22. Piece M (1)

Arco II: rEvolution

Capitolo 22: Piece M (1)

- Durante il secondo anno del liceo -

«Ha perso.»

«... Cosa?»

«Ha proprio perso, ti dico.»

Marika strabuzzò gli occhi un paio di volte ed abbozzò un sorriso che sembrava dire "mi stai prendendo in giro?". Non era assolutamente possibile che avesse perso quella scommessa: no, era impossibile che Big Connor, il suo pugile preferito, il suo mito, il suo modello di vita, avesse perso contro quella mezza calzetta di Ace.

A giudicare dall'espressione di Amy, l'amica con cui aveva fatto quella scommessa che reputava già vinta in partenza, doveva avere una faccia esilarante in quel momento.

Si lasciò cadere di mano il telecomando, giusto per fare un po' più di scena.

«Big Connor! Rialzati! Non puoi perdere!» esclamò, gettandosi verso la televisione e prendendola tra le mani con fare disperato, come se la sua voce avesse potuto raggiungere il campione a tappeto e avere un effetto taumaturgico.

Ma Big Connor rimase lì, a terra, con qualche dente rotto e un'espressione da zimbello.

Marika non poteva crederci, sarebbe stata a lutto per chissà quanto tempo.

«Big Connor... !» piagnucolò disperata, finché non sentì la mano di quella serpe di Amy poggiarsi sulla sua spalla.

Sogghignava, Amy, mentre un bagliore pericoloso le passava negli occhi verdi «E adesso parliamo della tua penitenza, Mary...»

Ma che gliene importava della penitenza! Il grande Connor era a tappeto! Quanti punti avrebbe perso con questa sconfitta schiacciante? Ma le brutte notizie non erano finite per la povera Marika.

Amy, gloriosa e trionfante, si ravvivò i capelli scuri e si chinò fin quando le sue labbra furono vicine all'orecchio dell'amica, sussurrando come il diavolo «Hai presente il ragazzo nuovo, quello che si è trasferito da Seattle settimana scorsa?»

- Il giorno dopo –

Nascosta dietro l'angolo, Marika appoggiò le spalle al muro e sospirò rassegnata «Non posso farlo.»

«Davvero? È un peccato, perché devi farlo.» ma Amy non aveva pietà e giocherellava con la cinghia dello zaino, in maniera quasi annoiata «Ringrazia Big Connor.»

«Big Connor!» pessima idea, quella di ricordarle la pessima figura del suo idolo.

Ogni tanto Amy si chiedeva com'era possibile che a Marika piacesse così tanto il pugilato: non era certo la passione più normale per una liceale acqua e sapone, studentessa modello e con il sogno di diventare chirurgo. Ma le persone sono piene di sorprese, no? E chissà quante sorprese riservava il nuovo arrivato, tale Chiamatemi-Vincent-non-mi-piace-essere-chiamato-Stephan Black!

Era arrivato da una sola settimana, ma l'intera scuola già parlava di lui, di come fosse figlio di un'attrice famosa e di un giornalista importante, vivesse nientemeno che in un grattacielo della Central City e, soprattutto, di quanto fosse innegabilmente attraente. Il vero fascino di Vincent tuttavia non stava nei magnetici occhi gialli o nel sorriso arcuato, quanto nei modi di fare accattivanti e nella generale aura di "bello e dannato". C'era un qualcosa di ostico nei suoi comportamenti, che tangeva il cinismo, lo si intravedeva in certe occhiate che in più di un'occasione avevano colto l'attenzione degli altri, creato pettegolezzi che lo dipingevano come un ragazzo falso e poco affidabile.

Amy voleva vederci chiaro in tutto ciò, perciò avrebbe mandato Marika a fare la cosa che le riusciva peggio: socializzare. Magari avrebbe suscitato la tenerezza di Duro-di-cuore-Black e gli avrebbe strappato qualche confessione che le avrebbe finalmente fatto guadagnare la prima pagina della sezione gossip del giornalino d'istituto.

«Oh, eccolo!»

Marika si afflosciò sulle ginocchia ed arrossì, nascondendosi dietro i libri che portava in mano; trovato un po' di coraggio allungò il collo oltre l'angolo per osservare per la prima volta Vincent Black. Era proprio come glielo avevano descritto, ma un po' più alto di quanto immaginava.

Il ragazzo era in piedi accanto al suo armadietto ricolmo di manuali; sopra la divisa della scuola, che gli calzava davvero a pennello – e dire che sembrava così brutta addosso a chiunque! -, indossava una sciarpa nera dai bordi rossastri, che s'intonava al colore dei suoi occhi. Chiacchierava e rideva con i suoi nuovi amici, perfettamente a suo agio, come se fosse sempre stato parte del gruppo.

Che invidia, avrebbe voluto avere lei la sua capacità di adattamento!

Strinse le gambe, costrette nelle pesanti e odiose calze bianche della divisa, e si chiese secondo quale logica un tipo del genere avrebbe dovuto accettare di uscire con il topo di biblioteca della scuola.

«Non posso, non posso... ti prego, Amy.» biascicò, paralizzata da quella paura tipica di chi è costretto a fare conversazione già sapendo che finirà male.

Ma l'altra non volle proprio saperne e ciò non stupì Marika: Amy faceva parte delle Princess, il club privato femminile più in e famoso della scuola, i cui membri amavano prendersi gioco di lei. Probabilmente erano state proprio loro a consigliare quella penitenza, per umiliare l'irritante quattrocchi con l'ingresso a Yale assicurato. A volte, ripensando alla sua situazione, si sentiva protagonista di uno di quei manga giapponesi che andavano di moda.

Alla fine, dopo un gran numero di lamentele soppresse da poche parole, la poverina fu spinta in direzione del gruppetto; Marika arrancò e sentì il cuore batterle ad una velocità preoccupante, ma i suoi piedi si erano a quel punto messi in moto ed avanzarono fin quando non fu praticamente accanto a Vincent.

Passò qualche secondo prima che il ragazzo si accorgesse della sua insignificante presenza e degnasse di uno sguardo quella popolana coi capelli troppo lunghi, gli occhiali rettangolari e una camicia a quadri che si abbinava malissimo alla giacca.

I suoi amici avevano già cominciato a bisbigliare tra di loro pregustandosi la scena, così come un po' tutti nel corridoio, ma Vincent le rivolse un sorriso.

Marika gli lesse la cattiveria negli occhi.

«Serve qualcosa?» le domandò, prendendo la parola.

«Sì.» e lei colse la palla al balzo: non voleva perdere tempo inutilmente, perciò avrebbe ignorato l'inferno di calore che sentiva sulle guance e sarebbe andata dritta al sodo «Ho perso una scommessa e hanno deciso che umiliarmi pubblicamente è una penitenza simpatica.»

«Ah! Questa è crudeltà pura! Chi potrebbe maltrattare una principessina come te?» Vincent appoggiò le spalle agli armadietti e mise una mano in tasca.

La risposta della ragazza fu tagliente, ma le sorse spontanea «Qualcuno con un pessimo senso dell'umorismo...»

Poteva immaginare senza fatica le Princess a ridere di lei, in mezzo alla folla che fluiva; quanto tempo avrebbe impiegato a spargersi la voce che la sfigata della scuola stava fronteggiando la nuova celebrità?

Uno dei ragazzi del gruppo di Vincent, per la precisione membro della squadra di basket e con due spalle degne della definizione di armadio, si fece avanti per provocare «Dai, Vince. Non vorrai perdere tempo con questa qui?»

Il bruno rise all'insinuazione ed annuì «Perché no? Voglio sapere qual è la penitenza di cui parlava.»

Marika si sentiva come una bestia da circo, di quelle chiuse in gabbia a farsi ammirare dai bambini. Magari qualcosa di brutto, che suscitava ilarità, come una scimmia. Aveva le mani fredde e sudate e l'adrenalina le attraversava il corpo allo stesso modo di una scarica elettrica; abbassò lo sguardo, arrossendo «Chiederti di uscire con me...»

La cosa più brutta furono senza dubbio le risate che sentì levarsi intorno a loro: era abituata ad essere presa in giro, ma stavolta stavano davvero esagerando. Sarebbe diventata lo zimbello del liceo e mira di chissà quanti scherzi!

Serrò gli occhi e i denti: non voleva più sentirli! Che andassero tutti al diavolo!

«Perché no?»

Le risate cessarono quasi subito; Marika pensò di aver sentito male.

Ma Vincent era lì, con uno sguardo finalmente più gentile e serio, a scrivere qualcosa su un angolo di foglio strappato da un quaderno, che le porse subito dopo: erano il suo nome e il numero di telefono.

«Sono anch'io di Phoenix, ma tutto quel tempo a Seattle mi ha fatto dimenticare parecchio di questa città. Mi farebbe comodo una guida turistica, specie se così carina.» spiegò, espansivo, stupendo praticamente tutti i presenti: che qualcosa in Marika lo avesse addolcito?

La ragazza si ritrovò ad annuire, un po' goffa ma leggermente rincuorata; fece come aveva fatto Vincent e scrisse numero e nome su un altro foglio di carta.

Egli lo fissò per un attimo, abbandonandosi poi a un sorriso caldo come il sole «Marika Starson. Mi piace.» a quel punto suonò la campanella, perciò la folla iniziò a disperdersi e chiacchierare più forte; Vincent scrollò le spalle e le fece l'occhiolino «Adesso devo andare, ho chimica e mi hanno detto che Bark è un animale coi ritardatari. Tieniti libera per domenica, okay?»

E lei, dimentica che la lezione di storia americana l'aspettava a porte aperte, rimase lì ad osservarlo confondersi nella mischia, annuendo come un'idiota.

In mano, teneva stretta la pagina di quaderno strappata.

Dietro di lei, alcune ragazze la osservavano con disappunto.

Fu così che Marika Starson conobbe Vincent Black.

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