16. The beast within (2)
Arco II: rEvolution
Capitolo 16: The beast within (2)
Trovare alleati.
Da quando aveva iniziato a usare quel lessico bellico? Per quanto tempo sarebbe riuscito a nascondere la sua presenza a Phoenix a Lacey Smith? Era tornato da soli due giorni e la Madre non lo aveva ancora cercato, probabilmente perché troppo presa dallo studiare un piano d'azione.
Vincent strinse i pugni sul cuscino che teneva in grembo da quando si era accomodato sul divano, gli occhi erano socchiusi, per fuggire la luce del tramonto che dai finestroni inondava la stanza di colori caldi e rassicuranti. Fuori, il cielo iniziava a tingersi di nero e le luci della città a brillare.
Aveva il capo abbandonato di lato, sui morbidi cuscini dello schienale, i capelli bruni, che alla luce del giorno morente si tingevano di riflessi rossicci, gli ricadevano sul viso, coprendogli completamente l'occhio destro.
Quella mattina, prima di uscire, suo padre gli aveva promesso che entro la fine dell'anno lo avrebbe convinto a tagliarseli, quei capelli così lunghi; l'espressione con cui lo aveva guardato era riuscita a strappare al pensieroso Vincent non solo un sorriso, ma persino una battuta «Omologato alla massa c'è già Jonathan.»
Jonathan, che al piano di sopra sbrigava qualche ultimo lavoro prima dell'arrivo degli ospiti, era rimasto sorpreso quando aveva saputo che tra di loro vi sarebbe stata Marika Starson. Non si aspettava evidentemente che lei e suo fratello avessero ripreso a vedersi.
Ma la presenza di Marika era necessaria, così si era ripetuto cento volte Vincent prima di convincersi a telefonarle.
Aveva contattato solo le persone di cui non avrebbe potuto fare a meno, di cui poteva fidarsi e che sapeva gli avrebbero dato una possibilità prima di etichettarlo come pazzo: Marika innanzitutto, poiché l'aiuto di un medico era fondamentale nella lotta a un virus, e perché le aveva promesso di rivelarle la verità e permetterle di aiutarlo; Giles per lo stesso motivo, ma anche perché la faccenda poteva essere collegata al tentato stupro di Fanny; Shaun e Alicia, i suoi clienti, che ne avevano tutto il diritto; infine Jonathan, che tra tutti era quello che doveva per primo conoscere la verità su ciò che suo fratello aveva vissuto in quei mesi.
Vincent sollevò le gambe ed appoggiò i talloni sul tavolino, chiudendo le palpebre, stanco ancor prima di cominciare.
"Ho fatto la scelta giusta, credo."
Se lo sarebbe ripetuto fino all'arrivo degli ospiti, per convincere se stesso di non aver sbagliato per l'ennesima volta tutto.
"Li proteggerò. Ma ho bisogno del loro sostegno per riuscirci."
***
L'appuntamento era fissato per le otto, ma ad arrivare per prima, con cinque minuti d'anticipo, fu Marika; raramente la ragazza era in ritardo, ancor più raramente dava buca. Quell'orario le era molto comodo tra l'altro, dato che i corsi terminavano alle sei ed aveva tutto il tempo di tornare in stanza e prepararsi in tranquillità.
Quando giunse davanti al grattacielo della Monroe, ella rimase qualche secondo in strada, il naso all'insù e lo sguardo pensoso: non credeva che Vincent le avrebbe davvero dato la possibilità di aiutarlo, di tirarlo fuori dall'abisso. Non aveva idea del perché dell'appuntamento, ma l'altro era stato molto chiaro: si trattava di una questione di estrema importanza e urgenza.
Utilizzò l'ascensore per salire al primo dei tre appartamenti di proprietà dei Black, e quando fu davanti alla porta di legno massiccio con sopra un'elegante insegna in ottone che recava il nome della famiglia, premette il pulsante bianco del campanello ed un trillare fastidioso proruppe dentro l'appartamento.
Pochi secondi dopo un leggero rumore di passi e il rumore della chiave girata nella serratura furono seguiti dallo spalancarsi della porta. Vincent era dall'altro lato ad accoglierla.
«Hey, ben arrivata.»
«Ciao!» sorrise Marika «Bentornato, Vince!»
Non si salutarono con baci sulle guance o effusioni simili, non era affatto da loro, anche il semplice sorridersi a vicenda era più che abbastanza.
«Grazie. Non che la situazione sia delle migliori qui, ma sempre meglio di Seattle.»
Colta dall'apprensione, la bruna incalzò «È andato tutto bene lì?»
«Sì. Stranamente sì.» lui le mise una mano sulla spalla con attenzione e la invitò a entrare «Hai avuto problemi per arrivare qui?»
«No, affatto. Si respira un po' di tensione per strada, ma per fortuna tutti mantengono la calma...»
Le luci della casa erano quasi tutte spente, ad eccezione dei faretti del salotto, che illuminavano la strada fino alla cucina; Marika si sfilò di dosso il borsone e il cappotto arancione e li affidò al ragazzo, che li appese all'appendiabiti bianco vicino all'ingresso.
Un brivido le attraversò la schiena: casa Black era sempre così fredda, in tutti i sensi, ma quella sera in modo particolare, come se qualcuno avesse lasciato i condizionatori accesi senza accorgersene.
In effetti anche Vincent era strano, notò la ragazza quando ebbe occasione di squadrarlo: stranamente pallido, con pesanti occhiaie di chi non dorme da giorni, i capelli erano un po' arruffati e, cosa usuale ma sempre un po' inquietante, era del tutto vestito di nero, neanche fosse a lutto.
«Va tutto bene?» chiese preoccupata, ricevendo in cambio uno sguardo penetrante.
Vincent avrebbe voluto rispondere che no, non andava affatto bene niente, ma nel buio della stanza si limitò a scuotere la testa «Ho solo mal di testa, non ti preoccupare.»
Una rassicurazione che servì a poco, era quasi palese sul volto di Marika la sincera premura, ma Vincent si sentiva già abbastanza in colpa sapendo in anticipo ciò che avrebbe dovuto rivelarle. Come l'avrebbe presa? Male, come l'avrebbero presa male anche tutti gli altri.
La ragazza non sembrò sollevata, ma finse una nonchalance che non aveva «Stiamo aspettando altre persone o siamo solo noi?»
«Aspettiamo altre tre persone. Quattro se contiamo Jonathan, che è sopra.»
Alzò gli occhi al soffitto, seguito dall'altra; dal piano superiore non proveniva alcun rumore. Tornò a fissare la ragazza, che ancora osservava in alto come in attesa di qualcosa, e si soffermò sulla scollatura della sua maglietta rosa, dalla quale si intravedeva la stoffa bianca dell'intimo.
Fu un gesto del tutto involontario, avrebbe detto se gli fosse stato chiesto, e si affrettò a distogliere lo sguardo prima che lei potesse accorgersene, ma si rimproverò aspramente. Forse era il caso di prendere un'altra delle pillole di Lacey. Marika era, tra tutte le donne, quella su cui non avrebbe mai voluto alzare le mani.
«Ho mal di testa.» ripeté per distrarsi.
«Um... ibrupofene?»
«Ibrupo-che?»
Il sorriso appena accennato di Marika gli fece capire che si trattava di qualche strana medicina della quale a breve avrebbe saputo tutto; senza smentirlo, la ragazza si dilungò in una spiegazione che dopo pochi minuti gli mandò in tilt il cervello, già messo a dura prova dalla situazione.
A metà discorso, quando l'unica cosa che gli fu chiara era che si trattava di un principio farmaceutico che faceva passare alcuni dolori, decise che per la propria salvezza psicologica doveva interromperla il prima possibile, ma mentre ragionava se fosse meglio farle notare che erano ancora all'ingresso o che il dolore stava aumentando con tutte quelle chiacchiere, il campanello alle loro spalle suonò in suo aiuto.
«Time out!» esclamò, ringraziando mentalmente chiunque fosse arrivato leggermente in anticipo all'appuntamento.
A rispondere al suo "chi è?" fu una voce maschile profonda che conosceva bene.
«Shaun Morris.»
Quella era al contempo una buona e una cattiva notizia; ma Vincent aprì prontamente la porta: tutto pur di frenare la parlantina di Marika Starson!
«Chi è Shaun Morris?» curiosa, Marika inclinò il busto e mise le mani dietro la schiena.
Era il momento buono per rompere il ghiaccio, e Vincent lo fece con una battuta «Una delle tante vittime del mio swag.»
La risata sottile e gentile della ragazza fu un piacevole sostituto del silenzio, che tornò a instaurarsi quando il tintinnio dell'ascensore annunciò l'arrivo del secondo ospite; Vincent aprì di nuovo la porta e fece cenno all'uomo, che stava per sbagliare appartamento e suonare ai vicini. L'errore causò un sogghigno divertito nel ragazzino.
«La tua memoria fa acqua, eh?» lo provocò mentre quello lo raggiungeva.
Shaun gli appoggiò un pugno sopra la testa «Non sono pratico dei piani alti di Phoenix. Comunque, bentornato. Com'era il tempo a Seattle?»
«Uno schifo.» il ragazzo abbozzò un sorriso, ricordando del messaggio che l'uomo gli aveva inviato durante la trasferta «Oggi siamo qui per affrontare il mio problema. Per lo champagne avremo tempo.»
Shaun annuì, senza perdere la sua nonchalance «Ottimo.»
Fece accomodare il cliente, che presentò a Marika con un veloce «Marika, Shaun Morris, una mia conoscenza. Shaun, Marika Starson, una mia conoscenza.»
Gli appellativi "conoscenza" non piacquero affatto ai due, che si scambiarono un sorriso educato e strinsero la mano. Li fece sedere in salotto, dove si scusò per le tende accuratamente chiuse.
«Ho preso quest'abitudine da quando hanno cominciato a tenermi d'occhio.» spiegò, come se fosse una cosa da niente «Ah, ufficialmente voi non siete mai stati qui. Non sapete nemmeno che sono tornato a Phoenix.»
Marika e Shaun erano in un certo senso abituati a vedere Vincent parlare di argomenti gravi buttandoli giù come cose da niente, ma quella situazione era nuova anche per loro.
La ragazza sollevò un sopracciglio, ma prima che potesse dir niente fu preceduta dall'uomo.
Questi era rimasto talmente sorpreso da bloccarsi mentre abbandonava cellulare e chiavi nella tasca del cappotto «Naturalmente. Se me lo chiederanno, oggi ho fatto una maratona di film horror.» fece, ironico «Spero tu abbia pensato anche ad eventuali microfoni e telecamere.»
Vincent annuì seriamente, contro ogni previsione «Sì, credo sia tutto pulito.»
Non era ciò che i due aspettavano di sentirsi dire, ovviamente. Si scambiarono un'occhiata confusa, cercando l'uno nell'altra risposte che nessuno a parte Vincent aveva, e il ragazzo, notandolo, aggiunse «Vi spiegherò tutto appena arriveranno gli altri.»
Marika annuì, sebbene le si leggesse in faccia che aveva qualcosa da dire, annuì e decise di fidarsi, covando però la speranza che fosse solo uno scherzo o l'ennesima esagerazione del suo ex.
Pochi minuti dopo l'orario dell'appuntamento suonò ancora una volta il campanello, stavolta a rispondere al meccanico «Chi è?» fu una voce femminile e bassa «Alicia Reed.»
Sì, aveva invitato anche lei. Sentiva di avere uno strano legame con quella donna così simile a lui, così i sensi di colpa avevano avuto la meglio.
Vincent le spiegò come raggiungere l'appartamento, ma ella sembrò perdersi comunque; passarono altri cinque minuti e di Alicia Reed ancora niente, tanto che, smesso di tamburellare nervosamente le dita sulle braccia conserte, il bruno si rivolse agli altri due.
«Probabilmente non ha trovato la strada, vado a recuperarla io.»
Era davvero così difficile destreggiarsi all'interno del grattacielo? D'accordo, era leggermente più grande di un normale condominio, ma le sue indicazioni erano state abbastanza chiare.
Infilò il cappotto e uscì di casa, quando raggiunse l'ascensore lo trovò già occupato.
Sbuffò ed attese, le mani in tasca e lo sguardo che evadeva sul lunghissimo corridoio elegante e pulito, che odorava di detersivo al limone.
Un segnale acustico attirò la sua attenzione e le porte dell'ascensore gli si aprirono davanti, rivelando all'interno Alicia, Giles e...
«Fanny?!» la prima reazione di Vincent fu quasi di panico nel riconoscere il viso pallido e dolce dell'amica, coperto dal cappuccio della felpa che diventava quasi parte della sua pelle quando usciva di casa «Perché hai portato Fanny?!»
L'albina si nascose istintivamente dietro il fratello e Vincent capì di aver esagerato. Si morse le labbra, mentre gli altri tre gli si accostavano, Alicia con un'espressione confusa.
«Ha sentito la nostra discussione al telefono e non ne ha voluto sapere di restare a casa.» sospirò il fratello maggiore, una mano nella tasca del lungo cappotto nero e l'altra appoggiata bonariamente sulla testa di Fanny.
Che pessimo momento per scegliere di mettere fine alla sua reclusione autoimposta!
Fanny era così magra e scavata da sembrare malata, Vincent le si rivolse preoccupato «Hey... non ti preoccupare, okay? Non sono arrabbiato, solo non volevo che sentissi questa discussione. Comunque... sono davvero felice di vederti...»
Dal suo nascondiglio di stoffa, Fanny sorrise flebilmente e sussurrò «Non voglio essere esclusa... e volevo rivedere te e Marika... comunque bentornato.»
Vederla ridotta in quello stato nonostante fosse passato del tempo dal suo tentato stupro, scatenava in Vincent una forte pietà.
Giles gli aveva spiegato che l'aveva presentata ad un collega psicanalista e che aveva cominciato la terapia, i disturbi post-traumaci erano ancora ben visibili, ma si diceva piuttosto ottimista. Fanny era più forte di quel che sembrava, ma lei stessa era la prima a doversene rendere conto.
«Abbiamo trovato la signorina Reed all'ingresso, sembrava un pesce fuor'acqua.»
Alicia si concesse un sospiro che si trasformò in risata «Questo posto è davvero grande!» si giustificò.
Aveva di nuovo legato i capelli in una treccia, stavolta tenuta stretta da un elastico bianco con una chiave di violino argentea. Al collo aveva un foulard azzurro semplice ma elegante.
L'espressione di Vincent sembrò rilassarsi, almeno finché non ricordò per quale motivo aveva riunito lì quelle persone: quello era il punto di non ritorno, la prova del fuoco, alla fine della quale avrebbe potuto ritrovarsi abbandonato e solo. L'angoscia tornò a premergli il petto e lo stomaco, ma forzò un sorriso per ringraziare tutti e tre di averlo raggiunto e invitarli ad entrare.
All'interno di casa Black si creò una strana atmosfera, ancor più bizzarra quando Jonathan, chiamato dal fratello, scese velocemente le scale.
Fu compito di Vincent fare le presentazioni, tra strette di mano molto convenzionali e sguardi diffidenti, quindi li fece accomodare secondo una precisa strategia su divani e poltrone: Fanny e Marika in mezzo, Giles e Jonathan a destra e Alicia e Shaun a sinistra, in questo modo avrebbe avuto il tempo di fermare suo fratello nel caso avesse cercato di assaltare i clienti.
Volle prendersi qualche minuto di pausa, chiedendo chi aveva voglia di un caffè ed invitandoli a rompere il ghiaccio.
Marika e Fanny sembravano le uniche a proprio agio, probabilmente perché tra loro già abbastanza legate; la brunetta tentò di convincere la più giovane a togliersi il giubbotto, ma questa chiese con vergogna di non essere toccata e si chiuse subito in un silenzio tenace. Giles e Jonathan, come due cani da guardia, tenevano costantemente d'occhio i rispettivi sorella e fratello senza però darlo a notare, chiacchierando delle proprie famiglie e della quarantena; paradossalmente, Shaun e Alicia, due persone del tutto diverse tra loro, erano quelli che più interagivano – o meglio, l'uomo teneva le redini del discorso e la donna lo assecondava con un certo interesse. Era proprio vero che il signor Morris sapeva essere perfetto in ogni situazione, fin troppo perfetto!
Dalla cucina, dove perse qualche minuto a preparare le bevande per tutti, Vincent poteva sentire qualche parola sussurrata con poca convinzione all'interno del gruppo; un nodo gli bloccò la gola quando sentì Jonathan chiedere a Shaun e Alicia come avevano conosciuto suo fratello. I due riuscirono a destreggiarsi bene.
«In un locale, un'amica in comune ci ha presentati.» si giustificò l'uomo, senza sapere che l'amica in comune era l'ex di Jonathan.
Alicia fu invece più vaga «Anch'io l'ho conosciuto in un locale. Abbiamo semplicemente iniziato a parlare e... una cosa tira l'altra.»
Vincent immaginò i due scambiarsi a quel punto un'occhiata sorpresa nel realizzare di essere entrambi suoi clienti.
Jonathan sembrò accontentarsi di quella spiegazione sommaria, dopotutto era consapevole che suo fratello conosceva metà Phoenix. Giles invece trovò opportuno specificare che lui e Fanny erano amici d'infanzia dei Black. Marika concluse ammettendo di essere sua la ex fidanzata.
Si misero a scherzare sul perché Vincent li avesse riuniti: un torneo di scacchi? L'annuncio della sua laurea?
Maliziosamente, Alicia scoccò un'occhiata di striscio a Shaun «Che voglia fare coming out?»
Un sorriso tirato fu la risposta, che divenne ancor più forzato quando Jonathan negò a priori la possibilità, facendo leva sulla storia con Marika «Ne dubito. Mio fratello ha alle spalle una carriera da don Giovanni abbastanza imbarazzante. O invidiabile, se vogliamo pensarla così. Marika può confermare.»
«Non so se negli ultimi anni le sue preferenze siano cambiate!» l'universitaria alzò le mani davanti al volto, come per togliersi di dosso ogni responsabilità.
«Volete finirla di parlare di con chi vado a letto?» Vincent apparve sulla porta con in mano un vassoio grigio, accigliato e irritato dalla curiosità del gruppo.
Beh, non che a breve non avrebbe dovuto rivelare che effettivamente andava a letto anche con gli uomini. Non sarebbe stato un buon quarto d'ora, affatto. Distribuì del caffè a tutti tranne a Marika e Fanny, per le quali aveva portato della cioccolata calda.
«Cioccolato!» Fanny ne fu entusiasta, almeno finché non si scottò toccando la tazza di porcellana bianca «Ah, brucia!»
«Soffia!» all'unisono Marika e Giles le vennero in soccorso, facendo sentire la ragazza la bambina della situazione.
Vincent, che non aveva preparato niente per sé, trascinò l'ultima poltrona libera al centro della stanza, davanti alle due ragazze, mentre ai lati aveva le rimanenti due coppie. L'attenzione fu finalmente focalizzata sull'elemento portante del gruppo, l'attesa si poteva leggere sul volto di tutti allo stesso in modo in cui il nervosismo era visibile sul suo.
Era difficile, difficilissimo. Per quasi un anno aveva fatto l'impossibile per nascondere la sua doppia vita, e adesso, paradossalmente, la verità era divenuta un fattore necessario, che lui stesso aveva deciso di mettere allo scoperto.
Ci aveva pensato a lungo, cercando ogni possibile scappatoia che gli permettesse di rivelare tutto senza mettere in mezzo la sua condotta riprovevole, ma era giunto alla conclusione che no, non era possibile. Neville aveva ragione: viveva sulla lama del rasoio, con il pericolo di perdere quelle persone da un momento all'altro.
«Allora? Riguarda la quarantena?»
A parlare era stato Jonathan, ma Vincent non sollevò lo sguardo. Non avrebbe avuto il coraggio di guardarlo in faccia proprio ora, quando suo fratello sembrava propenso a fidarsi di nuovo di lui nonostante sapesse della bugia sul motivo per cui l'FBI lo avesse cercato. Avrebbe distrutto il loro rapporto un'altra volta, sarebbe rimasto ancora da solo e...
"Non ci pensare!" si impose, mordendosi il labbro: che il dolore che gli contorceva lo stomaco morisse! Che il freddo che gli paralizzava le ossa svanisse!
Il ragazzo prese un respiro profondo e finalmente li fronteggiò tutti coi suoi occhi gialli. Marika e Shaun erano naturalmente i più attenti e trepidanti.
«Sì, riguarda anche la quarantena. Vorrei che nessuno abbandonasse questa stanza finché non avrò finito il discorso.» iniziò, con una serietà in volto che poche volte aveva mostrato al mondo e le mani intrecciate tra loro, i gomiti appoggiati sulle gambe e la schiena curva.
Ricevette in risposta sguardi insistenti e leggeri cenni d'assenso, che però non lo rincuorarono.
«Seriamente.» ripeté «Non sto scherzando. Quel che vi dirò vi sembrerà la più grande puttanata della vostra vita, ma vi darò prove, poi starà a voi decidere se credermi o no.»
«Va' avanti.» lo spronò Giles, che sembrava già essersi calato nelle sue vesti di psicologo, seduto compostamente sulla poltrona.
Vincent si voltò in direzione di Alicia e Shaun «Voi due sapete già metà storia.»
Batté le palpebre più volte, Alicia, mentre l'uomo improvvisava un sorriso tirato, di chi prova a stare al gioco: il ragazzo aveva deciso di rivelare del suo lavoro notturno? Per quale motivo?
«Che storia?»
Fanny cercò contatto visivo con Vincent, inclinando il capo verso destra.
«La storia che va avanti dalla notte in cui Lacey Smith mi accusò di tentato stupro.»
Vincent cercò poi gli occhi di Marika, l'unica a non sapere niente di niente, e la trovò sconvolta e quasi spaventata. Cercò quasi di chiederle scusa con lo sguardo. Infine spostò la sua attenzione verso Jonathan, oscuratosi a causa della ripresa dello scabroso episodio.
«Per chi non lo sapesse... Lacey Smith, la proprietaria del Naughty Sunday, era la fidanzata di Jonathan all'epoca. Non è un segreto che non mi sia mai piaciuta. Si parlava di giri di prostituzione riguardo al suo locale e la cosa non mi piaceva, così la seguii una notte per controllare di persona.» e sospirò, buttandosi all'indietro con la schiena «Qualcuno pensò bene di mettermi una bella dose di rohypnol, la droga dello stupro, nel cocktail. Il giorno dopo mi ritrovai a casa senza sapere come c'ero arrivato, con la nomina di stupratore, nemmeno un ricordo della notte precedente e il rapporto con mio fratello distrutto per sempre.»
Il silenzio fu pesante, molto più di qualsiasi parola. Gli unici a non sapere quella verità erano Marika, Shaun e Alicia, ai quali lanciò un'occhiata lunga e penetrante, come se avesse voluto buttare giù ogni barriera e leggere le loro menti. Ma i due clienti erano imperscrutabili, abili nell'essere imperscrutabili, mentre Marika... lei sembrava quasi compassionevole. Per una volta non se ne sentì infastidito, anzi diminuì la solitudine che gli gravava sulle spalle.
Fu la ragazza stessa a domandargli «Ma... com'è possibile? Il rohypnol è un farmaco ipnoinducente.» e quando Fanny la guardò come se avesse parlato un'altra lingua, aggiunse «È un sonnifero. Dovrebbe solo farti dormire, non scatenare gli ormoni.»
Vincent scrollò le spalle «Non ne ho idea, Marika. All'epoca lasciammo la questione in sospeso: Lacey promise di non denunciarmi, ma Jonathan la lasciò. Giles ha provato a lungo ad aiutarmi, ma non siamo mai riusciti a recuperare i miei ricordi di quella notte. Sappiamo solo ciò che Lacey ha detto.»
Fanny era sgomenta. Fissava suo fratello con rancore ed incredulità, rimproverandogli silenziosamente di averle tenuto segreto tutto quello. Giles però guardava Vincent, e Vincent guardava Jonathan.
A quel punto cominciavano i problemi.
«Quel che non sapete è che...» disse, la voce gli tremava un po' «Lacey è veramente il gestore di un giro di prostituzione.»
«Vincent-...» quello che uscì dalla bocca di Jonathan era un ringhio basso e innervosito, che fu bloccato dalla mano pallida e ferma di Giles.
«Abbiamo deciso di lasciarlo finire.» lo ammonì l'albino.
L'altro brontolò qualcosa, ma infine si arrese.
E fu il momento in cui Vincent sganciò la bomba.
«E mi ha offerto di lavorare per lei come gigolò.»
«Cosa?!»
All'unisono, addirittura Marika, Fanny e Jonathan scattarono dalle sedie; sarebbe stata una scena quasi comica se nel loro tono di voce non vi fosse stato un che di sconcertato, l'unico che sembrava non esserne stupito era Giles, che forse gli aveva rubato quella verità già durante la visita allo studio.
Il bruno avrebbe voluto alzarsi e scappare via, ma i suoi piedi erano immobilizzati, piantati sul tappeto, mentre il cuore galoppava. Abbassò gli occhi, pieno di vergogna «... E io ho accettato.»
Come temette, un opprimente silenzio si instaurò nella stanza e gravò sulla presenza di ciascuno; Vincent non volle osservare le loro reazioni, poteva solo immaginare il disgusto e la delusione che tutti, esclusi Shaun e Alicia, stavano sicuramente manifestando.
«Tu... cosa?» lo sgomento di Jonathan fu chiaro già solo attraverso la voce. Quella domanda sembrava più una supplica.
«Mi dispiace...» sussurrò Vincent, la testa ancora bassa. Si sentiva così ripugnante che avrebbe voluto strapparsi di dosso quella pelle violata da sconosciuti senza volto.
Ma non era abbastanza, non sarebbe mai stato abbastanza il semplice chiedere scusa, lo sapeva benissimo. Sentì suo fratello avvicinarsi e seppe che stava per essere colpito, ma a sorpresa un'ombra nera gli si parò davanti e lo schermò.
Il ragazzo sbatté le palpebre, senza parole: era Shaun, frappostosi tra i due fratelli giusto in tempo per evitare che il maggiore mettesse le mani addosso al minore.
«Togliti di mezzo.» lo minacciò Jonathan «Chiunque tu sia, questa è una faccenda che non ti riguarda.»
«Oh, mi riguarda eccome.» sospirò l'altro, con un modo di fare quasi affranto «Perché, vedi, io sono un suo cliente.»
Stavolta non ci fu nessuno a mettersi in mezzo, e appena avuto il tempo di completare la frase Shaun fu raggiunto da un pugno in faccia che lo fece barcollare.
Vincent scattò in piedi ed affiancò il cliente «Jonathan! Che cazzo stai facendo?!»
«Cosa sto facendo, secondo te!?» Jonathan non ricordava di essere mai stato talmente tanto furioso in vita sua, né di aver mai picchiato qualcuno o alzato la voce a quei livelli; i suoi abituali modi cortesi e gentili erano stati calpestati e sepolti dall'irritazione e dallo sdegno. Fulminò con lo sguardo il fratello, il quale fece un passo indietro, e di nuovo si scagliò contro l'uomo, che nel frattempo si massaggiava la guancia colpita «Ammazzo questo porco che ti ha messo le mani addosso!»
Giles scattò a sua volta in piedi per bloccare da dietro Jonathan, fermandogli le mani in alto «Jonathan, calmati!» gli ordinò, ma la sua forza fisica era nettamente inferiore a quella dell'altro.
Dietro di loro, Fanny era sull'orlo delle lacrime e nascosta tra le braccia di Marika; quest'ultima ancora non si era ripresa dallo shock.
«Mi calmerò solo quando avrò massacrato sia lui che quel bastardo!» fuori di sé, Jonathan cercò di divincolarsi, ma la stretta di Giles era disperata «E tu lasciami!»
La situazione stava degenerando e poteva solo peggiorare a quel punto, una goccia di sudore attraversò la tempia di Vincent, adesso a braccia spiegate davanti al suo cliente, che dopo aver sospirato si chinò su di lui per ironizzare «Non mi avrai invitato per farmi uccidere dai tuoi amici, vero?»
«No! Non te lo permetto!» il ragazzo non sapeva più che fare, che cosa dire o come comportarsi.
L'istinto gli diceva di proteggere Shaun e far ragionare Jonathan, ma anche di far capire come si era sentito: voleva farla pagare a suo fratello e quello era il momento migliore. Al diavolo la tregua che avevano stipulato e i buoni discorsi dell'ospedale!
Alzò anche lui la voce, rotta dall'emozione «Non ne hai il diritto! Hai la minima idea di come mi sono sentito quando mi hai voltato le spalle? Non mi hai parlato per un anno, ho fatto di tutto per farti capire che stavo male e non te n'è mai importato niente! Hai ripreso a calcolarmi solo quando sono crollato! Tu non ci sei mai stato per me nell'anno peggiore della mia vita! Non pretendere di tornare di punto in bianco a fare il fratello maggiore!»
«Tu per poco violenti la mia ragazza e io devo far finta di nulla?» le urla di Jonathan riuscirono a coprire quelle dell'altro «Ti rendi conto delle stronzate che stai dicendo?! Questo maniaco ti ha messo le mani addosso e tu lo proteggi? Pretendi che io ti creda? Ma ti ascolti o ti si è completamente rivoltato il cervello!? Non solo hai mandato a puttane quel poco di dignità che avevi, ma la cosa più grave è che ti sei messo in pericolo da solo! È per questo che rincasi all'alba? È per questo che torni a casa ferito?!»
Vincent avvertì come un colpo al cuore «Quindi lo vedevi...» mormorò incredulo «Lo vedevi! Mi hai davvero ignorato volutamente!»
«Certo che lo vedevo!» Jonathan riuscì a liberarsi e lo afferrò con forza per un braccio, ma Giles lo tirò via di nuovo, mentre Shaun allontanava Vincent «E quella volta, poche notti prima che cadessi dalle scale?»
Il caso Crane. L'uomo che lo aveva quasi massacrato. Ma come faceva Jonathan a sapere...?
«Il check-up, idiota. I lividi non erano ancora guariti, ma papà aveva paura di farti crollare di nuovo, così mi ha detto di star zitto. Di quante stronzate ci hai riempito, Vincent?»
Aveva ragione, nessuno gli avrebbe dato torto, e Giles cominciava ad accusare stanchezza. Ma Vincent, sebbene si sentisse il più infimo dei vermi, non aveva ancora finito di parlare; aveva ancora qualcosa da dire, anche a costo di farsi odiare da suo fratello.
«Queste persone...» indicò Shaun e Alicia, lasciando intendere che anche ella era una sua cliente «Sono state presenti per me quando tu mi hai dato del bugiardo. Mentre tu non mi hai dato neanche una possibilità, loro mi hanno ascoltato e capito, in soli sei mesi quest'uomo ha imparato più cose di me di quante ne hai imparate tu in vent'anni. E non solo loro: Marika, Fanny e persino Giles si sono fatti avanti. Tra tutti i presenti, sei l'unico che ho coinvolto per puro dovere morale, non per altro.»
Jonathan aveva il respiro affannato, gli occhi rossi e un'espressione che Vincent non gli aveva mai visto, che non credeva potesse esistere sul suo volto sempre così serio o rilassato. Le ultime parole lo ferirono nel profondo, ma Vincent non si sentì in colpa come avrebbe dovuto.
«Capisco che sei deluso e arrabbiato. Lo siete tutti e avete ragione.» continuò il giovane, con un tono di voce più calmo e contenuto «Ma non ho accettato di vendermi di mia volontà. C'è qualcosa sotto, la diretta causa di questa quarantena. Lasciatemi finire il discorso.»
In qualche modo sembrava essere riuscito a sedare, almeno per il momento, suo fratello; Giles lo lasciò e sospirò di sollievo, stendendo le braccia per rilassare i muscoli indolenziti, quindi indirizzò a Vincent un'occhiata severa che pretendeva spiegazioni immediate e tornò a sedersi.
«Vuoi dire la malattia...?» un sibilo da parte di Marika attirò su di lei l'attenzione; la ragazza teneva ancora stretta Fanny, ma era sbiancata e sembrava addirittura spaventata «Sei infetto?»
Silenzio.
Vincent scostò lo sguardo, evasivo «Ci arriveremo.»
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