14. Prospective V, Seattle (7)

Arco II: rEvolution

Capitolo 14: Prospective V, Seattle (7)

- Cinque anni prima; un mese prima della partenza di Vincent per Phoenix -

«Perché mi odi così tanto?»

Heaven Wright raramente era stata così seria. Come darle torto? A otto anni c'è ben poco da essere seri! Ma davanti a Vincent Black, suo fratellastro maggiore di sei anni, davvero non riusciva ad essere allegra, né spensierata o semplicemente tranquilla.

Vincent la guardava sempre con indifferenza, con gli occhi gialli - le avevano sempre messo un po' di timore addosso - del tutto inespressivi, le mani infilate nelle tasche dei pantaloni ed il ciuffetto ribelle bruno che gli cadeva sul viso.

Quel suo atteggiamento così impassibile ogni tanto le faceva pensare che lui non fosse in grado di vederla veramente, o forse non voleva vederla affatto. Magari gli ricordava troppo loro madre, con i suoi capelli rossi e le lunghe ciglia: una Liza in miniatura, prova incancellabile del tradimento nei confronti del padre del quattordicenne.

Ma Heaven, ancora troppo piccola, non poteva arrivare a queste conclusioni, specialmente dal momento che di tutta quella storia sapeva solo che mamma aveva lasciato il suo ex marito perché non si amavano più, e questa era una cosa molto triste; ma l'ostilità che avvertiva nell'aria quando lei e Vincent erano insieme le era del tutto incomprensibile.

Il fratello non sembrò affatto sorpreso da quella domanda, anzi sembrava quasi chiederle in silenzio perché avesse aspettato così tanto per porgliela. La risposta, quando giunse, fu talmente tagliente che Heaven si sentì gelare dentro.

«Perché è colpa tua se i miei genitori si sono lasciati.» le spiegò Vincent, come se fosse la cosa più ovvia del mondo «Perché nostra madre e tuo padre per una notte insieme hanno mandato all'aria una famiglia; magari se lei non fosse rimasta incinta di te si sarebbero fatti per un po' e alla fine avrebbero chiuso.»

«Quindi io sono un problema...?» domandò ancora la bambina, schiacciata dall'insensibilità del fratello.

Aveva capito poco di quella spiegazione, nulla riguardo il "passare una notte insieme" o "farsi", erano parole troppo difficili per lei, ma Vincent non sembrava intenzionato a venire incontro, addirittura rincarò la dose.

«Tu hai avuto due genitori che ti hanno dato tutto quello che volevi, non hai nemmeno idea di cosa abbiamo passato noi.» poi si lasciò scappare una risata, alzando gli occhi al cielo, fuori dalla finestra a cui era appoggiato «Una principessina come te non può saperlo. Ma a pensarci bene non è colpa tua. È nostra madre che ha fatto una stronzata, anche se quello che odio di più è George, come puoi immaginare. Tu alla fine sei stata soltanto l'occasione buona per lasciare mio padre. Il pretesto, insomma.»

A quel punto Heaven scoppiò silenziosamente a piangere, con le mani premute contro gli occhi verdi; non riusciva a credere alle parole di Vincent: era tutto troppo crudele e insensato per essere vero! La odiava perché lei aveva avuto ciò che a lui era stato negato? Eppure loro ci provavano a volergli bene, papà si impegnava tantissimo per convincerlo a uscire con loro il venerdì o ad andare con lui alle partite di baseball: era Vincent quello che non voleva stare con loro! Era colpa sua, tutta colpa sua!

Ma il ragazzo non sembrava ancora soddisfatto del risultato raggiunto, come se volesse rinfacciarle e farle provare tutto quello che aveva passato lui, così concluse «Sei così meschina che non meriti neanche il mio disprezzo, figurarsi il mio odio. Quindi smettila di atteggiarti tanto e lasciami solo.»

Heaven corse via, distrutta da quelle parole, ma prima di sparire dietro l'angolo si voltò verso suo fratello con lo sguardo carico di rabbia e gli urlò addosso «Sei... sei odioso, Vincent! Ti odio, ti odio! Vorrei che la mamma ti avesse lasciato a Phoenix e dimenticato!»

***

Vincent sospirò, le mani infilate dentro le tasche e lo sguardo fisso sulla porta bianca chiusa a chiave davanti a lui; era a Seattle da quattro giorni e neanche una volta Heaven aveva accettato di mangiare con loro se lui era presente: se n'era inventata di tutti i colori, dalle uscite con le amiche alle riunioni della band dopo la scuola.

Liza era quella che ne soffriva di più, ma dati i suoi impegni di lavoro era anche frequente che rincasasse tardi e spronasse Vincent a cenare da solo o con George; sorprendentemente, con il patrigno le cose andavano meglio rispetto al passato, grazie all'impegno costante di entrambi.

L'uomo aveva più volte provato a convincere la figlia ad unirsi a loro, spiegandole che Vincent sembrava davvero cambiato e non intenzionato a litigare, ma Heaven non voleva sentire ragioni: lei con quel cancro di fratello non voleva averci niente a che fare.

E Vincent non poteva darle torto, considerando l'ultima conversazione che avevano avuto prima del suo trasferimento a Phoenix: era ironico, quella volta l'aveva praticamente scacciata, mentre adesso era proprio lui ad andare a cercarla.

Fece un passo avanti e con un pugno picchiettò un paio di volte sulla superficie ruvida, accompagnandosi con la voce «Sono io. Fammi entrare.»

Dall'altra parte della porta si udì una voce femminile, che domandava piatta «Sei solo?»

Che razza di domanda era? Aspettava visite? Vincent sollevò un sopracciglio e rispose, poco convinto «... Sì.»

«Col cazzo!»

Ah, ecco perché si era assicurata prima che nessuno degli adulti fosse vicino. Mica scema, la ragazza!

«Anche senza, se vuoi. Basta che apri la porta.» ma lui, che non rimaneva mai a corto di parole, riuscì a rigirare la frittata «Avanti, Heaven, non fare la quattordicenne; non si vantano sempre della tua maturità?»

«Vattene via, Vincent. Anche un calcio nelle palle è preferibile alla tua faccia da coglione.»

"Dio, è volgare quasi quanto me quando sto con Fanny!" da quando la sua sorellina adorata parlava in quel modo? Le avrebbe dato una bella tirata d'orecchie se non fossero stati in rapporti pacifici quanto l'America con la Russia durante la Guerra Fredda.

«Hey, vacci piano con le parole!» esclamò, facendo l'offeso «Sei diventata proprio una stronza.»

E, esattamente come previsto, in neanche dieci secondi il legno candido fu rimpiazzato da una Heaven coi lunghi capelli rossi raccolti in due codine, le gote livide di rabbia e le mani sui fianchi; lo fulminò come se avesse voluto ucciderlo con lo sguardo, e Vincent ricambiò con un sorriso compiaciuto.

«Chi è la stronza, brutto ipocrita?! Entra, così ti posso picchiare meglio!»

«Ohoh, fai tanto la dura? Ma il mio piano ha funzionato.» e che faccia da schiaffi era quel fratello!

Egli quasi saltellò dentro la stanza, alle sue spalle la ragazza si curò prima di chiudere la porta, per poi affrontarlo faccia a faccia come un tirannosauro - Heaven - con una formica - Vincent.

«Sei un cretino, esattamente come ti ricordavo. Allora, che sei venuto a fare stavolta? Ribadire che sono un errore? L'incarnazione del male, nata da quei pezzenti dei miei genitori? Il prodotto di un piano malefico atto solo a rovinare la vita di sua maestà?» sbottò, mentre il ragazzo osservava con attenzione i cambiamenti della camera, del tutto insensibile alle sue parole «Hey, non toccare la mia roba o ti ammazzo!»

«Impari in fretta, Heavy.» commentò distrattamente lui, troppo preso dallo studiare quanto l'ambiente intorno a lui fosse irriconoscibile.

Solo le pareti di un chiaro e dolce arancione erano le stesse, ma non vi era più traccia dei giocattoli, dei pupazzi e della grande casa delle bambole che la ragazza amava: adesso era musica, musica ovunque, nei poster di Avril Lavigne e di Lana del Rey appesi in ogni angolo, nelle foto con la sua band attaccate con puntine bianche alla bacheca sulla scrivania, nei cd ammassati sulle mensole, nella tastiera poco lontana dal letto disfatto.

E alla fine così, di punto in bianco, se ne uscì con una domanda campata per aria «Ascolti i Linkin Park?»

La spiazzò parecchio, anche se non poté godersi lo spettacolo perché stava ancora curiosando con lo sguardo sui cuscini a forma di cuore.

«Che diavolo c'entra? Comunque no.» a Heaven sembrava che suo fratello si fosse rimbambito.

«Oh beh, posso perdonartelo se non ascolti neanche i One Direction.» scrollò le spalle l'altro, e senza fare complimenti si appropriò della sedia girevole... nonché unica sedia della stanza; sembrava davvero a suo agio «Tralasciando, allora è vero che suoni in una band.»

Una mano sulla tempia ed un sospiro: così la giovane espresse tutto il suo disappunto «Perché non avrebbe dovuto essere vero? Ci stiamo preparando al concerto di Natale, sono un po' impegnata come puoi vedere. Ti dispiacerebbe alzare il culo dalla mia sedia e dirmi velocemente che vuoi?»

«Andrò al punto: fai lo sforzo di cenare con noi almeno stasera.» non se lo fece ripetere due volte lui, e intrecciate le mani rincarò la dose, aggiungendo «Stai facendo la figura della bambina capricciosa che non vuole affrontare il bulletto di periferia. Ma di questo non mi importa, naturalmente. A me importa solo che la mamma sia felice, e senza la tua presenza non è possibile.»

«Tu... tu parli a me di capricci, Vincent? Proprio tu

No, Heaven non sembrava disposta a collaborare; gli prese la manica del maglione nero tra le mani e cercò di sollevarlo di forza, senza però riuscirci, mentre sul viso sfoggiava un sorriso sarcastico «Hai sempre fatto i tuoi comodi in questa casa, non hai mai avuto rispetto per niente e nessuno, mi hai fatto passare un'infanzia orrenda come se il tuo unico scopo fosse quello di rovinare la vita degli altri, e ora torni dopo sei anni a farmi discorsi sulla maturità e far finta di niente? Mi porgeresti l'altra guancia già che ci sei, per favore? Sento il bisogno di darti un pugno.»

Non le avrebbe dato torto, Vincent, perché si rendeva conto che la sua missione sembrava davvero complicare le vite degli altri; non sapeva combinare niente di buono, aveva sempre dato problemi a tutti: alla sua famiglia allargata, ai suoi amici, alla sua ex, persino ai suoi clienti.

Si sentì assalire dalla tristezza, ma lo tenne per sé e si mise in piedi; era incapace di contenere la bufera che era sua sorella, poteva quasi sentire fremere nell'aria il suo rancore, lo colpiva a ondate che rendevano difficile portare avanti quella conversazione.

Infilò le mani nelle tasche dei pantaloni, sollevando lo sguardo a lei che intanto aveva occupato la sedia ed accavallato le gambe, pronta a darci dentro di nuovo se necessario: per ora aspettava semplicemente una risposta, convinta di aver la vittoria in pugno.

E così era, in effetti. Vincent non credeva di avere ancora la forza di combattere con lei: sapeva cosa significava combattere veramente contro qualcuno - l'immagine di Lacey tornò viva e pressante nella sua mente -, e lui non voleva combattere con Heaven

«Sì, sono stato pessimo in passato, sia con te che con loro. E sai qual è la cosa buffa? Che lo sono ancora. Hai ragione quando dici che la mia vita è basata sul creare difficoltà agli altri, sembra sia ciò che mi riesce meglio. Ma non è questo ciò che conta: sono qui dopo sei anni e l'unica cosa che voglio è vedere mia madre davvero felice almeno una volta, perciò servi tu. Che ti piaccia o no. Non ti chiedo di farlo per me, io per te non lo farei... ma per lei sì, e l'ho dimostrato.» e con quelle parole riuscì a zittirla definitivamente, sebbene i suoi occhi verdi fossero ancora puntati su di lui come fiamme.

Vincent si sentì strano: in un'occasione normale l'averla zittita gli avrebbe dato un senso di soddisfazione, ma adesso avvertiva dentro di sé solo un vuoto devastato e freddo.

«Vieni a cena, stasera.» le intimò ancora una volta, convinto di essere riuscito nel suo intento, infine uscì dalla stanza.

Ma quella sera Heaven non scese a cena, stavolta con la scusa di un mal di testa.

***

- Il giorno dopo -

Incredibile a dirsi, la sera dopo Heaven era al tavolo con gli altri tre. Dopo il discorso del pomeriggio precedente, Vincent era stato sicuro che la ragazza avrebbe fatto l'impossibile per non incrociarlo più neanche per sbaglio, del resto quello era già il suo quinto giorno a Seattle e si erano parlati veramente una volta sola.

E invece nel momento in cui aveva messo le verdure a tavola ed alzato lo sguardo, aveva incontrato la sua esile figura con indosso una felpa bianca e un cerchietto tra i capelli; inutile spiegare come gli occhi di Liza erano stati inondati dalla gioia a quella visione, Vincent ne fu un po' invidioso, ma poi si ricordò che anche lui era in parte motivo di tanta felicità.

Stava cominciando a ragionare in modo diverso, maturando forse.

A causa della disposizione dei posti, immutata da quando erano andati ad abitare in quella casa, i due giovani si ritrovarono spalla a spalla, ma entrambi fecero attenzione a non urtarsi e rimanere a dovuta distanza.

«Sono così felice di avervi entrambi!» come se non lo avessero già compreso da soli, Liza pensò di specificarlo ad alta voce, incapace di contenere l'allegria tra un boccone di noodles istantanei e l'altro.

Erano le otto, alla televisione passava la pubblicità di un film che a breve sarebbe uscito nelle sale ma che non aveva alcun legame con l'attrice o il regista di famiglia; quest'ultimo, che non amava il cibo precotto, annaspava macchiandosi in continuazione la camicia.

«Sei proprio un disastro! Non sai neanche mangiare senza riempire i vestiti di macchie!» rise a pieni polmoni Heaven, evitando però lo sguardo colorato di azzurro del padre, indeciso tra rimproverarla o lasciarsi prendere in giro: optò infine per la seconda opzione, sciogliendosi in un sorriso.

«Oh, dimenticavo!» la madre si occupò teneramente di pulire via - in realtà solo peggiorando la situazione - la macchia d'olio sul tessuto bianco con un tovagliolo, ma i suoi occhi vivaci erano rivolti alla figlia «Il compito di matematica?»

«Err, è andato. È andato...» Heaven non sembrava molto convinta dell'esito della prova svolta quel giorno, scrollò le spalle con nonchalance e rubò un pomodoro «Credo sia andato abbastanza bene.»

Toccava a lui dire qualcosa? Vincent se lo domandò con un'innocenza spontanea, roteando gli occhi: non credeva di essere ancora così incapace di intavolare una discussione assieme alla sua seconda famiglia; più passavano i minuti e più però si rendeva conto che, ora che erano tutti insieme e l'attenzione veniva catalizzata dalla presenza della ragazzina, non riusciva ad inserirsi, era come se un muro invisibile lo dividesse dal resto dei presenti.

Come uno spettatore seduto pigramente sul divano, popcorn in una mano e telecomando nell'altra, che tiene gli occhi incollati sull'ennesima sitcom sulla tipica famiglia americana.

Gli faceva... male. Si sentiva messo da parte, fuori posto, non necessario. Sostituibile. Ancora una volta.

Si era voluto illudere che la presenza di Heaven non avrebbe più generato questi sentimenti dentro di lui: era un adulto ora, non poteva continuare ad essere geloso della sua sorellastra; il fatto però era che fissarli, affiatati come una vera famiglia dovrebbe essere, uniti, felici... gli dava il vomito.

Lo odiava al punto che avrebbe alzato una mano per strappare via tutto, come vecchia carta da parati.

«Tesoro, non mangi?»

Liza e poi gli altri due interruppero la loro conversazione, aspettandosi qualche uscita acida da parte del ragazzo; non sarebbe stato strano, non sarebbe stato diverso da com'era sempre stato: era lui a rovinare i loro idilli, lui con la sua presenza assolutamente inopportuna. Una zavorra del passato che Liza aveva tentato di lasciarsi alle spalle.

Vincent era sicuro che la pensassero così; o forse voleva solo costringersi a crederlo.

Li stupì regalando loro un sorriso energico e pulito che li colpì positivamente, benché dentro di sé sentisse la ruggine dell'insofferenza divorargli il fegato.

Infilzò la lattuga come se stesse accoltellando qualcuno e ridacchiò in direzione di Fatty, che lo fissava torvo «È inutile che mi guardi così, vecchio ciccione, l'insalata cucinata dalla mamma non te la cederò mai.»

Adulare Liza era sempre un ottimo metodo per cambiare argomento, e anche quella volta funzionò.


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