18. Analyze G (2)

Arco II: rEvolution

Capitolo 18: Analyze G (2)

«Sembri incredibilmente irritato.» non gli serviva certo la sua laurea per accorgersene, Jonathan era come un libro aperto per chiunque. Abbastanza noioso in quel momento, per di più.

Giles portò la tazzina di cappuccino alle labbra, soffiando sullo strato di latte e cioccolato per raffreddarlo.

All'altro capo del tavolino di metallo, Jonathan continuava a girare e rigirare il cucchiaino nel sua caffè lungo da due minuti, producendo un rumore sgradevole. Il mozzicone di una sigaretta giaceva nel portacenere, ancora fumante.

«Ho litigato di nuovo con Vincent.» sbraitò il bruno, come se gli desse fastidio ormai anche solo pensare a suo fratello.

Giles non gliene faceva una colpa: avrebbe fatto lo stesso se Fanny fosse stata al posto del poco fortunato secondogenito dei Black.

Non ne era così sicuro.

«Devi ammettere le sue mancanze come fratello.» stava lasciando che la sua vena di psicologo prendesse il sopravvento? «E le tue.» forse no.

Jonathan non era uno stupido, i propri errori li aveva già capiti e accettati, ma rimaneva difficile ammetterli, specialmente davanti a Vincent, che le sue colpe le nascondeva bene. Quel dialogo in ospedale, la tregua momentanea e la sopportazione vicendevole sembravano un ricordo d'infanzia sfocato.

Jonathan aveva sempre avuto un rapporto abbastanza fuori dagli schemi con suo fratello, soprattutto a causa del lungo periodo di separazione forzata che avevano attraversato da bambini. Anche i fratelli Black rientravano nei soggetti da osservare di Giles.

Jonathan però era sempre stato leggermente più interessante di Vincent.

Vincent era una persona infinitamente complessa, ma peccava di prevedibilità, mentre Jonathan aveva la capacità di analizzare quasi tutto a mente fredda e con razionalità – pochi erano i casi in cui perdeva il controllo, come era accaduto durante la confessione del fratello. Tuttavia, i suoi ragionamenti riuscivano a distorcersi facilmente, dando luogo a una vera e propria ossessione nei confronti di Vincent.

Egli credeva che nessuno si fosse accorto di quella sua piccola psicosi, ma agli occhi attenti di Giles Morgan non sfuggiva niente.

A seguito di un lungo silenzio, che denotava quanto quelle parole lo avessero messo a disagio, Jonathan indicò delle cartelle che giacevano sul tavolo, chiuse ma con un singolo foglio che sporgeva dai bordi di quella più in alto «Oberato di lavoro come al solito, eh? Neanche la quarantena ti ferma.»

I lati della bocca dell'albino si distorsero in una smorfia disgustata; non si disturbò a mostrare il contenuto della cartella all'altro, ma vi indirizzò un'occhiata di sbieco mentre intrecciava le dita ossute «Perizie psichiatriche per stupratori, fatte da alcuni colleghi.»

«Sembri sul punto di vomitare...» fece Jonathan, sarcastico.

«Lo sono, infatti.» non voleva neanche vederli, quei resoconti a cui avrebbe dovuto dare la sua approvazione, così li ripose nella ventiquattrore che aveva abbandonato sulla sedia di lato «Tra tutti i criminali, gli stupratori sono quelli che odio di più. Posso sguazzare nell'insanità di un assassino, ma il puro istinto sessuale l'ho studiato anche troppo.»

Jonathan non sembrò comprendere pienamente cosa voleva dire, ma lui non si scomodò a chiarire. Sarebbe stato un discorso troppo lungo, che avrebbe ripercorso le tappe fondamentali della scienza psicologica, e a lui piaceva ascoltare, non parlare.

Inoltre sapeva che Jonathan non era realmente interessato: aveva qualcosa da dire, glielo leggeva negli occhi smeraldini.

«Vale anche per gli infetti?» fu la prevedibile domanda, con tanto di enfasi sull'ultima parola.

Il bruno aveva la stessa espressione di un adulto che ascolta i sogni di un bambino su mostri che uscivano dagli armadi.

Ma Giles lo sorprese ancora una volta, inforcando gli occhiali con aria professionale «No. Ho già avuto modo di incontrarne uno. È molto facile riconoscerli, in realtà. Hanno uno sguardo perso e confuso, come quello di un corpo vacante.»

«Oh, Giles, proprio tu...» esasperato, Jonathan si gettò indietro con le spalle, addosso al morbido cuscinetto blu della sedia, e gettò fuori un sospiro «Credevo fossi uno scienziato.»

«Io sono uno scienziato, Jonathan.» sorrise di rimando lui senza alcuna emozione, il suo volto era simile a una maschera bianca «Appunto per questo sono aperto ad innumerevoli possibilità, se mi vengono date le prove della loro potenziale esistenza.»

«Non puoi chiamare quelle cose prove!»

Cosa lo faceva reagire in maniera così categorica? Di certo non la razionalità. Giles stesso ragionava basandosi su principi logici, che non gli facevano escludere nulla finché non si sforava nell'assurdità. Jonathan non era di quell'avviso: aveva deciso già preventivamente di non dar credito alla faccenda del virus H.

«Come tu non puoi chiamare il tuo un giudizio assennato, Jonathan.» lo ribeccò lo psicologo, imperturbabile e fissandolo negli occhi «Il tuo disprezzo per tuo fratello e l'urgenza di difendere quella donna hanno avuto la meglio sulla tua capacità critica, renditene conto.»

«Io... ! Io non disprezzo Vincent! È solo che...» l'altro sembrò incapace di trovare le parole adatte, chinò lo sguardo di lato, un chiarissimo segno di rimorso.

Cominciava a rendersene conto.

Giles prese la tazzina e bevve un sorso di cappuccino, dandogli il tempo di riflettere, e quando la posò al suo posto con un tintinnio di ceramica, decretò «Sei deluso, è comprensibile.»

Sebbene ancora insicuro, l'altro annuì piano, una mano sulla tempia e il volto contrito tradivano la tempesta di emozioni che imperversava dentro di lui. Giles poteva leggere una sfumatura diversa di Jonathan in qualsiasi azione da lui compiuta: dal tamburellare delle dita sul tavolo, al lento arrovellarsi dell'indice alla radice dei capelli.

«Sì, sono deluso.» ripeté, borbottando più a se stesso che all'albino «... Da lui, ma anche da me stesso.»

Giles sorrise: era esattamente la conclusione a cui voleva arrivare.

«Ho una proposta da farti, Jonathan.» fece a quel punto, catalizzando l'attenzione del rampollo dei Black «Domani farò una richiesta di permesso di colloquio con Edward Kenneth, l'uomo che ha cercato di stuprare Fanny. Vuoi venire con me quando andrò a parlargli?»

Gli bastò osservare le pupille dell'altro dilatarsi per capire che sì, lo avrebbe accompagnato.

***

Nella penombra dello studio, chiuso da circa mezz'ora, Giles era rimasto solo.

Nana Ivanovna era andata a casa da dieci minuti, consapevole che quelle rare volte in cui il dottore si serrava nel suo studio potevano passare anche ore prima che ne riemergesse; probabilmente avrebbe anche saltato il pranzo. Inoltre doveva passare dal supermercato prima dell'ora di stacco pomeridiano, battendo sul tempo il giornaliero assalto ai negozi di alimentari.

Nella stanza, il condizionatore provvedeva a tenere la temperatura stabile e fresca, mentre il pulviscolo si muoveva armoniosamente nei fasci di luce che penetravano le persiane semichiuse.

"Allucinazioni, vita più breve... necessità di diffondere il virus..."

Aveva annotato tutto ciò che era rimasto impresso nella sua memoria, ma avrebbe voluto chiedere a Vincent di fargli rileggere i documenti. Il problema era non destare sospetti.

Se l'esistenza del virus H fosse stata resa nota, quante cose sarebbero cambiate al livello mondiale? Quali ripercussioni avrebbe avuto una notizia simile? Giles le immaginava anche troppo bene, appunto per questo, almeno per il momento, era necessaria la massima segretezza.

C'erano ancora alcune cose poco chiare, che Christina Smith non aveva specificato nel suo resoconto, punti oscuri che non gli erano chiari.

Tracciò linee veloci sul foglio che aveva davanti, scribacchiando Quarantine e accanto Gov. Il governo parava le spalle alla LIFE, e allora perché indire una quarantena? Erano o no nemici di Lacey Smith? Volevano mettere fine alla sperimentazione... o rinchiudere in una gabbia tutte le cavie?

Come avevano fatto a mantenere il segreto per più di cinquant'anni? In che modo avevano impedito che anche il più anonimo medico di provincia portasse alla luce una sensazionale scoperta fatta per caso? E chi per i più vari motivi aveva bisogno di essere continuamente monitorato, ad esempio i comatosi?

"Che diavoleria è questa? E sarebbe stato creato dall'uomo?" Giles si accigliò e posò la penna sul foglio mezzo bianco.

Non era un mistero che i governi di tutto il mondo, in particolare quello degli Stati Uniti, avessero dei segreti irrivelabili, allo stesso modo era storicamente provata la sperimentazione umana nazista per quanto riguardava la creazione sia di cure a malattie come l'epatite e la tisi, sia di nuove malattie.

Altra domanda: l'avanzare delle generazioni abbassava le probabilità di eredità del gene del Genitore? Se sì, era chiaro il motivo per cui Lacey avrebbe voluto rendere Jonathan Black un portatore sano. Vincent aveva rovinato il suo piano. E poi...

"Il sangue di un Genitore può creare un nuovo Genitore, huh?"

Quella era sicuramente stata la parte più interessante del discorso: se avessero iniettato il sangue di Lacey Smith, nel quale scorreva il virus allo stato più puro, avrebbero creato un altro Genitore.

Un Genitore dalle infinite potenzialità, capace magari anche di avere la meglio su Lacey Smith. Dopotutto, quando qualcosa si rompe, va sostituita con una nuova. Lo stesso valeva per le persone.

Egli avrebbe potuto a quel punto elevarsi sopra di loro, decidendo autonomamente se aiutarli e sottoporsi a sperimentazione umana oppure muovere le schiere degli infetti. Come un esercito. Che cosa sarebbe accaduto se vi fossero stati al contempo due Genitori diversi, pronti a trasmettere ordini diversi?

Le domande erano troppe, la sua curiosità però era infinitamente più vasta.

Prese la penna tra le mani e al centro del foglio tracciò con la sua grafia ordinata la parola Parent, rigirandosi poi lo strumento tra le dita.

Sul volto pallido si allargò un sorriso a mezza luna.

Un nuovo Genitore

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