Marika ha fatto male. Adesso siete pari.»
Tutti i presenti cercarono con lo sguardo Marika, che ancora aveva la guancia abbastanza gonfia e nascosta sotto il cerotto; nei loro sguardi la ragazza lesse paura, ma anche pietà.
«Adesso lo sai: ogni volta che farete del male a Marika, farete bene a guardarvi le spalle, tu e tutto il tuo gruppo di spocchiose stronzette. Siamo d'accordo, Ronda?»
Marika non volle sentire oltre: gli voltò le spalle e scappò via.
«Non riesco a credere che tu l'abbia fatto davvero.»
«E se sarà necessario lo rifarò.»
Vincent non era proprio capace di confortare o rassicurare qualcuno, pensò Marika. Però era bravo a giocare a nascondino. Era riuscito a trovarla in meno di mezz'ora, pur essendo il magazzino della palestra l'ultimo posto in cui si cercherebbe qualcuno che non vuole essere trovato.
Chinò il capo fino a nasconderlo nell'intrico di braccia e gambe, rannicchiandosi meglio sul vecchio e polveroso scatolone che le faceva da sedia.
«Non voglio parlarti.» fremé, la sua voce era un amalgama di timore e rabbia «Non ti rendi conto di quello che hai fatto, Vincent! Ma ti ascolti quando parli?»
Vincent si chiuse la porta alle spalle, lasciando che la stanza venisse inghiottita dalle tenebre. Si mosse in silenzio, superando gli ostacoli che aveva memorizzato, per poi sedersi sui talloni per terra, davanti a Marika.
Nel buio, però, nessuno dei due poteva vedere l'altro.
«Sì che me ne rendo conto, invece. Ho fatto passare a Ronda quel che lei ha fatto passare a te.» sembrava calmo «Porgere l'altra guancia è il modo migliore per ricevere due schiaffi, Marika.»
«La violenza ricambiata con violenza allora è la soluzione? Secondo te da adesso in poi mi lasceranno veramente in pace?» sbottò lei.
Nel silenzio, Vincent annuì «Adesso avranno paura. Di me.»
Marika sentì le lacrime annebbiarle di nuovo gli occhi con prepotenza: non le era mai piaciuto piangere davanti agli altri. Odiava l'idea di essere considerata debole, di aver bisogno di qualcuno, di non saper camminare con le sue gambe.
Si rese finalmente conto che anche lei aveva indosso una maschera, esattamente come Vincent, e di non essersene mai accorta: la maschera della ragazza capace di vivere per dieci mesi all'anno senza suo padre, che manteneva un'ottima media a scuola e che, sebbene a discapito della propria vita sociale, era esattamente quello che molti avrebbero voluto essere.
Quando veniva la notte però, o anche quando il buio la circondava, proprio come in quel momento, la sua maschera s'incrinava e mostrava uno scorcio del suo vero volto.
Si sentiva così fragile.
Vincent lo aveva capito persino prima di lei.
Con il fiato rotto dalle lacrime e dai singhiozzi, Marika mugolò «E ti va bene che gli altri abbiano paura di te?»
Un attimo di silenzio, la ragazza avrebbe voluto un barlume di luce che le mostrasse l'espressione di lui in quel momento, ma ciò che ricevette fu un sospiro.
«A me importa solo delle persone a cui voglio bene, Marika. Dammi la mano.»
Aveva sempre dato per scontato che a Vincent importasse di più di se stesso che delle persone che amava, ma quella fitta oscurità le stava insegnando quanto fosse sbagliata la sfumatura di lui su cui si era concentrata.
Fece come le era stato detto ed allungò la mano destra nel vuoto, il freddo le lambiva le dita; ebbe per un attimo paura che un mostro gliela staccasse di netto all'improvviso, quando invece sentì un calore raggiungerla e stringerla affettuosamente. La strinse a sua volta, con una forza quasi esagerata: quella mano era la sua ancora di salvezza dal mare nero della complessità dei suoi pensieri.
«Se è per te, sarò nemico del mondo intero.»
Marika gli credette.
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