12. Crimson fireflies (4)
Arco II: rEvolution
Capitolo 12: Crimson fireflies (4)
«Mi piace.» commentò Alicia.
Vincent rimase sorpreso di quel commento: le piaceva la sua storia? Il soprannome? Il modo in cui aveva quasi rotto il naso al fotografo antipatico? L'interrogativo fu espresso più dal suo sguardo che con le parole, e difatti la donna, tamburellando con le unghie sul volante, spiegò «Mi piace come sei riuscito a capovolgere una situazione sfavorevole e in una a tuo vantaggio.»
Effettivamente era qualcosa a cui non aveva mai fatto caso, ma Alicia aveva ragione; era da lui non lasciarsi abbattere dalle avversità, cercare di sfruttare ogni occasione in suo favore, negativa o positiva. Era ciò che gli aveva insegnato Thomas.
Sarebbe riuscito a fare lo stesso anche con tutto quel che stava accadendo?
«Alicia...» decise di azzardare, evitando con fare furtivo il suo sguardo intuitivo «Se io sapessi qualcosa che forse riguarda anche te, vorresti saperla?»
Pensò che così sarebbe stata ella stessa a scegliere se farsi coinvolgere di nuovo, affondare ancora di più in quell'intrico da film fantascientifico.
Ma quel poco che aveva visto fin ora di Alicia Reed gli bastava ad indovinare la risposta, che arrivò in breve.
«Sì, ne avrei il diritto.» annuì lei, senza tentare di instaurare alcun contatto visivo; se Vincent non voleva, doveva esserci un buon motivo, pensò.
«Anche se si trattasse di qualcosa di terribile?»
Adesso Alicia lo guardava, seriamente sorpresa: a che cosa si riferiva? Certi problemi se li era lasciati alle spalle, lei, e anche se fossero tornati a bussare alla porta non avrebbero avuto più alcuna ripercussione. Almeno a livello legale.
Dunque di che cosa stava parlando Vincent?
Dopo un'iniziale insicurezza, annuì ancora «... Sì.»
E lui chinò il viso, spezzato da ombre che lo facevano sembrare più adulto del necessario; solo allora inclinò lo sguardo quanto bastava perché le sue iridi gialle incontrassero quelle celesti della donna, ammonendola con un tono severo che le ricordava quello di un giudice.
«Sta' lontana dal Naughty Sunday, Alicia. Non cercare mai più un escort in tutta Phoenix, per nessuna ragione al mondo.» e prima che lei irrompesse con valanghe di domande, lui alzò una mano «Non ora.»
Non poteva rimanere lì ancora a lungo: era sicuro che Lacey non lo facesse perdere d'occhio, probabilmente Replica o qualche altro protettore era acquattato nell'ombra proprio in quel momento, a vegliare.
Sarebbe tornato dentro il prima possibile, e se gli avessero chiesto avrebbe detto che la cliente aveva cambiato idea all'ultimo momento.
A voce bassa e mantenendosi nella penombra, sussurrò «Dammi tempo. Tu fai come ti ho detto.» e dopo di ciò aprì la portiera dell'auto, lasciando Alicia con un'espressione assorta.
***
Tre giorni dopo il dialogo con Alicia Reed avvenne quel fatto.
In una delle camere del Naughty Sunday, passata la mezzanotte, il primo incontro a tre si stava trasformando in una situazione rischiosa.
Vincent era rimasto immobile per tutto il tempo della telefonata, con gli occhi dapprima annoiati, poi confusi, infine inquieti, a fissare quello che reputava un cliente del tutto normale trasformarsi in una belva.
Era la prima volta che gli capitava di dover partecipare ad un'orgia: i desideri dei compratori andavano soddisfatti, gli aveva spiegato Lacey, persino quelli più perversi, ma solo finché non si rivelavano pericolosi.
Lui e l'altra ragazzina di cui non sapeva il nome, una ispanica dai lunghi capelli riccissimi e il pesante trucco atto a mascherare la sua giovane età, erano stati scelti con evidente sollievo da parte degli altri lavoratori del locale. Chevalier gli aveva augurato buona fortuna, dandogli una pacca sulla spalla.
Appena entrati nella grande camera da letto - la mocciosetta aveva inciampato due volte per le scale a causa dei trampoli che indossava -, il telefono del loro ospite, tale Crane, reputò che fosse il momento di interromperli col suo squillare energico.
I due ragazzi si erano a quel punto scambiati un'occhiata incerta, per poi accomodarsi agli angoli opposti del letto, come due continenti divisi dall'oceano, sotto ordine di Crane, mentre questi si chiudeva in bagno.
Vincent si sentiva a disagio, costretto a prendere parte a quell'appuntamento sessuale a cui non voleva partecipare. Non c'era neanche il virus H a condizionarlo stavolta: i bisogni di quella mostruosità erano già stati soddisfatti la sera prima.
A spingerlo tra le braccia di quell'uomo corpulento e muscoloso era il non voler scatenare in Lacey dubbi sulla sua fedeltà, che avrebbero potuto costargli carissimi.
Nonostante tutto, dentro di lui impazzava una guerra tra la logica, che gli suggeriva di sopportare stoicamente, e l'istinto, che urlava di scappare a gambe levate.
Scoccò uno sguardo alla ragazza nell'ombra, ma lei lo rifuggiva come se ogni elemento in quella stanza le fosse stato nemico. Sembrò decidersi a contemplare il paesaggio esterno: Phoenix in fermento e luminosa come sempre, con quella cappa di smog che rendeva la luna in cielo di un arancione mordace.
Chissà da dove veniva quella sconosciuta, si chiese Vincent, e che cosa l'aveva portata a svolgere un lavoro come quello, quando invece avrebbe dovuto passare le giornate tra scuola e amici.
A pensarci bene, anche lui avrebbe dovuto passare le giornate tra università e amici, e invece era lì, in una stanza fredda e silenziosa.
Pochi minuti dopo cominciarono ad udirsi le prime imprecazioni, seguite da bestemmie e quindi da urla vere e proprie. La ragazza si raggomitolò su se stessa, tremando lievemente, come un cucciolo che aspetta di essere picchiato; Vincent invece cominciava a preoccuparsi: aveva di sfuggita sentito un commento su Crane, che oltre ad essere violento era anche appassionato di box.
L'addizione pugile imbestialito più orgia non portava ad un risultato rassicurante.
La stanza, che fino a poco prima gli era sembrata grande, ora che la guardava bene non lo era poi tanto, e ciò gli dava un leggero senso di claustrofobia. Il bruno si mise in piedi, parlando in direzione dell'altra «Io me ne vado. Non mi piace come si stanno mettendo le cose. Vieni con me, forza.»
Ma lei sembrava indugiare, tant'è che lui la dovette spronare con un altro «Muoviti!»
La giovanissima scattò sull'attenti come una molla, affiancandolo con pochi passi felini.
Ma proprio mentre si affrettavano verso la porta, dal bagno apparve Crane, visibilmente nervosissimo e nero in volto, e loro due furono costretti a fermarsi. O meglio, si fermarono spontaneamente quando notarono una piccola e rossa vena pulsare sulla tempia destra dell'uomo.
Crane raggiunse a grandi falcate la ispanica, fulminando con lo sguardo prima lei e poi Vincent.
«Perché siete ancora vestiti? Non ho tempo da perdere, ragazzini!» li rimproverò aspramente.
"Porco schifoso..." lo ribeccò mentalmente Vincent, che sapeva quanto non fosse il caso di dar aria alla bocca davanti a un energumeno simile, soprattutto se già nervoso di suo.
I due si guardarono, senza più via d'uscita: ormai era tardi.
A Vincent non rimase che portare le mani al giubbotto ed abbassare la lampo.
Qualche minuto dopo, Vincent era intento a sfilarsi la cintura, quando l'ennesimo urlo lo fece quasi sobbalzare. La ragazza stava incessantemente litigando con il reggiseno, causando uno scatto d'esasperazione nel cliente, che le afferrò un braccio e la sollevò di forza, strappando una delle spalline.
«Ma siete tutte così incapaci?» la rimproverò Crane, dandole una spinta che la fece crollare sul letto.
Alla bruna scappò un gridolino spaventato e quando atterrò sul materasso si coprì il capo con entrambe le braccia, in attesa di essere colpita.
A quel punto Vincent comprese che l'unica spiegazione plausibile era che lei conoscesse già quell'uomo, a differenza di lui.
La scena stava diventando sempre più feroce, tanto che il ragazzo iniziò ad avere paura anche per la propria incolumità; chinò il capo e strinse i pugni, osservando ad occhi sbarrati lei continuare a tremare e l'altro spogliarsi.
In mezzo a cosa erano finiti? La situazione stava sfuggendo di mano!
Morto quel poco di coraggio che aveva dentro, anche il ragazzo decise di non tentare la fortuna e stare al gioco di Crane.
Non gli fu dato neanche il tempo di sfilarsi i pantaloni, fu preso per un braccio e gettato addosso alla ragazza, in un intrico di braccia e gambe che confuse entrambi. Le intenzioni di quell'uomo erano fin troppo chiare, e nel momento in cui il giovane si sentì penetrare senza il minimo avvertimento e senza lubrificante, un'esclamazione di dolore gli scappò dalla bocca e fu scagliato verso il basso, addosso a quella poverina ora schiacciata sotto il peso di due uomini.
«Ma sei pazzo?!» proruppe Vincent «Così mi ammazzi, porca puttana!»
E infatti il dolore se lo stava mangiando, come la prima volta in cui aveva subito una cosa simile.
Crane gli afferrò con una mano la nuca quasi per intero, stringendo i capelli fino a spezzargliene alcuni «Non è per lamentarvi che vi pago, e adesso scopala!»
Dio santo, che stava succedendo? Come poteva uscirne?!
Non voleva fare del male a quella ragazzina ancor più giovane di lui, per di più senza neanche uno straccio di preservativo, ma che altro poteva fare? Fece come gli era stato ordinato, incapace di reggere alla pressione, ma il suo magro tentativo di entrare in quella poveraccia senza farle male venne vanificato dall'arrivo di una spinta ancor più forte delle precedenti, che lo fece praticamente spalmare su di lei, che intanto urlava.
Era l'esperienza peggiore che gli era mai capitata da quando aveva iniziato a lavorare per Lacey, e stavolta era sicuro che anche se non ci fosse stata la consapevolezza di essere stato soggiogato per mesi dal virus H, si sarebbe comunque sentito umiliato, sporco e violato.
Cominciò a volare anche qualche sberla, alla quale entrambi i giovani sgranarono gli occhi con incredulità: la prima aveva colpito lui al fianco, la seconda lei alla gamba, poco sotto i glutei, lasciando segni rossi.
Ben presto, la stanza fu riempita da grida di paura e dolore, dal rumore dei colpi duri sulla pelle calda e morbida, che si colorava sempre più di viola; l'odore del sudore si mescolò a quello del sangue.
Faceva male, faceva troppo male per continuare!
Fece così male che dopo l'ennesimo colpo Vincent sentì la ragazza svenirgli tra le braccia.
"Cristo, è morta?!" fu il suo primo pensiero, considerata la violenza a cui erano stati sottoposti.
E lui era rimasto da solo alla mercé di quel delinquente, o almeno lo rimase finché un pugno ben assestato alle costole non gli mozzò il fiato e gli fece quasi perdere conoscenza; crollò addosso alla giovane e lì rimase, immobile, finché Crane non ebbe finito quel che aveva da fare.
Quando si riebbe, la prima cosa che Vincent vide fu Lacey Smith sopra di lui.
Oh, forse era meglio continuare a dormire.
«Vincent! Hey, mi senti?» sembrava stranamente preoccupata; preoccupata per lui? Ah già, il suo prezioso portatore sano.
Si portò una mano alla testa, felice di sapere che era ancora tutto intero. Sotto di sé sentiva la morbidezza di un letto e il calore di una coperta che gli fasciava il corpo. Sentiva male dappertutto, ma soprattutto al fondoschiena e alle costole.
Strizzò gli occhi, combattendo contro l'intontimento per chiedere «Che è successo?» aveva la bocca impastata.
Lacey sospirò di sollievo, nella luce della stanza i suoi capelli sembravano quasi d'oro «Vi abbiamo sentiti urlare e siamo venuti a controllare. Quel tizio è stato buttato fuori, non gli permetterò mai più di mettere piede qui dentro. È sempre stato uno stronzo, ma stavolta ha superato ogni limite.»
Questa era una buona notizia, che avrebbe sollevato Vincent se il ricordo della ragazza svenuta non fosse piombato su di lui come una scure all'improvviso.
«La ragazza?» esclamò, combattendo contro il mal di testa per sollevarsi sui gomiti e guardarsi intorno: nella stanza c'erano solo loro due e Replica, in piedi davanti alla porta.
Muoversi gli era difficile, scendendo con lo sguardo notò un ematoma sul costolato e ricordò di essere stato colpito con una forza che gli aveva fatto vedere le stelle; adesso il dolore si era piuttosto attenuato, ma si sentiva male lo stesso.
«Sembra stare bene.» gli assicurò Lacey, allontanandosi da lui «La sta visitando la dottoressa Falk. Tra poco è il tuo turno. Non avete niente di rotto, grazie al cielo, e faremo di tutto per farvi sparire quegli ematomi il prima possibile.»
Fu come se il mondo avesse ricominciato a girare per il verso giusto; Vincent prese una lunga boccata d'aria, riscuotendosi dallo stato di spossatezza e intorpidimento.
«Me la sono vista brutta...» mormorò senza rendersene conto, con la voce incrinata.
Sentì una mano di Lacey appoggiarsi sulla sua spalla, comprensiva, e dovette combattere con se stesso per non scrollarsela di dosso con fare disgustato. Non voleva essere toccato da nessuno, e pensò che probabilmente non sarebbe riuscito a sedersi per una settimana.
«Mi dispiace molto, Vincent. Aumenteremo i controlli, non permetterò più che accada una cosa simile.»
Era strano vedere Lacey così premurosa, ma al momento il bruno era troppo concentrato su se stesso per dar peso al cambiamento improvviso.
Dopo qualche secondo di silenzio, la bionda riprese a parlare «Adesso devo andare da Nancy. Era spaventata a morte. Lascio Replica con te, se serve qualcosa manda lei, d'accordo? Mi raccomando, muoviti il meno possibile e riposa.»
Vincent annuì, fingendosi riconoscente, e mentre Lacey se ne andava si allungò per recuperare i vestiti.
Si sentiva sfinito, demoralizzato, distrutto sia dentro che fuori.
Neanche quando fu completamente vestito, con tanto di giubbotto, riuscì a sentirsi al sicuro. Da quando era diventato tutto così arido? Come aveva fatto a non capitolare? Quanto tempo ancora sarebbe sopravvissuto a una vita del genere?
Replica non gli rivolse neanche una parola quando rimasero soli e Vincent le diede le spalle cocciutamente, immerso nei suoi pensieri. Contò una ad una tutte quelle piccole ferite fisiche e morali che il progetto E gli stava lasciando addosso, ripensò al fiato di Crane sulla sua gola e a come aveva creduto di morire sotto di lui, schiacciato tra una prostituta e un sadico.
Che cosa ci faceva ancora lì, a massaggiarsi le ferite, invece di alzare la testa come aveva sempre fatto Vincent Black?
Basta così.
Doveva uscire da quel giro. Aveva preso la sua decisione, dettata dalla disperazione: doveva fare qualcosa.
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