14. Prospective V, Seattle (4)
Arco II: rEvolution
Capitolo 14: Prospective V, Seattle (4)
- Quattordici anni prima, qualche mese dopo l'episodio della stanza degli ospiti -
Vincent aveva sempre pensato che la mamma ed il papà fossero la coppia più bella del mondo. Entrambi erano famosi: lui un grande giornalista rispettato nel suo campo, il nome "Thomas Black" era un marchio di qualità; lei attrice da sempre, sin da quando aveva rivolto il suo primo sorriso alla telecamera, da bambina, con in mano una scatola di dentifricio.
Capitava molto spesso che la loro famigliola non potesse mettere il naso fuori di casa senza essere assaltata dai flash e dalle domande, soprattutto nel periodo in cui la mamma e il papà cominciarono ad urlare molto spesso. Ma il piccolo Vincent era abituato ai flash, alle domande curiose, alla poca attenzione degli occupatissimi genitori, e, sì, anche alle urla; perciò non ci aveva fatto più caso del dovuto.
Non si era accorto nemmeno che la mamma ultimamente usciva più frequentemente e rientrava tardi e che la sua pancia stava diventando un pancione.
Vincent aveva cinque anni all'epoca; pensava che le sorelline ed i fratellini venissero portati dalla cicogna, e questo lo spaventava molto a dirla tutta: anche lui aveva fatto quel pericoloso viaggio in mezzo ai cieli? Lui era stato fortunato perché pesava poco, si diceva, ma come facevano i bambini che pesavano tanto, come Terry Parker, e rischiavano che la cicogna non riuscisse a sostenerli?
Poi era venuta quella sera in cui Vincent si era accorto che le urla di mamma e papà erano aumentate davvero tanto, e non aveva potuto fare a meno di presentarsi dai genitori con il suo soldatino preferito stretto tra le mani sotto braccio e gli occhi pieni di lacrime.
«Vai di sopra, Vincent.» lo aveva redarguito il papà, senza dargli nemmeno il tempo di parlare.
Il bambino aveva scosso la testa, rifiutandosi categoricamente, per poi esclamare con la voce ancora fin troppo acuta per un maschietto «S-smettete di litigarvi!»
«Ti ho detto di andare di sopra!»
Ecco, poi il papà aveva cominciato a urlare anche contro di lui e Vincent non aveva potuto fare altro che scoppiare in un pianto spaventato; il papà gli faceva paura quando era arrabbiato: era molto severo e se qualcosa non gli piaceva la cambiava. Vincent aveva paura che un giorno il papà avrebbe cambiato anche lui per un bimbo più ubbidiente e meno chiassoso.
I suoi pianti ebbero il potere di richiamare il fratellone Jonathan, che, nonostante i suoi giovani otto anni, ormai sembrava la persona più matura in quella casa, tra una madre capricciosa, un padre incapace di fare il padre ed un fratellino terrorizzato dal mondo.
Il bambino scese di corsa le scale e raggiunse il salone dove era in corso la lite, non badò al "Jonathan, portalo di sopra" che gli venne rivolto al suo ingresso: era esattamente per quello che era andato lì, altrimenti se ne sarebbe stato rinchiuso nella sua stanza a piangere, come faceva sempre quando i suoi genitori litigavano.
Cinse le spalle del fratellino e provò a smuoverlo, ricevendo in cambio però una serie di lamenti che attestavano la sua ferma volontà a rimaner lì. Jonathan fu davvero sul punto di crollare, ma l'intervento della mamma evitò che una scena di un bambino che piange si trasformasse in una scena di due bambini che piangono.
«Non credere che abbiamo finito, Liza!» la ammonì Thomas, che quella volta sembrava davvero furioso. E i bambini erano ancora troppo piccoli per capire che in quella situazione loro padre non era affatto un orco, ma che aveva una santa ragione per sbraitare così rabbiosamente contro la donna.
«Sì, invece!» lo riprese lei con un'occhiataccia, e con un po' di fatica riuscì a mettersi in ginocchio per prendere in braccio il piccolo Vince e stringere nella propria mano quella di Jonathan «I miei figli sono più importanti di questo discorso.»
Sì, Thomas era d'accordo con questo: per quanto potesse apparire insensibile, anche lui aveva a cuore più d'ogni altra cosa i piccoli Jonathan e Vincent, solo che non riusciva a dimostrarlo, e la rabbia di quel momento era troppo forte per impedirgli di ragionare per il bene dei bambini.
Quando madre e figli sparirono sulle scale, l'uomo si lasciò cadere sul divano, mentre qualche dannata lacrima sfuggiva persino al suo ossessivo controllo.
L'ufficio era molto grande e illuminato dalla luce del sole, una scena simbolica per Liza, che si trovava davanti al suo avvocato, attendendo col cuore in gola una risposta alla sua domanda.
Il professionista, una donna alta ed elegante, inforcò gli occhiali e se li sistemò sul naso sottile, poi rivolse gli occhi nocciola alla cliente, seduta sulla comoda poltrona di pelle nera; la trepidazione di Liza poteva quasi essere sentita nell'aria.
«Dunque, Liza... è stata una battaglia molto difficile, l'avvocato di Thomas era un osso durissimo, devo dirlo.» cominciò, accomodandosi all'altro lato del tavolo «Siamo parecchio in svantaggio rispetto a lui, ma abbiamo ottenuto qualcosa anche noi.»
«Che vuol dire?!» sbottò la madre, con i lunghi capelli rossi smossi dal vento che entrava dalla finestra aperta «Sono la madre, non dovrei avere più diritti!? Sono io che li ho messi al mondo!»
«I figli si mettono al mondo in due, Liza.» la ribeccò senza severità l'avvocato Randall, per poi spiegarsi meglio «Le battaglie legali sono qualcosa di altamente insidioso. Abbiamo ottenuto una alternating custody per uno dei bambini, a dispetto di una sole custody per l'altro. Ciò significa che uno dei due sarà del tutto affidato a Thomas, mentre l'altro vivrà a periodi con te e a periodi con Thomas.»
Liza si sentì mancare: avrebbe dovuto rinunciare a veder crescere uno dei suoi bambini e a vivere sporadicamente con l'altro? Non sapeva dire se era peggio vivere fino alla maggiore età con Thomas Black o vivere fino alla maggiore età spostandosi tra Phoenix e Seattle, dove aveva intenzione di trasferirsi.
Per qualche minuto rimase senza parole, troppo interdetta per farsi valere. Quella battaglia legale era durata mezzo anno, non voleva far altro ora che andarsene a Seattle, sposarsi con George e portare avanti la gravidanza ormai avanzata. Non avrebbe mai lasciato nascere la sua bambina in quella Phoenix che odiava dal profondo dell'anima!
Avrebbe desiderato con tutto il cuore avere con sé entrambi i suoi bambini, ma ora si trovava davanti all'incubo di ogni madre: scegliere un figlio.
Liza bussò con delicatezza alla porta di legno bianco.
«Toc toc!» fece eco con la voce, apparentemente tranquilla «Posso entrare?»
«Solo finché non cala il sole!» una vocina da dentro la avvertì «Perché poi divento un supereroe e vado a combattere i cattivi, ma non dirlo a nessuno!»
Quelle paroline fecero ridere di cuore la donna, che entrò cautamente nella stanza del piccolo Vincent, il quale stava seduto sulla sua sediolina di plastica blu e giocava con le costruzioni. La madre gli si avvicinò con pochi passi e si inginocchiò davanti a lui, passandogli una mano tra i capelli ramati «D'accordo, allora sarà il nostro piccolo segreto.»
Negli occhi gialli di Vincent passo un guizzo di felicità, che il bimbo espresse con un sorriso, annuendo e mugugnando un "mh-mh!".
«Vince, ora ascoltami un attimo.» lo chiamò, prima che lui tornasse a cercare di dare una forma a quei pezzi dai mille colori.
Il piccolino sollevò lo sguardo curioso, facendo sentire Liza un mostro per quello che avrebbe fatto di lì a breve. Provò a recitare il suo ruolo più difficile, quello della madre, e accarezzandogli una guancia chiese «Ti piacerebbe vedere un posto del tutto nuovo e pieno di meraviglie?»
«Come quelle della favola di Alice?!» esclamò il bambino senza perdere tempo, con un gran sorriso emozionato.
La madre rise «Se lo vuoi, sì!»
«Allora sì!» continuò lui, salvo poi avere un piccolo ripensamento «Ah... ma niente caterpillar, perché se fuma come il papà poi puzza, e io odio la puzza delle sigarette!»
«Fai benissimo, le sigarette fanno schifo, buah!» annuì la madre, che era riuscita ad uscire dal tunnel del fumo solo con la nascita di Jonathan «Dunque vuoi partire insieme a me verso questa nuova avventura?»
Liza ce l'aveva messa tutta per far sembrare quella partenza una cosa da niente: un viaggio, un'avventura, una vacanza o qualsiasi cosa che non facesse capire al bambino quanto fosse terribile la separazione cui andavano incontro. Eppure qualcosa era andato storto, lo leggeva negli occhi innocenti di Vincent, che la scrutavano come a dire "non ti sei dimenticata qualcosa?". Il bambino dondolò la testa da destra a sinistra e viceversa, soppesando la proposta con attenzione.
«Solo se ci sono anche il papà e il fratellone, se no ho paura.» concluse infine, con un tono che non ammetteva repliche.
Per Liza fu come se tutti i suoi sforzi fossero stati vanificati, e non poté che abbandonarsi ad un sorriso amaro: che stupida era stata, come aveva potuto pensare di dividere facilmente un bambino emotivo come Vincent da padre e fratello?
Con lentezza riuscì a sedersi per terra, nonostante il pancione le facesse un po' male, e, sollevato con delicatezza quel bambino leggerissimo, se lo sedette sulle gambe, per poi poggiarlo al proprio petto. Cominciò ad accarezzargli i capelli e il viso, come per prepararlo ad affrontare la dura realtà.
Il piccolo Vincent intanto aveva rivolto le iridi chiare a lei, piene di insicurezza e curiosità malcelata.
«Vedi, tesoro...» sussurrò verso di lui, continuando a coccolarlo «La mamma va via da questa casa, e purtroppo può portare solo te con sé.»
«E papà e Johnny?» chiese il bimbo.
«Loro resteranno qui. Ma la mamma farà in modo che tu possa vederli tutte le volte che vuoi.» lo tranquillizzò lei col tono più rassicurante che aveva «E comunque non saremo soli, sai? Ci sarà un signore di nome George, un amico della mamma. Ti piacerà, vedrai!»
Ma il bambino non sembrava affatto felice di dover andare a condividere una nuova casa e soprattutto la sua mamma con un uomo sconosciuto, di cui non aveva mai sentito parlare.
Così la donna decise di giocare la sua ultima carta e con una mano attirò l'attenzione del bimbo sul proprio pancione.
«La mamma non è ingrassata.» rise, poi scompigliando di nuovo i capelli del piccolino dall'espressione sorpresa: e la cicogna che fine aveva fatto? «Presto avrai una sorellina, Vincent. Dovrai essere bravo con lei come Jonathan è stato bravo con te.»
«Ma perché papà non viene con noi? Non vuole vedere la mia sorellina?» domandò spontaneamente Vincent, che sembrava non riuscire nemmeno a concepire l'idea che quella bambina in realtà non fosse di suo padre.
Quella discussione si stava facendo troppo pesante, Liza non era affatto sicura di riuscire a spiegare ancora come stavano le cose senza imprimere nel figlio una ferita profondissima: ne aveva già dovute sopportare tacitamente così tante e ne avrebbe subite altre appena avrebbe capito, crescendo, come stavano realmente le cose.
Scosse il capo e lo rimise per terra, riprendendo contegno e voce alta esclamò «Basta così, chiacchierone! È ora di andare a letto... o di trasformarsi in un supereroe.»
"Magari con dei superpoteri potrei davvero eliminare ogni problema..." pensò tra sé e sé la donna, che una volta raggiunta la porta si voltò per osservare il bambino che tentava goffamente di arrampicarsi sul letto.
Sorrise, ingentilita da quella visione, e chiese «Ah, Vincent... ti piace il nome Heaven?»
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