15. The Quarantine (2)

Arco II: rEvolution

Capitolo 15: The Quarantine (2)

Quando i sensi, ancora intorpiditi, iniziarono a ritrasmettergli informazioni sul mondo attorno a lui, Vincent si rese lentamente conto di essere seduto su qualcosa di morbido; provò a muovere le dita, notando con sollievo di avere ancora braccia e gambe, anche se non sapeva ricollegare tale sollievo a nessuna spiegazione logica: non si trovava dentro il suo letto, a casa? No, perché se così fosse stato non sarebbe stato seduto, ma sdraiato. E lui era sicuro di essere seduto.

Qualcosa gli sfuggiva. Esternò l'irritazione con una smorfia della bocca e aggrottando la fronte.

«Hm, Cappuccetto rosso si sta svegliando?» una voce femminile gli giunse alle orecchie, indistinta ma non nuova: conosceva quella persona, ma la sua mente annebbiata non riusciva a darle un nome o un volto «Se ti aspetti che ti svegli con un bacio hai sbagliato favola, honey

Avrebbe voluto fulminarla: chi accidenti si permetteva di parlargli in quel modo? Si sentiva davvero male, più cercava di aprire gli occhi, più si rendeva conto di quanto fossero tassativamente serrati, più dava aria alla bocca e meno voce usciva: era, lo riconobbe finalmente, quel famoso stato di paralisi nel sonno, reso in questo caso particolarmente potente dai sedativi che gli erano stati iniettati.

Già, i sedativi, adesso ricordava: non era affatto in casa Black, era dove l'FBI lo aveva voluto. Lo avevano preso con quell'efficienza che veniva sempre messa in bella mostra nei film. Quanto ci avevano impiegato, mezz'ora?

Adesso non era affatto sicuro di volersi svegliare, soprattutto dal momento che non era solo. Magari poteva far finta di star ancora dorme-...

Un pizzicotto malefico sulla guancia!

«Ahia!» Vincent odiava i pizzicotti, quello appena ricevuto poi aveva fatto particolarmente male a causa di unghie lunghe come artigli; servì però a svegliarlo finalmente del tutto.

Aprì gli occhi, la troppa luce lo infastidì al punto di dargli un leggero senso di nausea, sentì la voce di poco prima ridacchiare, seguita dal suono di passi che si allontanavano.

Il ragazzo dovette combattere qualche altro secondo con il generale intontimento del corpo, ma quando infine si sentì quasi del tutto sveglio, inspirò profondamente l'aria stantia e sollevò il capo, in viso aveva un'espressione disgustata. Si trasformò in un attimo in una di meraviglia e rimase a corto di parole quando incontrò il famelico sguardo di chi gli stava tenendo compagnia.

Violet Alraven ne sembrò a dir poco deliziata «L'espressione sul tuo volto è davvero senza prezzo, mio esimio collega.»

Vincent non voleva sapere quale espressione avesse, di sicuro non ne sarebbe stato fiero. Ma come dargli torto? Aveva lasciato Violet Alraven a Phoenix, preda della sua crisi d'identità che di giorno la rendeva una noiosa e banale impiegata e di notte una predatrice dalle minigonne ascellari... e adesso scopriva anche la terza identità, agente dell'FBI? O forse quella non era affatto una sede dell'FBI?

Si guardò intorno, spaesato, scoprendosi in un ufficio dall'aria professionale ed altolocata, in cui i colori predominanti erano – che novità – il bianco delle pareti e il nero delle suppellettili; nessuna decorazione, nemmeno un misero attestato o una meschina fotografia sulla scrivania presso cui sedeva la bionda, il massimo del colore era dato da un cappotto rosso appeso all'appendiabiti accanto all'alta porta, al di là della quale sentiva il suono di un telefono che squillava. Lui era stato adagiato in un angolo del sofà di pelle, perpendicolare alla postazione della donna.

Di certo quella non era una delle stanze della redazione.

«Oh sì, quello è tuo.» Violet alzò con un movimento ipnotico la penna che stringeva nella mano destra, indicando la macchia rossa «Ci siamo presi la libertà di metterti a tuo agio.»

Vincent emise un tch sprezzante, senza però avere il coraggio di mostrare il suo solito atteggiamento da padrone della situazione; no, sarebbe stato da stupidi ostentare una sicurezza che non aveva. Invece si mise in piedi, barcollando inizialmente per la rigidità dei muscoli e la nausea generale, e si accomodò sulla sedia dall'altro lato della scrivania.

Adesso tra lui e Violet c'era solo un computer portatile, che venne prontamente spostato di lato da lei. Faccia a faccia, come leoni affrontati sul frontespizio di qualche antico monumento greco.

Le donne, nella sua vita, erano l'incarnazione del male.

Il bruno socchiuse le labbra con l'intenzione di dire qualcosa, ma le parole tardarono abbastanza da tradire l'ansia che gli opprimeva il petto «... Spero che non sia un'abitudine per voi drogare e rapire i cittadini che dovreste proteggere.»

Violet era una di loro, non c'era alcun dubbio, né lei cercò di negarlo attraverso il sorriso velenoso e sgradevole che le si formò sul viso «Rientra nei nostri metodi alternativi, quando il cittadino in questione scappa con la coda tra le gambe.»

Lo aveva fregato, un punto per lei.

"Razza di stronza! Mi ha sempre dato una brutta sensazione!" Vincent la fissò con rabbia e rancore, quasi volesse ringhiarle addosso.

«Che cosa volete? Non ho nulla di cui discutere con voi.» non c'era spazio per la sua abituale ironia o cattiveria, voleva andare dritto al sodo e lasciare quel luogo il prima possibile «Dove ci troviamo?»

Era uno scontro aperto però per Violet, che con la stessa espressione di cacciatrice che aveva al Naughty Sunday distese sotto il tavolo le gambe e appoggiò le spalle allo schienale della poltrona, con l'aria della padrona di casa.

«Che tu ne sia felice o no, ci troviamo nella città degli stupri, dove tutto è cominciato.» saperlo era già una buona notizia: era riuscito a entrare a Phoenix, anche se non nel modo in cui voleva «Rispondere alla tua prima domanda, che ho lasciato per ultima, sarà molto più lungo e complesso, ed io non ho intenzione di ripetermi. Perciò faresti meglio ad aprire bene le orecchie, honey, capisci? La tua situazione non è delle migliori, ma la sorte ha voluto che fossi io, la tua adorata Violet, all'altro capo della scrivania, e non uno dei miei nerboruti colleghi dalla pazienza ben più scarsa della mia.»

«Sono la persona più fortunata del pianeta, oh nobile Violet. Capisco.» quasi ci sputò su quelle parole, tanto si sentiva preso in giro e in balìa di quella donna che non sopportava; forse avrebbe preferito uno dei colleghi nerboruti «Ma le sarei grato se mi illuminasse sulla mia attuale posizione senza ulteriori giri di parole.»

Il condizionatore d'aria, impostato su 20°C, pompava aria tiepida alle spalle dell'agente in bianco e nero, soffiando anche su Vincent, che di tanto in tanto era scosso da brividi di freddo; si sentiva provato e scosso, inoltre il non sapere se gli avevano fatto qualcosa mentre era privo di sensi lo angosciava.

Intercorse una manciata di secondi di silenzio profondo, i due continuavano a fissarsi come tigri prima di una colluttazione, sebbene dall'espressione di Violet non trasparisse alcun sentimento particolare; era così illeggibile, così imperturbabile... sembrava quasi prenderlo in giro. E probabilmente così era.

Infine si allungò, tornando coi gomiti sul legno, senza interrompere il contatto visivo; per il principio di azione e reazione che li legava, Vincent inarcò la schiena e si fece indietro.

«Siamo convinti che tu abbia qualcosa da dirci, eccome. Potresti ad esempio cominciare col rivelarmi tutto quello che sai sul virus H e il progetto Evolution di Lacey Smith.»

Vincent gelò sul posto.

Immaginava che l'FBI fosse a conoscenza del virus, ma addirittura del progetto E, di Lacey, poi? In pratica ne sapevano quanto lui, se non addirittura di più! La sua prima reazione, che già lo tradì, fu incurvare le spalle ed assumere un atteggiamento difensivo.

Abbozzò il miglior sorriso divertito che poteva, risultando anche abbastanza convincente «Dunque... l'Evolution è un drink che servivano fino all'anno scorso al Sunshine; il virus H... sta per HIV? Le mie conoscenze sull'AIDS sono abbastanza elementari, mi spiace. Quanto a Lacey Smith, è la padrona del Naughty Sunday e ha una bella voce. Serve altro o posso andare?»

«Un pessimo tentativo, Black.» sogghignò l'altra, prima di assumere un'aria decisamente più minacciosa – i suoi occhi erano sempre stati così sottili e crudeli? «Avanti, non costringermi a ricattarti.»

«Ricattarmi?» Vincent rise, ma sentì una scarica d'adrenalina irrigidirlo «Avete preso in ostaggio la mia fidanzata?»

«Quale fidanzata, Black? Oh... forse hai dimenticato la parola ex, ti riferivi per caso a Marika Starson?»

Una frase che venne pronunciata così velocemente che il ragazzo temette di averne perso un pezzo, o forse non era stato in grado di assimilarla del tutto, congelato dall'accenno a Marika; il suo sconcerto fu dolce quanto il miele per Violet, che aveva fermamente sotto controllo ogni sua mossa, ogni sua emozione, al punto che lo stava trovando quasi banale «Potremmo farlo, in effetti. Così come con Fanny Morgan o quel tuo, um, amico, Shaun Morris. Ma sarebbe così prevedibile, nonché un tale spreco di energie! E, ammettiamolo, una persona egoista come te si preoccuperebbe molto più per se stessa che per gli altri; cosa credi che penserebbe tuo padre di te se sapesse che vendi il tuo corpo? Dovremmo accennargli anche a come stai aiutando qualcuno accusato di crimini contro l'umanità? Immagina la formula d'accusa, se tutto venisse a galla: l'umanità contro Stephan Vincent Black! Sembra il titolo di un bestseller, non trovi?»

Nel parlare, quasi come una deviata, si era accompagnata con un fitto gesticolare che spaventava sempre più il ragazzo; Vincent si sentiva così terribilmente indifeso in quel momento, schiacciato dalle sue terribili colpe e messo con le spalle al muro e lo sguardo bloccato, impossibile da distogliere.

Avrebbe dovuto chiamare un avvocato, ma questo significava mettere tutto quello che aveva provato a nascondere fino a quel giorno alla luce del sole.

Le mani gli stremavano, non capiva se per la vergogna che lo stava fagocitando in un solo, lento boccone, o se per la rabbia trattenuta; fu però difficilissimo combattere contro il dolore che gli rendeva la gola arida.

«Lo so, Hound...» infierì ancora la donna, avendolo ormai in pugno, e intrecciò le mani sotto il mento «Lacey Smith ti ha minacciato e costretto a lavorare per lei. Chi di dovere terrà conto di questo e non permetterà che nessuno torca più un capello né a te né ai tuoi cari amici, noi siamo dalla tua parte. Fidati di noi.»

Di certo i suoi metodi di persuasione non erano da buttare. Egli deglutì, era sicuro ora: quanto sapevano? E se sapevano così tanto, perché lo avevano portato lì? Se avessero voluto fare ricerche sulla sua condizione di portatore sano non avrebbe avuto senso spingersi così in là, uscire allo scoperto. E se davvero lui fosse stato in possesso di un'informazione che a loro mancava?

Aveva paura, così tanta paura.

Ma Violet gli stava implicitamente fornendo una copertura, sostenendo che era stata Lacey a spingerlo a fare tutto ciò che aveva fatto – cosa non del tutto vera -, a patto, però, che lui vuotasse il sacco. Non c'era solo lui in gioco inoltre, ma anche Marika, Fanny, Shaun e chissà quanti altri.

Ed era stato lui a metterli in quella posizione. Che cosa aveva fatto!? E ora che cosa doveva fare!?

Abbassò la testa, dichiarandosi così sconfitto e pronto a collaborare: se si fosse trattato solo di lui avrebbe forse corso il rischio, ma non poteva mettere ulteriormente in pericolo gli altri, non ne aveva il diritto.

«D'accordo. Vi dirò tutto. Ma prima...» alzò il volto, scrutando sospettoso Violet «Prima voglio sapere come siete arrivati a me e cosa intendete fare con questa quarantena.»

La donna sapeva che non avrebbe potuto ribattere ed evitare di rispondere a quelle richieste, poiché sarebbe stato come chiedergli di fidarsi di loro senza che loro si fidassero di lui. Ciò avrebbe giocato a loro svantaggio, rendendo facile la perdita della sua collaborazione.

Scrollò le spalle dunque, nessuno dopotutto le aveva detto di tenere la bocca chiusa su quel che sapevano.

«La LIFE Inc., per cui Lacey Smith lavora, è un'associazione che ha collaborato con noi dai tempi del primo Genitore – se dico qualcosa che non conosci, fermami. Quando Edmund Schmitz giunse dalla Germania, nel 1948, in seguito ad un controllo medico venne scoperto un gene sconosciuto nel suo sangue. Il virus H è attualmente il più microscopico agente patogeno conosciuto dall'umanità, ma nei Genitori è facilmente visibile, essendo al suo stato più brado. La collaborazione è durata per più di cinquant'anni, finché al vecchio Edmund non balenò in mente l'idea di infettare il mondo, portando l'umanità ad un nuovo stato dell'evoluzione. Si reputava una specie di nuovo Gesù Cristo, o qualcosa del genere...»

C'era qualcosa di strano nel tono che aveva usato per descrivere le idee di Edmund Schmitz, come se la prospettiva di un mondo soggiogato dal virus H la affascinasse; Vincent ne ebbe paura ma la lasciò proseguire, con gli occhi quasi spiritati «Infine la LIFE, che prima di allora era stata solo un progetto sperimentale governativo segreto, divenne un'associazione a sé e fece perdere le sue tracce... fino a circa un anno fa, quando gli stupri nella zona urbana di Phoenix sono aumentati vertiginosamente. Era tutto chiaro, quasi un invito. Vari agenti furono inviati ad investigare in borghese, io ero tra questi. Fu facile scoprire le voci che circolavano sul Naughty Sunday, ma è solo grazie ad una fortuita coincidenza che venni assegnata alla redazione del The Gazette, dove ti incontrai. Poi, quella sera al club, capii che eri coinvolto nel giro e che potevi sapere qualcosa; furono però gli agenti Mochizuki e Mourier del dipartimento a confermare i miei sospetti, affermando di aver già notato dei tuoi atteggiamenti sospetti un mese prima.»

"Quei due maledetti!" Vincent li ricordava bene, Furuya Mochizuki e Van Mourier, i due poliziotti che da mesi tenevano sottocontrollo il locale: loro però stavano investigando sulle attività illegali, non si aspettavano certo di dare alla FBI la prova definitiva che la LIFE aveva stabilito una base operativa proprio lì.

«La cosa più facile è stata però appropriarsi del tuo DNA.» rise Violet, a Vincent si accapponò la pelle «Hai idea di quanto sia semplice ottenere il DNA di qualcuno? Denti, capelli, mozziconi di sigaretta, vestiti, unghie... persino dal cordone ombelicale essiccato!»

«Esiste qualcuno che ha conservato il proprio cordone ombelicale?» biascicò il ragazzo, disgustato.

La donna però sogghignò «Non hai idea di quanto sia strana la gente, honey. Ma tornando al nostro interessante discorso, il tuo DNA ce lo hai offerto tu su un piatto d'argento quando sei stato ricoverato in seguito a una caduta dalle scale.»

Sì, quello lo immaginava già, ma era pur sempre umiliante sapere di essersi fregato con le proprie mani; Vincent lasciò andare un brontolio sommesso.

«E che DNA interessante!» il tono usato dalla bionda si fece più basso e ferruginoso, era incredibile la sua capacità di mutare qualsiasi aspetto di sé in pochi attimi, segno di quanto potesse rivelarsi pericolosa quella donna «Mi aspettavo di trovare un normale infetto, e invece addirittura un portatore sano! Ne abbiamo studiati solo due fin oggi, ovvero le mogli di Edmund e Immanuel; Lacey invece non abbiamo mai avuto possibilità di toccarla, se ne sono andati poco dopo la sua nascita.»

«Come avete scoperto di Shaun Morris?» volle allora intervenire, avendo già cronologicamente inquadrato la successione degli eventi.

Violet si avvicinò al computer portatile per la prima volta e premette molto velocemente qualche tasto, dopo brevi secondi lo girò in modo da mostrare il desktop a Vincent; quest'ultimo si sentì impallidire quando si trovò davanti ad una cinica lista completa di profili e fotografie di tutte le persone con cui aveva rapporti, anche solo di conoscenza: Jonathan, i suoi genitori, George e Heaven, Marika, Fanny e Giles, Shaun, Alicia. C'erano persino degli spazi vuoti e privi di fotografie, che riportavano i nomi di Lacey Smith, Dorian Arterbury, Felix Cooper e... Sandra "Marylin" Haden.

Sentì un senso di vuoto al petto leggendo l'ultimo nome. Si chiamava Sandra. E gli altri due sicuramente erano i due poliziotti della cella frigorifera.

«Abbiamo semplicemente tenuto d'occhio i tuoi spostamenti e i tabulati telefonici. Si chiama indagine. A parte la tua famiglia e i tuoi amici d'infanzia, Marika Starson, Shaun Morris e Alicia Reed sono le uniche persone che incontri con regolarità, e due di loro sono tuoi clienti. Infine, per trovarti all'aeroporto è bastato controllare gli spostamenti aerei e intercettare le telefonate di tuo fratello e tua sorella. Siete stati molto prevedibili.» continuò il discorso l'agente, che non sembrava voler dar importanza al graduale sconforto che appariva sul viso del bruno «Questo è quanto. Adesso è il tuo turno.»

Era con le spalle al muro, soprattutto ora che li aveva spinti a rivelare i loro segreti; potevano dirsi complici? Probabilmente Violet dava per scontato di averlo già comprato, ma Vincent era riluttante, tentennante e soprattutto esitante.

Chinò il capo, lo sguardo scivolò dal volto pallido della donna, attraversato da ombre severe, e si posò sulle proprie mani, intrecciate e sudate, dalle nocche bianche e i dorsi screpolati dal freddo.

Socchiuse gli occhi ed inspirò, avvertendo un senso di nausea «Tutto quel che ho da offrirvi è la mia confusione... so dei Genitori, degli esperimenti durante la guerra, della differenza tra Genitori, portatori sani e infetti.»

«Ci sono altri portatori sani?»

Vincent scosse la testa «Non ne sono sicuro, ma probabilmente Lone, Owl, Sonia e Chevalier, escort del Naughty Sunday. Non conosco i loro veri nomi.»

«Come hai scoperto tutto ciò?» intervenne Violet, con voce altera e professionale, mentre annotava qualcosa con grafia illeggibile su un foglio di carta bianco alla sua destra.

«Ho... sono entrato nella sua casella di posta elettronica. Sua madre le aveva scritto alcune informazioni in una e-mail, oltre quello che ho letto non so altro.» notò un'espressione di delusione affiorare sul viso di lei, ma la ignorò «So che hanno elaborato un antidoto e il virus è autoimmune, e-...»

«Un antidoto?»

Vincent alzò la testa: non aveva mai sentito un entusiasmo così marcato in quella voce così piatta. Benché già convinto che la donna non fosse mentalmente stabile, vederla sorridere in modo arcuato lo inquieto. Si ritrasse e chiuse nelle spalle, oscurandosi.

«Sì. Ha detto che gliene avrebbe inviata una copia, così avrebbe potuto analizzarla nel suo laboratorio.»

Violet si issò in piedi – la ricordava più alta –, una mano sotto il mento e una sul fianco, una leggerissima ragnatela si disegnò sulla sua fronte mentre rifletteva attentamente «Dunque ha un laboratorio personale. Sai dove si trova?»

«Non ne abbiamo mai parlato e dubito che me lo direbbe. Mi odia.» Vincent non era sicuro che quella risposta le sarebbe piaciuta, ma avrebbe dovuto ingoiarla, in quanto corrispondeva alla verità: non correva buon sangue tra lui e Lacey, tutti lo sapevano.

«È davvero un peccato che ti odi, ti renderà le cose più difficili.»

In che senso? Un brutto presentimento si fece strada nel cuore del ragazzo, facendolo battere concitatamente; alzò il capo, cercando contatto con gli occhi da robot dell'agente, sussurrando impacciato «Che intendi dire?»

Temeva la risposta e l'espressione sorniona della bionda; infine ella, accostandosi a lui, spiegò «Hai chiesto della quarantena, corretto? È il primo passo del nostro piano. Eviteremo l'ulteriore diffondersi della malattia, intanto la LIFE, sentendosi messa con le spalle al muro e assediata, si concentrerà su di noi. Faremo da esca, in pratica. Nel frattempo, tu ti avvicinerai a Lacey Smith, non dovrebbe essere troppo difficile neanche per te, e sotto le nostre direttive ti infiltrerai nel suo laboratorio e ci porterai la cura e un campione di sangue della Madre. Tutto chiaro?»

"Certo, chiaro come il sole: sei pazza fino al midollo."

Dovette trattenersi dal dar voce a questo pensiero poco garbato, ma era stata la sua più spontanea reazione; la seconda reazione invece consisteva in una risata sarcastica accompagnata da un rifiuto categorico.

Un lungo e profondo silenzio li circondò, Vincent sentiva ancora la sensazione opprimente al petto ma le parole faticavano ad uscire, allo stesso modo non riusciva a dar posto ai mille pensieri che gli affollavano la mente.

Urgeva un piano C.

«A cosa vi serve il sangue di Lacey? Avete fatto esperimenti su quello di suo padre e suo nonno, non avete il loro?» volle tentare, sfidandola; aveva paura che un altro suo sospetto divenisse realtà e che i federali intendessero usare il virus con fini militari.

Lei scosse il capo, evitando magistralmente di rispondere alla prima domanda «Gli scienziati della LIFE hanno portato via tutto, fino all'ultimo blocco note. Non ci è rimasto più niente.»

Anche quello era un atteggiamento prevedibile, una scelta saggia forse. Del resto, chi parava le spalle a Lacey Smith, la LIFE e chissà chi altri, non gli era mai sembrato stupido.

«Perché dovrei farlo?» osò infine.

Violet alzò la mano destra e, come aveva fatto la sera in cui si erano incontrati al Naughty Sunday, gli appoggiò un dito sulle labbra per zittirlo, con un sorriso sprezzante «Perché? Dovrebbe esserti chiaro, Hound.»

In effetti sì, gli era chiaro. I suoi occhi corsero alle fotografie ancora in bella mostra sullo schermo del computer.

Perché non aveva altra scelta.

«Ti è chiaro o no?» sibilò ancora la donna, come una vipera.

Dopo alcuni secondi di silenzio, il giovane si tirò indietro, in modo da allontanarsi dalla mano di lei, e sconfitto e distrutto finalmente annuì «... Chiaro.»

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